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Quindi ti vanti, che ti sembran dono
Miei tristi dì, che tor tu non potevi.
Or è l’istante.
Atreo. Giovanile etade
Era la tua, nè adatta al scettro; e mente
Quindi non dritta, e non sublime core
Male reggeano Calcide. Tu troppo
Concedevi alla plebe, e prepotente
Troppo a’ grandi toglievi. Alla ruïna
Argin por volli del fraterno regno,
Ch’era mio pure; ed argin posi; ch’arte
Usai co’ grandi, e con la plebe scure.
Ed io fui re. Se a te in natio retaggio
Veniva il solio, sotto a te crollava.
Io sol fermo l’eressi; ed io più fermo
Sul trono sto. – D’Erope il padre, il sommo
Sacerdote di Calcide, Clëonte
Ti diè la figlia, ed io volealo: incauto
Fosti oppressor di suo poter sublime:
E in me affidossi, e la ritolse, e diella
A me, e possanza per regnar mi porse.
Tieste. Capo Clëonte in Calcide sorgea
Dei pochi potentissimi; calcava
Il popol denudato; e di sue spoglie
Ei più feroce divenia. Cotanta
Autorità smodata io temprar volli,
Re cittadino, e mal mercaimi – Atreo,
Non fui tiranno.
Erope. (1)
Ahi! di mio padre ancora
Qui fresco è il sangue; ei t’acquistò l’impero,
Acciò con sacro giuramento in Argo
Tratto, ond’ei nullo si temea periglio,
Crudo! a’ tuoi piedi spirasse trafitto.
Atreo. Superbo ei troppo, a me volea rimpetto
Porsi laddove io sol regnava; ei cadde:
Ch’ei non sapea che d’assoluto sire
- ↑ ad Atreo