Tieste/Atto terzo
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Atto terzo
Notte.
La sala è illuminata da alcune lampade.
Erope, Ippodamia
Ippodamia. Or tutto tace: amiche
Stan le tenébre su la muta reggia;
Vien...
Erope. Qual mistero!
Qui non avvi, che n’oda e che ne scorga;
Vien meco.
Erope. E dove?
Ippodamia. Ove pietà comune
Ci chiama entrambe; or ti fa forza, e forza
Salda, sublime, quanta in cor ti senti:
Ed io pur ferma sto; benchè vacilli
Mia afflitta debil anima. – Grand’opra
Compir dei tu.
Erope. Qual opra mi s’addice
Non dolorosa! No... lasciami: sacra
È la notte al mio affanno; e questa è notte...
Ultima.
Ippodamia. E stringe il tempo: affretta.
Erope. È arcano
Inesplicabil questo? Ove nol spieghi,
Io non ti sieguo; no.
Ippodamia. Dunque l’intendi,
E ti prepara... Ma... se il sai, fia vano:
Meglio il saprai tu stessa.
Erope. Ippodamìa,
Libera parla, o mi ritraggo.
Ippodamia. Ahi pena!
O figlio, figlio a che m’adduci! –
Erope. Siegui.
Tu di figlio, che mormori!
Ippodamia. Del figlio,
Che più non veggo, i’ parlo. Amor di madre!
Erope. E del mio figlio nulla di’ tu? nulla? –
Fingasi Atreo, chè mal meco s’infinge.
Ippodamia. Placati ... il duol troppo ti pinge Atreo
Perfido... forse...
Erope. Tu da me il rapisti,
E da te voglio il figlio.
Ippodamia. Altre feroci
Cure tu pasci?
Erope. Io no: col figli
Feroce? Ah! il fui! donna spietata!
Ippodamia. Cessa...
Tïeste... Oh stato!
Erope. – E se spietato Atreo
Sarà più teco, o figlio?...
Ippodamia. Omai tant’ira
Spenta è dal tempo; così spento fosse
Di Tïeste l’ardore.
Erope. E chi mi nomi? Come tu sai,
ch’ei m’ama?... amarmi?... Ei m’odia,
Com’io pur l’odio. – Io l’odio? – Ah! no: ma taci.
Basti sin qui; non mi turbar nell’alma
Gli affetti che sopir tento.
Ippodamia. Se in Argo?...
Erope. Oh ciel! Tïeste! E dov’è mai? Che il veggia;
Ma per l’ultima volta: ov’è? Ma no...
Fugga, deh! fugga: tema Atreo: più tema
L’orrore ond’io lo miro. – Ahi che vaneggio?
Dì: che dicesti? Non è ver: tu d’altro
Parli, ti spiega.
Ippodamia. Sì, Tïeste è in Argo.
Erope. O ciel! dove m’ascondo?
Ippodamia. Ah! se può almeno
In lui tua voce, or tu l’adopra; ei ratto
Questo luogo abbandoni.
Erope. È qui!
Ippodamia. S’asconde
Là nell’atrio del tempio: errar lo vidi
Testè là intorno e fremendo guatava
D’Atreo le soglie: «O figliuol mio ritratti»,
Dissi: «Risolsi»; ei mi riprese: e il capo
Crollò, e partissi, ripetendo il nome
D’Erope. – Or mira qual su noi sovrasta
Periglio, e qual su lui!
Erope. Ch’altro n’attende
Più che morte? moriam.
Ippodamia. Figlia, deh! cedi,
E ten prego piangendo: io qui a tant’opra
Tutto decide; le rëali guardie
Vegliano ovunque, e mal sicuro in questo
Unico asilo vive; ei fermo giura
Di non partir, senza vederti; e intanto
Passano l’ore e ’l pericolo avanza.
Altro non avvi, che condurlo in questa
Remota sala; non sperar d’altronde;
Credi, non v’ha riparo.
