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L’OMBRELLO
I.
Si accompagnarono, per caso, un pomeriggio del giugno, ai Giardini pubblici, e godettero a trovarsi coetanei o quasi. Ottantatrè, ne aveva l’uno — Ceccuti — ; ottantaquattro, l’altro — Boldrighi.
Bell’età!, e portata così bene da entrambi, con aspetto così vegeto, che, quantunque fossero molto diversi nella faccia e nella persona, ai loro occhi parvero assomigliarsi come fratelli. Ma risentirono un’impressione anche più forte a ripetersi, a vicenda, il nome.
— Io debbo averlo conosciuto, un Boldrighi.
— E io, un Ceccuti.
Dove? quando? Poichè Ceccuti, partito non ancora trentenne da Bologna, vi era tornato da soli due anni col figlio pensionato delle Ferrovie, e poichè Boldrighi non aveva mai perduto di vista le due torri, il loro incontro, se era avvenuto mai, bisognava rintracciarlo qui, a Bologna, più di mezzo secolo addietro. Vattelapesca!
Riandarono fin i tempi della puerizia, rievocarono maestri e condiscepoli, cercarono relazioni famigliari, investigarono nella storia contemporanea della città, si raffigurarono in mezzo alle maggiori solennità e alle più famose vicende: e niente!, lo sprazzo di luce rivelatrice non veniva.
Eppure conservavano freschissima la memoria delle cose lontane.
Pensa e pensa... A un tratto Ceccuti esclamò:
— Si ricorda, lei, di una certa Rosa detta la...?
— ...la Garibaldina! — esclamò Boldrighi, arrossendo nelle gote grassottelle.
Non fu un lampo: fu la folgore a squarciare le tenebre.
Ah! ah! Guarda dove, come si erano conosciuti!
— La Garibaldina! — Ceccuti ripetè con le palpebre socchiuse.
— Sicuro! Eravamo due dei Mille!
E risero forte. Ma tosto si ritrassero da quel ricordo, che potendo avrebbero cancellato volentieri dalla loro biografia.
— Quando si è giovani... — fece l’uno, in tono di chi si scusa.
E l’altro:
— Consoliamoci che, a differenza di tanti, noi siamo ancora qua a raccontarci le nostre pazzie.
— Ah sì! Io sto benone; sano di spirito e di corpo.
— E io? Chi lo crederebbe? Io non ho mai avuta una malattia grave.
Ne aveva avute, invece, Boldrighi; ma gli eran giovate a depurargli il sangue.
Poi: moderarsi in tutto; rinunciare quasi a tutto; questo era da un pezzo la norma di Boldrighi, per mantenersi vegeto.
Ceccuti scosse il capo.
Moderazione in tutto; ma non rinunciare quasi a nulla: questa invece la norma sua.
Così, egli beveva anche adesso vino buono a colazione e a desinare; faceva una deliziosa pipatina dopo colazione e dopo desinare. E si manteneva in gamba!
Di fuori Porta Saragozza, ove abitava, il giorno andava in centro, e la sera veniva ai Giardini e rincasava sempre a piedi.
— Il moto è la vita.
Boldrighi scosse ora lui il capo, disapprovando.
— La macchina quando è vecchia bisogna risparmiarla.
Niente Bacco e niente tabacco! Egli campava di latte e ova; e per andar a casa, in via Mascarella, prendeva il tram a Porta Santo Stefano e il tram di Piazza. Una passeggiatina e boccate d’aria libera bastavano a impedir che la macchina arrugginisse.
Discordavano, insomma, nel regime igienico; ma li allietava a un modo la convinzione di aver trovata la via per campare il più possibile e bene. — Il mondo non mi è mai parso bello come adesso — affermò Ceccuti.
E Boldrighi canticchiò:
— Sempre allegri e mai passiòn!
II.
Quella tarda amicizia fu per i due buoni vecchi una nuova fiducia a vivere. Sin dal principio avevano compreso che la presenza dell’uno testimonierebbe agli occhi dell’altro il suo proprio benessere, e che il rimanente viaggio sembrerebbe loro anche più agevole e grato a compierlo insieme. Perciò vedersi ogni sera divenne, più che consuetudine, necessità.
Giocondamente, seduti al solito luogo ai Giardini, si riferivano le liete memorie, escludendo le tristi o solo accennandole; si meravigliavano di casi consimili; scoprivano conformità di carattere, di azioni, d’idee. E non discorrevano di politica.
— Non vogliamo guastarci il sangue.
— Vogliamo andar d’amore e d’accordo.
— Si sta così bene al mondo in pace e quiete!
— Sempre allegri e mai passiòn!
Forse la decrepitezza comporta il più intenso desiderio di esistere e concede ogni giorno, ogni ora, ogni minuto il piacere di quel desiderio esaudito, come per miracolo, per singolare grazia di Dio, o per giusta predilezione della sorte?
Una quasi sola apparenza vitale nasconde il disfacimento del corpo, e appunto allora l’istinto della conservazione esulta in un placido egoismo; la morte è dietro le spalle, e non si vede; non si vede il limite estremo perchè già un piede v’è sopra: e prevale sensibile di continuo, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, la sodisfazione di chi si scorge superstite in una strage e di chi dall’aspra realtà dell’esistenza attinge una illusione non interrotta di vago sogno.
