Atto quarto

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Atto terzo Atto quinto

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Atto quarto


Scena prima

Notte - La sala è appena illuminata da un lontano chiarore

Erope

O Tïeste... Tïeste... ove mi lasci?

Ove tu fuggi? e il misero tuo figlio
Come abbandoni? Deh! t’arresta... lassa!
E chi m’intende? – È notte; cupa,

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muta,

Profonda notte: ancor nell’atrio forse
Tïeste sta... Dove m’innoltro? Infamia
Là dentro è, infamia: abbominevol donna
Cotanto io sono? Oimè! che amante e madre
Del par son io: vano è il rossor; ti sieguo,
T’ubbidisco, Tïeste. – O vergognosa
Esecrabile idea! Notturno, fero
Delirio, fuggi; va: lascia ch’io torni
Al pianto; lascia.

Tieste, e Detta

Tieste. (1)

O notte!
Erope. (Parmi? O voce
Suona d’intorno?)
Tieste. O notte! io ti consacro
Fraterno sangue.
Erope. (Forsennato! Il passo
Qui gli fia tolto).
Tieste. Tremo? E pende intanto
Su me il brando tirannico. –2
Tu, ferro
Vendicator, liberator, ferisci.
Erope. Qui sol ferisci.
Tieste. O! chi se’ tu? Qual voce!...
Erope?...
Erope. Iniquo3.
Tieste. Or tu t’arretra: inciampo
Fia questo tuo, che costeratti sangue;
Nè altro ci salva, che il delitto. Vanne.
Erope. Ferma: dove precipiti? Quel ferro
A me, Tïeste, a me.
Tieste. L’avrai... fumante. –
Orrido arcano è omai svelato: insidia
Di re vil qui mi trasse: ebben s

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e l’abbia

Quella, ch’ei vuol, morte.
Erope. Fraterna morte!
Morte di re!
Tieste. Quest’è notte di pianto,
E a noi di morte, o pace. Odi, e abbandona
Me al mio furor. – Come lasciaiti, e all’atrio
Tornai del tempio, non veduto vidi
Al debil raggio di lontano lume
L’Argivo ripassar, che per Micene
Tua morte sparse: e con voce soppressa
A Emneo parlava, e ’l nome di Tïeste
Tra il silenzio mi giunse; io quindi volli
Seguirli ambo da lungi. – «Qui s’aggira»,
«Chè anzi di me mosse ver Argo», intesi
Dire sommessamente. Muti, muti
Scesero, e nulla intesi io più.
Erope. Sospetto
Lieve ti tragge al fratricidio.
Tieste. Oh donna!
Mal fermo hai cor: non se’ tu madre? Trema.
Fiati tal nome un dì causa perenne
Di lagrime, di sangue. Al re, se il vuoi,
Me vittima e tuo figlio offri: lo svena
Su me già agonizzante: Atreo sul nostro
Sangue passeggi, e ci calpesti: è vita
La mia d’orror; nè di me duolmi; duolmi
Di te. – Di te che fia?
Erope. Non sarò mai,
Segua che può, di più feroci eccessi
Complice mai.
Tieste. Il reo son io.
Erope. Che! rea
Sareimi io più, se al tuo t’abbandonassi
Rabbïoso attentato; or va: tua morte,
Folle, tu tracci, non d’Atreo; l’accerchia
Stuol di guardie fedeli, armate tutte
Per trucidarti.
Tieste. Trucidarmi?