Erope. Io? – No... ricuso
Di rivederlo; troppo ahimè! in periglio
Ei fora allor. – Chi sa?... No, non vedrollo;
Voli subito d’Argo.
Ippodamia. O tu crudele!
Egli è mio figlio; a me salvar tu il puoi,
E da te il chieggio.
Erope. Del mio cor non basta
Lo strazio, o numi!
Ippodamia. Io... sì, dirogli... Oh dio.1.
Erope. Io rivedrollo? ei partirà? – Deh! fugga.
E dove?... Atreo... Tïeste... – Oh mia smarrita
Virtù!2.
Ippodamia seguita da Tieste, Erope
Al fin la veggo... Erope.
Erope. Incauto, fuggi
Lungi da me.
Tieste. Dunque perigli e morte
Avrò affrontato, onde da te sì acerbo
Guiderdone ottener!
Erope. E ben, Tïeste,
A che venisti? Se tu a darmi morte
Vieni, t’arma, m’uccidi: altro non posso
Guiderdone a te dar che la mia
Tieste. Io sì morte ti venni a dar, ma morte
A mercarmi con te; teco trascorsi
I dì felici, e teco i più infelici
Trascorrer bramo. Tu se’ mia: ti strinse
Meco il voler d’Atreo: strinsero i numi
I nostri nodi... E ov’è la mutua fede?
Ove i spontanei giuramenti? Infranse
Tutto il livor del re. Sua sposa a torto
Da me svelta ti volle. – Volle! Ah! tu
Nol fosti mai; no. Frapponeasi un giorno
Perchè dinanzi ai dei saldo t’unisse
Esecrabile nodo; io lo prevenni,
E mia fosti per sempre: e pria ch’ei t’abbia,
Perderà l’alma. –
Ippodamia. O core! E qual rivolgi
Altr’opra in mente più sanguigna? Io madre
Sonti; ma son del par madre ad Atreo.
Ed osi proferir tu del fratello
Lo scempio macchinato? e d’un mio figlio
Spargere il sangue? E non paventi in dirlo
Una folgor celeste? e non rispetti
Quel duol che tu sol mi cagioni?
Tieste. Eh, dimmi,
Testè non antevidi che il materno
Tuo amor non merto? – Sventurato io sono.
Ippodamia. Nol merti, no: ma sol le tue sventure
Fan ch’io m’acciechi, e che tel renda. – A tanto
Non m’accecan però, ch’io t’abbandoni
Al disperato furor tuo.
Erope. Tïeste,
Troppe abbiam noi cagion di lai, di angosce;
Nè venirle ad accrescere: ten prego,
Non aspreggiarle d’avvantaggio. I casi
Del tuo delitto segui, e se infelice
Tu se’, no, non temer; non invidiarmi:
Più di te lo son io.
Tieste. Crudel! non venni
Onde tiranneggiar l’alma tua afflitta;
(Se in questa reggia di delitti i numi
Presiedono tuttor) che avrei sofferto
Mie pene, sol certo foss’io che vivi
In pace almeno.
Erope. In pace!... Or tu tel vedi.
Ma se a peggior non mi desii, mi lascia;
Me lascia in preda al mio dolor; me al giusto
Sdegno d’Atreo; me di me stessa all’odio;
Me alla difesa di quel figlio...
Tieste. Figlio!
Come? figlio! di chi?
Erope. Tuo figlio e mio.
Tieste. Numi!
Erope. Non ti stupir. Dall’atra notte
Di sventurato amor, poichè fuggisti
Dalla possa d’Atreo, grav’ebbi il fianco
D’un frutto più infelice: ei nacque, e cadde
In man del re, senza che il latte possa
Succhiar bambin d’un’odïata madre.
Tieste. Ed il feroce Atreo?
Ippodamia. Sì; ei veglia ancora
Su lui; ma che perciò? Cagion non avvi
Poi di temer.
Erope. Ippodamìa, scordasti
Quel momento terribile, che vide
Il figlio pargoletto? Ei fra le braccia
Forte serrollo: ei gridò sì, che ancora
Nell’alma mi ripiomba il truce grido.