Ma guai se contrasti e sospetti sottentrino a risvegliare e tener sveglia l’apprensione della fine imminente!
Quei buoni Ceccuti e Boldrighi non avevano presentito l’amaro che in fondo a tanta dolcezza amichevole condenserebbe l’emulazione istintiva, la gara, tra ingenua e insana, a chi dei due campasse di più, fosse anche, il di più, un anno solo. E il dissidio che doveva corrucciarli era appunto nel regime adottato per campar un pezzo. Cominciarono a guardarsi chiedendosi dentro: — Sta meglio lui di me? Sarebbe meglio mi mettessi anch’io a latte e ova? — Oppure: — E se bevessi anch’io qualche bicchiere di vino? se dessi anch’io qualche fumatina per aiutar lo stomaco a digerire?
Nel dubbio, tentavano dissimulare sempre più i disturbi e gli acciacchi, e lo sforzo si manifestava nell’aspetto. Allora riprendevano fede e pensavano guatandosi l’un l’altro: — Mio caro, come siete brutto, oggi! Se non mutate usanza, tocca a me cantarvi una requiem!
Ma la consolazione non durava; tornava presto il dubbio, il sospetto, l’apprensione. E a poco a poco provarono il bisogno di sfogarsi, convinti, come erano, che ogni tentativo dell’uno per condur l’altro al suo metodo riuscirebbe vano.
Presero a contraddirsi, a polemizzare; insistenti, caparbi. Le dispute diventarono presto diatribe; e per non mostrarsi deboli cedendo, quando uno era messo alle strette, insolentiva; e l’altro ribatteva.
— Sissignore!
— Nossignore!
— E io vi dico di sì!
— E io vi dico di no!
— Con voi non si ragiona. Ostinato più d’un mulo!
— E voi? È inutile consumare con voi il ranno e il sapone!
Non tacevano finchè non dicevano a un tempo:
— Basta! — Basta!
E Ceccuti prendeva e leggeva (senza occhiali) il giornale o il libretto delle spese quotidiane, e Boldrighi con la punta del bastone imprimeva su la sabbia la fisionomia di un asino (senza occhiali) e ci faceva sotto un bel C affrettandosi però a cancellare il disegno prima che l’amico se ne avvedesse.
Quando l’orologio alla chiesa di San Giuliano suonava le otto sorgevano in piedi; s’accompagnavano, sempre zitti. E alla barriera si separavano con un freddo «buona notte».
Boldrighi andava adagio alla Porta di Santo Stefano ad attendere il tram, e Ceccuti marciava lungo la circonvallazione, alla volta di Porta Saragozza.
Il dimani passavano ore di pena a rimeditar i dibattiti, le provocazioni, le accuse, le offese, e difese. Borbottavano: — Stasera non ci vado. Già, se ha un po’ di amor proprio, non ci andrà nemmen lui, ai Giardini: gli ho dato del mulo — gli ho dato dell’asino! — Bisognava finirla! Rottura!
Ma un’intima voce rimproverava: «Anche tu però...»; e il rammarico cresceva a disgusto, mutava in pentimento.
Giunta l’ora solita, non resistevano più; sentivano che il loro ultimo legame era indissolubile; cedevano quasi a un destino. E andavano.
Quello che arrivava primo, e aspettava, pareva seder su le brace; guardava fisso alla nota parte o sbirciava di tratto in tratto. Che ritardo! L’amico non veniva. Impermalito davvero? Ammalato? morto? Non avrebbero mai creduto di volersi tanto bene!
Ah eccolo, finalmente! E si sorridevano da lungi. Ceccuti ilare, a qualche passo dal sedile, chiedeva in dialetto adottivo:
— Cossa gavemo, de novo?
E Boldrighi, se l’atteso era lui:
— Siam qui, vecchio amico! —; e incolpava il tram, del ritardo.
Come era bello non serbar rancore, andar d’amore e d’accordo!
Se non che... L’asserzione più innocente, fermata e contraddetta d’improvviso, dava l’appiglio al nuovo litigio.
— Alta di statura la Malibran? — No, press’a poco come la Galletti. — Cesare Rossi superava Salvini nell’Otello? — Bestemmia! — Ugo Bassi parlando al popolo si cavava gli occhiali? — Non li portò mai gli occhiali! — Pietramellara conte? — Non era nemmeno nobile!
E non si pensi che questi e simili intoppi fossero cosucce da strigarsene tosto, perchè la Malibran, ad esempio, conduceva a questione di musica; i grandi attori tiravano in ballo le grandi attrici, dalla Ristori alla Duse, giudicate anch’esse con giudizio opposto; e Ugo Bassi e Pietramellara trascinavano i contendenti nel campo della politica da cui avevan giurato star fuori.
Così una volta Boldrighi si lasciò trasportar a tal segno che si mise a gridare: — Gente, correte! Costui qua diventa matto!
E Ceccuti una volta osò agitar la destra in faccia all’amico dicendo: — Se non aveste un anno di più...
