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Quella, ch’ei vuol, morte.
Erope. Fraterna morte!
Morte di re!
Tieste. Quest’è notte di pianto,
E a noi di morte, o pace. Odi, e abbandona
Me al mio furor. – Come lasciaiti, e all’atrio
Tornai del tempio, non veduto vidi
Al debil raggio di lontano lume
L’Argivo ripassar, che per Micene
Tua morte sparse: e con voce soppressa
A Emneo parlava, e ’l nome di Tïeste
Tra il silenzio mi giunse; io quindi volli
Seguirli ambo da lungi. – «Qui s’aggira»,
«Chè anzi di me mosse ver Argo», intesi
Dire sommessamente. Muti, muti
Scesero, e nulla intesi io più.
Erope. Sospetto
Lieve ti tragge al fratricidio.
Tieste. Oh donna!
Mal fermo hai cor: non se’ tu madre? Trema.
Fiati tal nome un dì causa perenne
Di lagrime, di sangue. Al re, se il vuoi,
Me vittima e tuo figlio offri: lo svena
Su me già agonizzante: Atreo sul nostro
Sangue passeggi, e ci calpesti: è vita
La mia d’orror; nè di me duolmi; duolmi
Di te. – Di te che fia?
Erope. Non sarò mai,
Segua che può, di più feroci eccessi
Complice mai.
Tieste. Il reo son io.
Erope. Che! rea
Sareimi io più, se al tuo t’abbandonassi
Rabbïoso attentato; or va: tua morte,
Folle, tu tracci, non d’Atreo; l’accerchia
Stuol di guardie fedeli, armate tutte
Per trucidarti.
Tieste. Trucidarmi?