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M’arma

Vendetta il cor: avventerommi; esangue
Pel mio braccio cadrà; dispersi allora
Que’ sgherri suoi, a me, quai sono, schiavi
Si prostreran.
Erope. Nutri tua speme ad agio:
Ma a fin per me non giungerà.
Tieste. Dicesti?
Ora mi lascia.
Erope. E quel che promettesti,
È forse ciò? Così d’Argo abbandoni
L’infauste mura? Folle me! A’ tuoi detti
Creder io mai dovea?
Tieste. D’abbandonarle
Tempo or non è. Più che a cimento, a certa
Morte n’andrei: troppo soffersi; è questo
L’unico istante che da tanto affanno
Mi sciolga al fine, ove tu sgombri.
Erope. Ah! fuggi:
Miei gli spasimi sien, miei sien gli affanni,
Mie le lagrime, mie; tutto in me sia,
Purchè libero tu.
Tieste. Nè conoscesti
Di qual io t’ami amor? Te in pene, io salvo?
Morire, o teco lagrimar sin morte
Resta solo a Tïeste: e questo fia,
Se te perder dovrò.
Erope. T’affidi or tanto,
Empio, a tuo core? Chi te allor da eterno
Torriati affanno? Pur ch’altro ti manca
Fuorchè gustar sangue german? Ma il gusta,
T’abbevera, ti pasci: indi che speri?
Certo non me; che son d’infamia carca,
E troppe son: del talamo d’Atreo
All’inaudito scorno, e chi riparo
Porger può mai? non già Tïeste.
Tieste. Or quella
Non se’ tu, che giurasti amore e morte?
Erope. Iniquo! amore a te! Non mai: non altro

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Che orrore a te. Fuggi da me; tue mani

Son parricide; io la tua voce orrenda
Odo sonar dentro il mio cor: la voce
Dell’empio è questa, e seduttrice voce...
A che ti stai ferocemente immoto?
Non vibri il colpo? vittima, trïonfo
Pieno sarò del tuo furor: ma colpa
Infame, immensa, e di tutte tue colpe
Maggior ti fia di tuo fratel la morte. –
Oh! muto tu con torvi occhi mi guati!
Eccoti dunque il petto: il pugnal drizza,
E in mezzo al cor tutto mel pianta.
Tieste. ... Taci.
Non vedi tu?
Erope. Vaneggi?
Tieste. – Ubbidirotti;
Ucciderò. –
Erope. Tu fremi?
Tieste. – Il braccio reggi
Tu. –
Erope. Di morte tu parli? Ebben la bramo;
Ma da tue mani: svenami, il ridico,
Svenami, e fuggi. – Gli estremi momenti
Non funestar di mia misera vita;
Io te l’offro; ella è tua... Sia tutto tuo;
Ma va, ch’io non ti vegga.
Tieste. Ombra... gigante
Qui dinanzi non vedi? Ha fiamma il crine,
Sangue negli occhi bolle, e di atro sangue
Sprazzi li grondan dalla bocca; mira...
Sul mio volto gli slancia. Ella mi tragge
Pel braccio. – Vengo, vengo.
Erope. Oh!
Tieste. Vengo, vengo:
Sangue chiedi? l’avrai: Quelle grand’orme
Che tu stampi di foco... sieguo. – Oh! lampo!
Oh! tenebre! Oh singhiozzi moribondi!...
Erope... il vedi? senti tu? – Ma

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dove

Lo spettro è, che scortavami? Lo voglio,
Lascia, seguir. – Tu, tu, vil, mi trattieni.
Erope. Quai precipizj!... ove corri? Deh...!
Tieste. A tutto:
Sia che si vuole; scostati; ho risolto. –
Erope. Oh dio! – Giacchè non vuoi da me tu udire
Nulla ragion, le voci ascolta almeno
Della pietà: per quel fatale amore,
Che ci congiunse, per tuo figlio, all’ira
Snaturata pon modo. – T’amo, il sai,
Nè tal compenso rendermi. Di colpe,
D’esecrazioni graverammi a dritto
Il mondo teco!... Deh! cessa... deh! fuggi,
O mi traffiggi.
Tieste. Sì. – Che fo? – T’ascolto,
O donna, troppo; moriam tutti, o cada
Atreo.

Atreo di dentro, che poi esce

preceduto da Guardie con faci.

Atreo. Quai grida!4.