Te, sì te sol testimone esecrando
«Dell’onte mie vedrò compiere un giorno»
«Le mie vendette.»
Ippodamia. Alta minaccia in fatto!
Ma riguardar conviensi anco suo tempo.
Che vorrestù? Che egual smania e livore
L’occupi da quel dì! Quattr’anni, o figlia,
Quant’han possanza in uom!
Tieste. Troppo t’avvolge
Tu i suoi pensier.
Ippodamia. (Troppo li veggo!)
Erope. (3)
Omai
Che più si sta? Già mie sciagure udisti;
Fuggi, e ne godi.
Tieste. Cessa al fin tue amare
Rampogne, cessa; partirò: ma dimmi:
I giuramenti... m’ami?... ti rimembra?
Erope. Ciò per te non rileva: or vatti; ad altro,
Che a tal, pensar tu dei: per te non sommi
Io più, nè tu per me.
Tieste. Come! non sei
Omai quella di pria?
Erope. Debile e vile
Rimorsi non sentia, quali nel petto
Sento; era allora da profana ingombra
Fiamma; da orrore or son. Tïeste, è questa
La differenza. Addio.4.
Tieste. Fermati... il figlio...
Erope. Il figlio? Atreo sel tien: lo disserrai,
Pria che annottasse; e immergere volea...
(L’intendi, e fremi e abborri ed abbandona
Questa barbara madre) insanguinarmi...
Volea le man nel suo seno innocente.5.
Ah! fuggi, fuggi, o mi trafiggi. – Scegli.6.
Frappoco, sì, morrommi, e d’ogni intorno
Starotti ombra d’orrore: in mezzo a’ cupi
Più deserti recessi io seguirotti.
Là tronca i giorni tuoi, là seppellisci
Una trista memoria, e là confina
Il vituperio delle genti. – Ancora
Per poco... il figliuol mio; sol quello... e poi...7.
O mio tenero figlio! O sangue mio!
Te svenato volea... non io, non
Voleanlo i numi. Misero! tu appena
Vedesti il giorno, e sciagurato, e tinto
Del delitto materno, in carcer tetra
Chiuso mi fosti sempre. Oh! se sapessi
Quel che un giorno saprai; se tu sapessi,
Come odierai la tua madre infelice
Che ti fè nascer nell’obbrobrio... adesso
Morte vorresti... ed io vorrei spirando
Raccor l’ultimo tuo fiato innocente. –8
Deh! perchè tu non mi lasciasti i giorni
E le sciagure al figliuol mio con questa
Man mia troncar? Fuor di periglio or ei
Fora con me, ch’ei sol trattiemmi il ferro,
Che pace a me daria: vedi che avvenne
Per tua troppa pietà! Ma invan ten penti.
Tieste. Il figlio mio, sì, il figlio a me nel seno
Deh! perchè a me non dassi? Almeno io possa
Baciandolo morir: comun vendetta,
Erope, allora ci farem. – Con lui,
Con lui, e fia da noi tutto sfidato
Il furore d’Atreo. –9
Vedi tu questo
Ferro di morte? Mentre noi morremo
Per nostra man, il dolce figliuol nostro
Stringendo insieme, spirerem felici. –
De’ delitti che medita colui
Non vedrà il fine, no: vedrà piuttosto
L’amor nostro finir nemmen con morte. –
Ma tu non mi negar l’estremo, il solo
Che m’avanza conforto: dì se m’ami;
Indi mi svena; eccoti il petto, il ferro.
Erope. Tu il vuoi, mel porgi;10
e da me ascolta al fine
Confessïon di lagrime... Sì, t’amo
Con ribrezzo e rancor; de’ miei delitti
Il più enorme è l’amarti, e il non poterti
Odiar per sempre. – Ah potess’io, che il voglio,
Altrettanto abborrirti... ma non posso.
Quel punto, in cui giuraiti fe, mi torna
Nell’averno ogni accento, e nel mio petto
Ripetendo si va... Pur... t’amo... io t’amo. –
Ma a che venisti mai? fuggiti, va.
