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Vendetta il cor: avventerommi; esangue
Pel mio braccio cadrà; dispersi allora
Que’ sgherri suoi, a me, quai sono, schiavi
Si prostreran.
Erope. Nutri tua speme ad agio:
Ma a fin per me non giungerà.
Tieste. Dicesti?
Ora mi lascia.
Erope. E quel che promettesti,
È forse ciò? Così d’Argo abbandoni
L’infauste mura? Folle me! A’ tuoi detti
Creder io mai dovea?
Tieste. D’abbandonarle
Tempo or non è. Più che a cimento, a certa
Morte n’andrei: troppo soffersi; è questo
L’unico istante che da tanto affanno
Mi sciolga al fine, ove tu sgombri.
Erope. Ah! fuggi:
Miei gli spasimi sien, miei sien gli affanni,
Mie le lagrime, mie; tutto in me sia,
Purchè libero tu.
Tieste. Nè conoscesti
Di qual io t’ami amor? Te in pene, io salvo?
Morire, o teco lagrimar sin morte
Resta solo a Tïeste: e questo fia,
Se te perder dovrò.
Erope. T’affidi or tanto,
Empio, a tuo core? Chi te allor da eterno
Torriati affanno? Pur ch’altro ti manca
Fuorchè gustar sangue german? Ma il gusta,
T’abbevera, ti pasci: indi che speri?
Certo non me; che son d’infamia carca,
E troppe son: del talamo d’Atreo
All’inaudito scorno, e chi riparo
Porger può mai? non già Tïeste.
Tieste. Or quella
Non se’ tu, che giurasti amore e morte?
Erope. Iniquo! amore a te! Non mai: non altro