Tieste. (5)
Mori.
Atreo. Empj! – Non io;
Sol voi morrete. – S’incateni, o guardie,
Lo scellerato.6.
E tu,7
non sazia ancora
Di tanti eccessi, tel richiami in Argo,
E tal t’appresti? – Ma fallito è ’l colpo.
Erope. Son rea; tu il di’.
Atreo. Stolidamente rei
Voi foste entrambi: chè dei re sul capo
Vegliano i numi; nè uom v’ha iniquo tanto,
Ch’Atreo deluder basti.
Tieste. E chi può forse

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L’uom più iniquo fra gli uomini, il tiranno,

Deluder mai? non io: chè tuo mi festi
Con tue lontane invisibili trame,
Trame regali insomma. Or via disfoga
L’astio ranchiuso, e solo in me rivolgi
E tue rampogne e ’l tuo furor; costei,
Innocente, risparmia. Io solo, io solo
Tue pene merto; chè sol io qui venni,
Sol io furente di pugno strappaile
Il da lei tolto ferro, onde lanciarti
Inulto a Stige: e ormai forse il saresti,
Se in costei non avesse argin trovato
Il mio proposto.
Atreo. Or vedi eroe! ti vanta
Di tradimento, e del tuo amor: la cara
Esca tenta scusar: così fors’io
A tant’uopo farei: così notturno
Assalitor sarei, s’io di fraterna
Fede t’amassi, qual tu m’ami. – Intanto
Qual, ond’io deggia da te averne pena,
Qual a’ tuoi vanti contrapporre io posso
Vanto sublime? Seduttor non io
Della consorte del mio re, non io
Fratricida superbo, esule infame;
Non io Tïeste insomma.
Tieste. Rapitore
Della promessa un dì tenera amante;
Usurpator del trono mio; feroce
Dell’oscurata mia vita raminga
Persecutor, tiranno infine: questi
I vanti son da contrappormi. Io mai,
D’allor che mi svellesti Erope, e in bando
Tu mi cacciasti per aver mio regno,
Ti fui fratello; nè fraterno amore
Io ti promisi: ma fratello sempre
Tu mi nomasti, e nimistà frattanto,
Odio perenne, m’apprestavi. Il lungo
Esilio mio, le mie sventure, e l’alto

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Terror che ognor mi seguitò, son nulla:

Quindi ti vanti, che ti sembran dono
Miei tristi dì, che tor tu non potevi.
Or è l’istante.
Atreo. Giovanile etade
Era la tua, nè adatta al scettro; e mente
Quindi non dritta, e non sublime core
Male reggeano Calcide. Tu troppo
Concedevi alla plebe, e prepotente
Troppo a’ grandi toglievi. Alla ruïna
Argin por volli del fraterno regno,
Ch’era mio pure; ed argin posi; ch’arte
Usai co’ grandi, e con la plebe scure.
Ed io fui re. Se a te in natio retaggio
Veniva il solio, sotto a te crollava.
Io sol fermo l’eressi; ed io più fermo
Sul trono sto. – D’Erope il padre, il sommo
Sacerdote di Calcide, Clëonte
Ti diè la figlia, ed io volealo: incauto
Fosti oppressor di suo poter sublime:
E in me affidossi, e la ritolse, e diella
A me, e possanza per regnar mi porse.
Tieste. Capo Clëonte in Calcide sorgea
Dei pochi potentissimi; calcava
Il popol denudato; e di sue spoglie
Ei più feroce divenia. Cotanta
Autorità smodata io temprar volli,
Re cittadino, e mal mercaimi – Atreo,
Non fui tiranno.
Erope. (8)
Ahi! di mio padre ancora
Qui fresco è il sangue; ei t’acquistò l’impero,
Acciò con sacro giuramento in Argo
Tratto, ond’ei nullo si temea periglio,
Crudo! a’ tuoi piedi spirasse trafitto.
Atreo. Superbo ei troppo, a me volea rimpetto
Porsi laddove io sol regnava; ei cadde:
Ch’ei non sapea che d’assoluto sire

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Dono è ’l viver de’ sudditi – E mio dono,

