Teoria della relatività/La relatività particolare/La rappresentazione a quattro dimensioni del Minkowski
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VII
LA RAPPRESENTAZIONE A QUATTRO
DIMENSIONI DEL MINKOWSKI1
Abbiamo negato a piú riprese la possibilità di una rappresentazione concreta della teoria; tuttavia in una certa misura il matematico Minkowski di Gottinga, disgraziatamente strappato troppo presto alla scienza, è riuscito a stabilirne una, in una conferenza tenuta a Colonia nel 1908. Benché non aggiunga nulla ad Einstein dal punto di vista puramente fisico, questa conferenza deve essere annoverata tra gli scritti classici della Relatività per la sua straordinaria bellezza matematica; essa d’altronde ha grandemente contribuito a diffondere la teoria tra i matematici. È nello spazio a quattro dimensioni che Minkowski ha tentato questa rappresentazione: ecco ciò che sembra al non matematico il colmo della piú folle astrazione. Pure non vi sono in ciò che dei fatti assai semplici. Per un matematico una retta non è che un pretesto per dare a ciascuno dei suoi punti una cifra, presso a poco come lo si fa sopra un metro, su di una scala barometrica o termometrica, o in altre circostanze analoghe. Alla stessa maniera un piano è la possibilità di raggruppare in un modo qualsiasi due numeri che si possono figurare come portati da due rette rettangolari, chiamate assi; ciascun punto del piano corrisponde ad una coppia di due numeri che rappresentano le sue distanze sulle due assi. Infine lo spazio dà un’occasione di concretare per un solo punto l’insieme di tre numeri, rappresentanti tre grandezze, per esempio la lunghezza, la larghezza e l’altezza. Se si continua in questa via, raggruppando quattro numeri, non vi è piú alcuna rappresentazione possibile nello spazio, ma, inversamente, il raggruppamento dei numeri che si fa come per la retta il piano e lo spazio ordinario, dà una rappresentazione dello spazio a quattro dimensioni, nella quale si raggruppano sempre quattro numeri invece di uno, due o tre, come nelle costruzioni precedenti. In queste ultime la conoscenza dello spazio aiutava lo studio del concetto numerico; nelle altre invece si sostituisce la rappresentazione numerica alla rappresentazione geometrica, che non c’è.
In questa costruzione numerica a quattro termini che il matematico chiama “spazio a quattro dimensioni” e che il profano giudica una pura astrazione, Minkowski è giunto a trovare la rappresentazione completa della quale si era sino ad allora deplorato l’assenza. In particolare l’interdipendenza delle grandezze di spazio e di tempo, che anche noi ci siamo sforzati di far risaltare, vi appare sotto una forma notevolmente figurativa, il tempo vi figura come un’asse allo stesso titolo delle assi dello spazio, il che gli toglie ogni particolarità. Parlare di un punto dello spazio o di un punto del tempo non può avere alcun senso se non in un dato sistema; ciò che ci è dato direttamente non sono né punti dello spazio né punti del tempo, sono degli avvenimenti, la cui determinazione ha bisogno e dei dati di tempo e dei dati di spazio. Prendiamo un esempio per continuare le nostre spiegazioni.
