Timeo/Capitolo XXXIX

Capitolo XXXIX

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Platone - Timeo (ovvero Della natura) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
Capitolo XXXIX
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Di che si facciano i morbi, egli è chiaro a ogni uomo; imperocché essendo quattro i generi de’ quali è organato il corpo, cioè terra, fuoco, acqua e aria, il soperchio loro contro a natura o il difetto, e la tramutazion di luogo, cioè dal loro proprio in uno straneo; e ancora, da poi che il fuoco e gli altri elementi hanno piú specie, il pigliare parti ciascun di essi, che non gli convengano; queste cagioni e le altre simiglianti fanno ribellioni e morbi.

Imperocché contro a natura generandosi i detti corpi e mutando loro luogo, fassi caldo ciò che prima era freddo, e il secco umido, e il leggiero grave, e il grave leggiero; ricevendo quelli per siffatto modo mutamenti di ogni maniera. Imperocché, cosí noi diciamo, solamente se il medesimo viene al medesimo e se ne diparte secondo medesima forma e con proporzione medesima, il corpo, non alterandosi, si rimarrà sano e salvo; ma se falla contro alcuna di queste leggi ciò che si diparte o viene, sí recherà ogni ragione di turbamenti e morbi e corruzioni senza fine.

Ma da poi che c’è seconde composizioni naturali, è da considerare, chi ne abbia voglia, una seconda specie di morbi.

Dacché midolla e osso e carne e nervi sono fatti di fuoco, acqua, aria e terra; ed eziandio il sangue fatto è cosí, sebbene in diversa forma; segue che in essi la piú parte de’ morbi avvenga per le cagioni dette innanzi: ma si fanno in questo modo i piú crudi e gravi. Quando procede perversamente la generazione di quelle composizioni seconde, elle si corrompono. Secondo natura poi carni e nervi si generano di sangue: i nervi, delle fibre del sangue, per la parentela che hanno con esse; e le carni, della presa del sangue, il quale, disfibrandosi, rappiglia. E il vischio o grasso che fiorisce dai nervi, parte appicca la carne all’osso, e nutrisce l’osso ch’è attorno alla midolla e l’accresce; e parte, quella che ha mondissimi triangoli e politissimi e molto nitidi, insinuandosi per la spessezza dell’ossa e gemendo e stillando, bagna la midolla. Or se si genera cosí ciascuna delle dette sostanze, per lo piú è sanità; se contrariamente, morbi. Imperocché, quando la carne dissolvendosi avventa la dissoluzione sua per entro alle vene, allora, in esse vene insieme ad aria scorrendo molto sangue e diverso, e svariato di colori e amarezze e anco di sapori acidi e salsi, ella genera bile e sieri e flemme di ogni specie. Perocché perversamente generati tutti codesti umori, e corrotti, in prima essi corrompono il sangue medesimo; e ancora, non porgendo essi nutrimento niuno al corpo, si rigirano per le vene non serbando l’ordine delle naturali circulazioni, inimici fra lor medesimi, non si prestando servigio che sia uno all’altro, e infesti alle parti del corpo sode e tuttavia perseveranti nel loro luogo, guastandole e infracidandole. E se la infracidata carne è vecchissima, perocché è scocevole per la vecchia arsione, fassi nera; e, perocché tutta mangiata1 essendo amara, fastidiosa è a ogni parte del corpo non per anco corrotta. E talfiata ha sapore acido quel color nero, in cambio dell’amarezza; e, assottigliandosi piú l’amaro, a volte l’amarezza si tinge di sangue, e però ha colore un po’ rosso; e, mescendovisi il nero, ha color del verde. Si mischia ancora con l’amarezza il color giallo, quando sia strutta dalla fiamma del fuoco giovine carne. E fu posto il comune nome di bile a tutti cotesti umori o da alcuni medici, o da persona possente di riguardare a molte cose dissimili e scorgere in quelle un genere solo medesimo, degno che dia il nome suo a tutti: la ragione degli altri speciali nomi di bile, è nel colore. Il licore, quello del sangue, è siero dolce; ma quello della nera bile acida, è brusco quando si mischia per calore a salsa sostanza, e s’addimanda flemma acida.

Quando gentil carne giovine strutta sia per cagione d’aria che entri dentro, ed essa aria gonfii, e sia chiusa da umore sí che si levino bolle, le quali a una a una non si veggono dalla piccolezza, ma bene appariscono tutte insieme, e hanno colore per la surgente spuma bianco a vedere; allora tutto cotesto struggimento di tenera carne intramista d’aria, diciamo flemma bianca. Sono siero di flemma fresca il sudore e le lacrime, e gli altri simili umori che il corpo da sé cola tuttodí a fine di purgarsi. E sono tutti questi umori strumenti di morbi, alloraché il sangue non si riempe di cibi e bevande conformemente a natura, ma sí prende sua sostanza da contrarie cose, contro a natura. Adunque, se la carne si disfogli per morbi e tuttavia le rimangano le radici, è mezza la possanza del male, perocché elle tosto rimettono. Ma quando infermi quel che appicca la carne alle ossa, e quel che si secerne dalle fibre e da nervi piú non è nutrimento all’ossa, né vincolo fra la carne e l’ossa, ma da grasso, liscio, vischioso, fassi aspro, salso, squalente per laido vitto; allora quel cotal succhio, cosí cangiato, da sé tutto si sbriciola sotto alla carne e i nervi, dispiccandosi dalle ossa, e le carni, cascando infino dalle radici, lasciano i nervi ignudi e pieni d’umor salso, ed esse rituffandosi dentro il rivo del sangue, moltiplicano i morbi mentovati. Cotesti accidenti del corpo, sí, son gravi; ma son bene piú gravi quelli che vanno innanzi. Quando l’osso per foltezza di carne non riflata sufficientemente, e dalla carie incalorito e mangiato non riceve nutrimento, anzi, per lo contrario, tritato si mescola in esso nutrimento, e questo torna nella carne, e la stemperata carne torna nel sangue; allora tutt’i morbi piú si fanno maligni, che non quelli nominati.

Il peggio è quando inferma la midolla o per difetto suo o per alcuno soperchio, perocché ella fa i piú fieri morbi che siano al mondo, mortali, iscorrendo allora tutta la natura del corpo necessariamente a ritroso.


Note

  1. Per effetto dell’affiammamento.