Iniquo, era tua vita. Oh! chi mai sfugge
Di re sdegnato all’ira? A Rodi, e a Delfo,
Di là a Micene tu giugnesti, e fosti
Securo sempre, che pietade indegna
Per te parlommi; ed io l’intesi, e troppo
L’intesi forse; nè men pento: scritta
Era vendetta; e giunse il dì; bench’io
Nol desïassi.
Tieste. E i tuoi sicarj in Delfo,
E Pliste il sire di Micene, e ’l tuo
Agacle fido, non tramavan forse
Qui strascinarmi? Chi cacciò superbo
Me da Micene? chi mi spinse in Argo
Con dotti inganni altri, che Atreo?
Atreo. S’addice
Al core tuo tal tracotanza. A Delfo
lo sicarj invïai? Metaco e Pleo
Ivi ne andár, non per mio cenno: incolpa
Te, se Pliste cacciotti; i re medesmi
Non danno asilo a tai delitti: e pena
Agacle avranne, che vulgò menzogna
Onde macchiar mio nome.
Tieste. O come l’arti
Del tiranno possiedi! In cor furore,
Pace nei detti; comandar misfatti,
E punirne il ministro: e vita e fama
Tor, per rapir sostanze: adoprar fraude,
Ove spada non val: pietà con pompa
Mostrar, e bever sangue. Oh! ben t’adatti
Il regal manto! ei ben ti copre! regna,
Chè tiranno sei vero.
Erope. (9)
Al fin: qual avvi
Ragion qui di garrir? Ambo siam rei,
E tuoi gastighi ambo mertiam; ma cessa
D’amareggiar nostre sventure, e omai
Duo miseri sotterra infausti troppo

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A questa reggia. Pur se gl’infelici

Mertan qualche pietà, re, il tristo figlio
(E che rileva il modo? è nostro, è nostro)
Pria di morir concedi: ei cada, e spiri
Su noi, ten priego.
Atreo. Sì, morrà, felloni;
E pagherete quel desio di stragi,
Che sì v’accese: morirà. – Ma questo
Non è ancora l’istante.10
O tu, disgiunti
Custodisci costor: d’essi sarammi
Tua vita pegno.11.

Ippodamia, e Detti
Ippodamia. Oimè! che avvenne?12

Arresta,
Emneo. – Miei figli...
Erope. Madre!
Atreo. (13)
Il re parlotti:
Non l’ubbidisci?
Erope. O madre, il figlio...
Ippodamia. Numi!
Tieste. Atreo, morte.14.

Atreo, Ippodamia, Guardie nel fondo

Atreo. Al nuovo dì tremenda

L’avrai. Giocondo il tuo morir mi fia,
Poichè assecura il viver mio.
Ippodamia. Qual volgi
Cura feroce?
Atreo. No; lieve: di morte
Punir chi morte dar voleami

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: dritto

Quest’è, che spetta a ogni uom: ma di tal morte...
Di tal... quest’è dritto di re: varrommi.
Ippodamia. Tïeste?...
Atreo. Ei regicida.
Ippodamia. Oh ciel!... vorresti...
Punir delitti con maggior delitto.
Atreo. Altro ve n’ha del suo maggior? – Sì... forse...
Altro ve n’ha: ma non delitto; è santo
Anzi il castigo, ed il furor d’un sire.
Ippodamia. Deh! ti scorda quell’onta.
Atreo. Onta è di sangue,
E sangue vuolsi, ond’obbrïarla.15.

Ippodamia
Figlio...

Pietà, figlio, pietà. – Passa, nè degna
D’un sol guardo la madre; ahi! che Tïeste
È già perduto. – Figli miei, qual mai
Trassevi odio di voi? Perchè nel vostro
Sangue lavate le man vostre? Ahi lassa!
Non m’udì già Tïeste; e m’ode or meno
Atreo, quanto più offeso, più feroce.
Cadrà Tïeste... Sì! Ben cadrà meco
Che mal posso soffrir vista più rea
D’eccessi: troppe omai già ne soffersi.16.

FINE DELL’ATTO QUARTO

  1. inoltrandosi lentamente
  2. Impugna un ferro
  3. Accostandosi a Tïeste
  4. Esce
  5. avventandosi contro Atreo
  6. Le Guardie eseguiscono
  7. ad Erope
  8. ad Atreo
  9. ad Atreo
  10. A una Guardia
  11. La Guardia eseguisce
  12. Alla Guardia
  13. alla Guardia
  14. Parte con Erope seguito dalla Guardia
  15. Parte seguito dalle Guardie
  16. Parte