Io tengo una penna in ciascuna delle due mani e su due fogli di carta distanti tra loro un metro fo, quasi simultaneamente, una piccola macchia. In base alla vecchia concezione si diceva naturalmente: poiché questi due avvenimenti non sono simultanei, sono separati e nel tempo e nello spazio. Ma ora possiamo guardare i fatti sotto un’altra luce; ammettiamo che io abbia fatto le macchie ad 1/100 di secondo d’intervallo; i due avvenimenti sono naturalmente “distinti nello spazio” fino a che io considero il sistema della tavola come in quiete, il che è molto prossimo alla realtà. Niente però m’impedisce d’immaginare un sistema che abbia, rispetto ad essa tavola, una velocità relativa tale che nell’intervallo di tempo che separa le due macchie uno dei suoi punti sia precisamente passato dall’una all’altra; le due macchie saranno, ma in istanti differenti, al medesimo punto di questo sistema: supponiamolo costituito da una sottile striscia di carta, come quella dei telegrammi, sulla quale si sia collocato un piccolo osservatore; questi penserà che è tranquillamente rimasto al posto e che due volte, a breve intervallo, l’inchiostro gli è fischiato agli orecchi; se l’inchiostro è caduto in due punti differenti della tavola, è che questa si sposta sotto di lui con una grande velocità; per questo osservatore i due avvenimenti non sarebbero quindi distinti che nel tempo, ma non lo sarebbero nello spazio. Questo non è il solo caso possibile; supponiamo che i due avvenimenti, che si sono prodotti alla distanza di un metro, si siano succeduti in meno di un trilionesimo di secondo; non si può piú immaginare un sistema che in questo piccolo intervallo, si sia spostato da una macchia all’altra, perché gli sarebbe necessaria una velocità superiore a quella della luce, il che è impossibile. Al contrario, ma noi qui non lo possiamo dimostrare, se ne può trovare uno nel quale i due avvenimenti sono simultanei e non sono distinti che nello spazio. Minkowski direbbe: “Questi due avvenimenti sono separati da un “intervallo spaziale,” i due primi lo erano da un “intervallo cronologico.” È facile vedere che il fenomeno della propagazione della luce segna il limite degli intevalli spaziali cronologici.
Nella vita corrente si trova semplice il parlare di distanza nel tempo e di distanza nello spazio tra due avvenimenti; è semplicemente un procedimento comodo alla stessa maniera che può essere vantaggioso, secondo le direzioni delle strade, camminare in principio verso sud, poi verso est, piuttosto che direttamente a sud-est.
Tutte queste relazioni e molte altre si presentano sotto una forma immediatamente concreta nella rappresentazione a quattro dimensioni del Minkowski; di qui la nota sentenza: “A partire da ora lo spazio e il tempo devono sparire nell’ombra quali entità distinte, e solamente una certa combinazione dei due può aspirare alla autonomia.”
Per quanto questo detto possa essere sorprendente, mi sembra tuttavia che il Sig. M. Schlick l’abbia oltrepassato: in base alla teoria della relatività generale, dice egli, questa combinazione non è, anch’essa, che un’ombra, un’astrazione; solamente l’insieme del tempo, dello spazio e delle cose ha una realtà indipendente poiché contrariamente al principio della relatività particolare il principio della relatività generale nega che si possa, una volta per tutte, stabilire uno schema assolutamente generale come quello di Minkowski senza conoscere le cose, gli avvenimenti ch’esso deve servire a rappresentare.
Il Signor Professore Boehmer di Dresda mi ha messo gentilmente a parte di una rappresentazione della concezione di Minkowski che mi è parsa eccellente. Una prova fotografica rappresenta su di una superficie piana una porzione del mondo a tre dimensioni. Figuriamoci dei movimenti qualsiasi riprodotti come in un film da un gran numero di vedute succedentisi a breve intervallo. Le numerose immagini ottenute sono subito posate le une sulle altre come le pagine di un libro e danno cosí un blocco rettangolare; l’ordine dei foglietti è di una tale precisione che tutte le riproduzioni di uno stesso punto dello spazio sono rigorosamente l’una dietro l’altra. Facciamo un taglio nel nostro blocco; se è fatto secondo il piano di uno dei fogli, esso dà un immagine dello spazio tale