Tieste. O infernale voragine, spalancati;
Sorgete, furie! Voi mi strascinate
Lungi da questa terra: io no, non volgo
Orma senza di voi.
Erope. (11)
Vanne, o m’uccido
Tieste. Ti diedi io il ferro... ma... me sol...
Erope. Che stai?
Vibro...12.
Tieste. Sì, vo.
Ippodamia. Trattienti; or no; chè incauto
Senno fora il fuggir: ferrate stanno
Le porte d’Argo: albeggerà; t’andrai
E ratto più, e con men rischio.
Tieste. E il ferro?...
Erope. A sant’opra io lo serbo.
Tieste. Esule, inerme
Fuggirò dunque?
Erope. E fuggi?
Tieste. Il giuro. –
Erope. (13)
Or l’abbi.
Ippodamia. T’ascondi intanto in quell’asilo.
Tieste. ... Addio.14.
Erope, Ippodamia
Ippodamia. Ahi tutto è pianto!
Erope. A me non altro
Resta, che pianto e morte. Oimè, ch’io sento,
Che più non so resistere... che l’amo. –
E da me intanto il scaccio! – Iniqu
L’adori ancor?
Ippodamia. (15)
Il re s’avanza. Ahi! forse
Svelato è tutto... va.
Erope. T’adopra... esplora...16.
Ippodamia. Terrore sol innanzi stammi, e lutto.
Che fia!
Atreo, Ippodamia
Ore tarde di notte?
Ippodamia. A pianger venni...
Libera... a pianger: nè delitto è il pianto
Credo. – Ma tu? pur vegli.
Atreo. Il re non dorme;
S’ei non vegliasse, guai! Disturbatore
Suon di pianto qui trassemi.
Ippodamia. Gemea
Da ogni uom qui lungi; e in questa reggia pure
Gemer di madre s’interdice.
Atreo. E sempre
Dunque in dolor vedrotti?
Ippodamia. Orbata madre
Puote giammai serena starsi! spetta
A te il temprare il mio dolor, chè il puoi.
Atreo. Tïeste vive, io tel ripeto: e forse
Il sai tu pure.
Ippodamia. Io?... No... tu mel dicesti;
Ed io te spero veritier.
Atreo. T’affida! –
Vanne; trascorsa è mezzanotte; è tempo
Che dal tuo duolo ti ristori calma.17.
Atreo,
L’iniquo vive; e ancor per poco. Trama
Col tuo vegliar inusitato e lungo
Tu m’accennasti, o donna: or tuo fia il danno,
Mio il pensier di svelarla. –18
Emneo19
Tu riedi
Alle mie sale; Agacle sta: lo scorta
Fino al suo ostello; ed alla reggia intorno
Spia se innoltra Tïeste: entrato, mai
Uscir non possa. Va.20.
Già tesi tutti
Sono i nodi insolubili: ver Argo
Volse; il poter di Pliste, e i dotti inganni
D’Agacle destro il trassero. Ch’io d’uopo
Abbia pur d’altri a vendicarmi? – Or giunga
Tïeste, e sia così. Vendetta, oh gioia!
Piena otterrò; godrò dell’anelato
Piacer di sangue: e tremi ognun che offende
D’un re i diritti: chè quai sien, son sacri.21.
FINE DELL’ATTO TERZO
- ↑ Parte
- ↑ Resta per brevi istanti in silenzio
- ↑ a Tieste
- ↑ In atto di partire
- ↑ Dopo un breve silenzio
- ↑ Come sopra
- ↑ Come sopra
- ↑ A Ippodamìa
- ↑ Si trae un ferro
- ↑ prende il ferro
- ↑ accostandosi il ferro al petto
- ↑ Come sopra
- ↑ dandogli il ferro
- ↑ Parte
- ↑ osservando
- ↑ Parte
- ↑ Ippodamia parte
- ↑ chiamando
- ↑ alla Guardia che comparisce
- ↑ La Guardia parte
- ↑ Parte