Pagina:Platone - Il Timeo e l'Eutifrone, Acri, 1889.djvu/121

appicca la carne alle ossa, e quel che si secerne dalle fibre e da nervi più non è nutrimento all’ossa, nè vincolo fra la carne e l’ossa, ma da grasso, liscio, vischioso, fassi aspro, salso, squalente per laido vitto; allora quel cotal succhio, così cangiato, da sè tutto si sbriciola sotto alla carne e i nervi, dispiccandosi dalle ossa, e le carni, cascando infino dalle radici, lasciano i nervi ignudi e pieni d’umor salso, ed esse rituffandosi dentro il rivo del sangue, moltiplicano i morbi mentovati. Cotesti accidenti del corpo, sì, son gravi; ma son bene più gravi quelli che vanno innanzi. Quando l’osso per foltezza di carne non riflata sufficientemente, e dalla carie incalorito e mangiato non riceve nutrimento, anzi, per lo contrario, tritato si mescola in esso nutrimento, e questo torna nella carne, e la stemperata carne torna nel sangue; allora tutt’i morbi più si fanno maligni, che non quelli nominati.

Il peggio è quando inferma la midolla o per difetto suo o per alcuno soperchio, perocchè ella fa i più fieri morbi che siano al mondo, mortali, iscorrendo allora tutta la natura del corpo necessariamente a ritroso.