e quale com’era ad un dato istante; se esso è perpendicolare al piano dei fogli, la superficie del taglio ci dà, per cosí dire, la storia di una linea dello spazio, poiché le sezioni dei fogli successivi ci mostrano come è apparsa questa linea negli istanti nei quali si sono prese le vedute; la superficie intera formata dal loro insieme ci mostra dunque come essa ha variato a poco a poco. Vedremo ora che queste due specie di sezioni, cosí differenti a primo esame, non lo sono in modo assoluto, ma che tra di loro due esistono tutti gli intermediari. Quale è infatti la sezione che deve fare un osservatore che si muove rispetto a quello che ha preso le vedute e che vuole, dal canto suo, seguire la storia di una linea dello spazio? Poiché egli è in movimento, la linea ch’egli considera si sposta a sua insaputa, o piuttosto, nel corso del tempo, egli identifica con la linea considerata in primo luogo, linee differenti da quelle considerate dall’osservatore che per se stesso si ritiene “in quiete;” e poiché noi ammettiamo che il suo movimento è rettilineo e uniforme, si vede facilmente che la sezione deve essere fatta con un piano che non è più perpendicolare ai fogli e il cui angolo differisce tanto maggiormente da un angolo retto, quanto più rapidamente il secondo osservatore si muove rispetto al primo. Quanto alle immagini che rappresentano l’aspetto dell’universo ad un dato istante, anch’esse non sono le stesse per i due osservatori: abbiamo dimostrato nel capitolo quinto sulla relatività del tempo che essi non considerano come simultanei gli stessi avvenimenti; ed è facile vedere che la differenza dei tempi è tanto più grande quanto più lontano dagli osservatori si producono gli avvenimenti da paragonare. Nello stesso capitolo abbiamo visto che per la velocità della terra era necessaria una distanza di sei anni-luce per ottenere una differenza di un secondo di tempo; per una distanza di dodici.... diciotto anni-luce, la differenza sarebbe di due, tre.... secondi. Se si sono prese dieci vedute al secondo, per avere una veduta relativa ad un dato istante, all’osservatore in movimento avente velocità uguale a quella della terra, bisognerà che la sezione abbia una inclinazione tale da tagliare dieci fogli tra due piani che sono ad essi perpendicolari e sono distanti sei anni-luce. Si vede agevolmente che la sezione che rappresenta un aspetto simultaneo è tanto più inclinato, cioè fa un angolo tanto più grande coi fogli, di quanto il movimento relativo dell’osservatore è più rapido. Si vede perciò che le sezioni che un momento fa sembravano profondamente differenti, l’una parallela, l’altra perpendicolare ai fogli, l’una rappresentante un aspetto simultaneo del mondo, l’altra la storia di una linea dello spazio, si trasformano in modo continuo l’una nell’altra. La velocità della luce che l’osservatore non può raggiungere, o in ogni caso non può superare, dà il limite dell’obliquità delle due specie di sezioni.
Non possiamo fermarci piú lungamente per dimostrare come questo schema, cosí felicemente trovato, permetta di dimostrare tutte le proprietà essenziali della geometria della Relatività del Minkowski. È appena necessario aggiungere che Minkowski non pensa a fotografare l’universo e in conseguenza a proiettare le sue tre dimensioni su due, ma che egli si rappresenta gli universi a tre dimensioni adattati gli uni sugli altri, il che naturalmente non è possibile che in una quarta dimensione. Lo schema dimostra bene come, collocando le une sulle altre le prove a due dimensioni, si ottiene un blocco a tre dimensioni, e come s’introduce questa terza dimensione che rappresenta il tempo e non ha differenze essenziali con le altre due.2
Se si esamina l’insieme della concezione di Minkowski si pensa involontariamente alla frase che Wagner mette sulla bocca di Gurnemanz che si rivolge al giovane Parsifal: “Tu vedi, o figlio, il tempo qui diventa spazio.”
- ↑ Questo capitolo, come il capitolo XV presenta alcune difficoltà per i non matematici; non è indispensabile per la comprensione di quello che segue.
- ↑ Una rappresentazione, particolarmente piacevole, del tempo quale quarta coordinata dello spazio ai trova in “Kleinen Schriften” del Dr. Mises (Gustavo Teodoro Fechner). Lipsia, 1875. Breitkopofe Härtel.