III.
Finchè, al principio di settembre, un ombrello intervenne a risolvere tutte le questioni.
Era stata una giornata calda come d’agosto; non un fiato d’aria nemmeno all’approssimare del tramonto; non una nuvoletta in quella chiarità biancastra.
E Boldrighi apparve all’amico, che l’aveva preceduto ai Giardini, recando un ombrellone nero invece del bastone dal manico di corno.
— Nevica! — gli urlò contro, dal sedile, Ceccuti, e rise.
L’altro sedè soffiando.
— Prima di notte, pioverà.
— Chi ve l’ha detto?
— I miei piedi.
— Oh! guarda dove voi tenete la scienza!
— Più sicura della vostra, che l’avete in testa.
— Io so che il barometro è alto.
— E io so che il barometro sbaglia.
Si capisce dall’esordio come il colloquio procedesse quella sera; ad argomento scientifico, con urti e cozzi di opinioni intorno all’influenza atmosferica sui calli, i budelli, i nervi ecc., intorno alla pressione e alla densità, dell’aria ecc.; intorno al gracidar delle rane e al pizzicar delle mosche ecc.
In cognizioni di tal sorta Ceccuti superava e discorreva con più lena; ma, pur interrompendo di quando in quando, Boldrighi se la spassava a considerar il cielo verso sud-ovest. A un tratto indicò là e disse:
— Vedete?
Si offuscava la montagna sotto un cielo divenuto plumbeo.
— Calura; nient’altro che calura! — l’amico oppose.
— Non sentite? Lassù tuona! — insistè Boldrighi.
Ebbene, non ci poteva essere elettricità nell’aria anche senza vapore acqueo?
Ah i segreti della natura! ah i misteri della fisica! Tuonare anche a ciel sereno, o quasi!
Boldrighi lasciava dire. Aspettava con un sorrisetto ironico sotto i baffi; poichè vedeva grosse nuvole avanzare in fretta, aderendo; sempre più nere nel mezzo e livide ai lembi. E il tuono rombò forte ad ammonire Ceccuti che smettesse di far lezione.
Ceccuti tacque. Poi, per non confessarsi vinto riattaccò. Disse, acido:
— Voi non siete di buona razza; portate l’ombrello e andate in tram. I Romani conquistarono il mondo a piedi, e ombrelli non se ne sognavan nemmeno. Quando pioveva, e si bagnavano, facevano come faccio io: andavano a casa ad asciugarsi, bevevano un bicchiere di vino, e a letto a sudare! Capite?
— Voi fate proprio così? — Ora Boldrighi, nell’ironia della dimanda, nascose il suo pensiero. Aveva deliberato di cedere l’ombrello a lui, credendo gli spiacesse rinunciare, per il temporale, alla passeggiata igienica; ma giacchè l’amico non aveva paura di bagnarsi, anzi ci avrebbe gusto a far il Romano, l’ombrello, egli, lo terrebbe per sè. E avendo l’ombrello egli non aveva bisogno di scappare come quelli che da ogni parte dei Giardini trottavano a rifugiarsi in città.
I goccioloni cominciavano a mordere la polvere; eppure nessuno dei due voleva esser primo ad alzarsi in piedi. Finchè una saetta guizzò, scoppiò poco lontano. Allora scattarono, si avviarono.
Alla barriera Ceccuti ristette a guardar in alto.
— Non piove più; sprúzzola, dicono i toscani.
Dunque: — buona notte! — E s’incamminò impavido per la sua strada, a passo da bersagliere.
Ma Boldrighi ebbe un senso di rimorso e attese.
Pochi istanti dopo si aprì la cateratta; l’acqua precipitò con furia.
— Ceccuti! Aspettate, Ceccuti! — Boldrighi si diè a gridargli dietro, e si mise a inseguirlo con l’impeto di una smania riparatrice.
Correva, il vecchietto, stupito lui stesso di aver le gambe ancora così svelte.
— Fermatevi! Aspettate, Ceccuti! L’ombrello servirà a tutti e due!
Ma l’altro tirava innanzi senza badargli.
Pensava: — Si stancherà, tornerà indietro; e io mi riparerò sotto la Porta Castiglione.
Se non che d’improvviso ebbe un dubbio; un senso di rimorso anche lui. E si voltò.
— Siete matto a correre così, voi? Suderete! vi prenderete un malanno! — urlava.
La compassione lo inchiodava, il buon Ceccuti, ad aspettar sotto lo squasso.
E nell’atto che Boldrighi, il quale non ne poteva più, porgeva l’ombrello all’amico, una raffica rovesciò l’arnese, e nel frangente rimasero a inzupparsi, stretti insieme, come pulcini.
Quasi non bastasse, il tram su cui pure il camminatore impavido si era rassegnato a salire, tardò parecchi minuti, che parvero secoli, e sotto la Porta Castiglione spirava un vento freddo e violento.
Poveri vecchi! Si sentirono gelar il sudore addosso.
***
...Nè la polmonite, che si buscaron tutti e due, doveva lasciar tempo all’uno di cantare una requiem all’altro.