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XXXVI.

«Massimo,

«Ho scritte queste memorie durante il mio soggiorno in America; e le ho scritte per voi.

«Esse non sono un rimprovero; non sono una risposta alla vostra felice trovata o similitudine, o non so più che figura rettorica, sulla spinite.

«Sono una specie d’espiazione pe’ miei piccoli e grandi errori, pe’ dolori che ho procurati ad altri, per lo spreco che ho fatto della mia fede, delle mie speranze, della mia mente e del mio cuore.

«Voi che siete scrittore, correggetele dove non vanno; poi pubblicate queste confidenze. Nella loro semplice verità, senza voli poetici e senza colpi di scena, hanno tuttavia un non so che di romanzo, e le signore le leggeranno. Le fanciulle, che nei lunghi ozii di una vita frivola e disappensata, suggono il veleno delle aspirazioni vaporose, e le spose solitarie, che, nel terra a terra della vita domestica, prendono [p. 196 modifica]a noia la placida continuità di quei dolci affetti, e sognano i voli lirici delle passioni da romanzo, leggeranno la storia di una povera sognatrice, ed impareranno che tutto codesto passa e vanisce.

«Giunta al fine di quella mia vita giovanile, io mi rivolsi a guardarla in questo lungo e dettagliato esame; e posso dir loro, posso giurarlo sull’anima mia, che due sole immagini, due soli affetti, due soli ricordi, sopravvivono nel mio cuore e m’inspirano un sincero rimpianto. Gli affetti calmi, serii, legittimi del mio babbo e di Welfard; gli affetti domestici, la famiglia. La prosa — tanto poetica nella sua verità!

«Per ogni cuore che le mie memorie convinceranno, per ogni imprudenza che faranno evitare, la mia anima dolente si sentirà perdonato un errore. Questo vi lascio come il mio testamento, Massimo. E lo lascio a voi, perchè voi solo potete riempirne le lacune, ed attestarne la verità. Ve lo lascio come testamento, perchè voglio morire. È la triste fine, la catastrofe del mio romanzo.

«È una risoluzione tranquilla e maturata, non è l’esaltazione d’un grande dolore.

«È trascorso quasi un anno dalla morte del babbo, dal distacco di Gualfardo e dal vostro attacco di spinite retorica. Vedete dunque che ho avuto tempo a riflettere. [p. 197 modifica]

«Ma non solo ho riflettuto del tempo; furono anzi il tempo e l’esperienza della mia nuova situazione che mi hanno condotta grado grado dalla noia della vita alla sfiducia, all’aspirazione della morte.

«Ero partita da Torino sul finire di novembre. Dovevo imbarcarmi a Genova. Vi giunsi due giorni prima della partenza del bastimento, il 26 novembre, e presi alloggio all’albergo della Ville.

«Dovete ricordarvi quella data e quell’insegna.

«Stavo alla finestra della mia camera la sera del mio arrivo, quando vidi entrare nel cortile una carrozza da nolo, da cui scendeste voi, con una signora.

«Avevo presso di me una cameriera dell’albergo che mi prestava qualche servizio da toletta. La chiamai alla finestra, ed additandovi le domandai:

«— Chi sono quei signori?

«— Sono due sposi lombardi.

«Non interrogai di più. Avevo anch’io indovinato che eravate un marito ed una moglie. Del resto che m’importava omai?

«La spinite vi aveva accordato una tregua sulla via del Municipio.

«Tuttavia codesto mi diede un disinganno retrospettivo.

«O voi progettavate già quel matrimonio quando dicevate d’amarmi; e tutta la vostra lealtà ch’io ammiravo non era che una finzione. [p. 198 modifica]

«O quella nuova simpatia era nata dopo il vostro attacco di spinite (la lettera che me lo annunciava era in data del 24 ottobre), e vi era bastato un mese per dimenticar me, innamorarvi di un’altra, rinunciare alle vostre prevenzioni contro il matrimonio, sposarla, ed imprendere il viaggio da nozze.

«Dunque, quelle vostre passioni impetuose, ch’io aveva preferito al serio amore di Welfard, non erano che fuochi di paglia, splendenti, ma fuggevoli e senza calore.

«Quella scoperta distruggeva anche il passato. O mi avevate amata leggermente, o non mi avevate amata mai.

«Non stetti a fare altri commenti. Non m’informai di null’altro, non cercai più di vedervi.

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(Nota di Max. — Ero stanco, disgustato di me e della mia vita, dopo aver scritto a Fulvia quell’ultimo biglietto. — Quell’amore contrastato, che avevo combattuto in me stesso per rispetto all’onestà di lei, mi aveva fatto riflettere ai pericoli de’ miei amori, a slanci impetuosi e fuggevoli. — Era tempo di mettermi al sodo. Avevo trent’anni. Se Fulvia fosse stata libera avrei sposato lei. Ma era vincolata ad un altro, e voleva condannarmi pel resto de’ miei giorni alla parte burlesca d’un amante epistolare. — Ne sposai un’altra). [p. 199 modifica]

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«Il giorno 28 m’imbarcai.

«Durante il viaggio di mare, di cui m’ero fatta un’idea delle più poetiche, stetti sempre male. — Tutte le passeggiere, e molti passeggieri soffrivano come me. Sembrava un ospitale di colerosi.

«Non eravamo in pensiero che di quanto ci convenisse mangiare e bere, e del come dovessimo coricarci per soffrir meno.

«Quelle continue preoccupazioni della vita materiale sopivano tutte le mie facoltà contemplative.

«Non mi sono mai assorta sul ponte al chiaro di luna ad ammirare l’immensità del cielo e del mare. Per soffrir meno bisognava sdraiarsi prima di cominciare la digestione. Ed io levandomi da tavola correvo alla mia cabina, e mi mettevo a letto.

«Giunsi in America magra, debole e spoetizzata.

«Ebbi subito a studiare lo spartito che dovevo cantare. Però la voce si ristabilì presto, e quando andai in iscena ebbi un grande successo.

«Ma la corda dell’ambizione s’era spezzata nel mio cuore con quella dell’amore. Non c’è ombra di egoismo nel mio carattere. La gloria di cui nessuno gode per me, mi è indifferente.

«Que’ serii yankee che mi facevano la corte, e mi parlavano d’amore, mi sembravano una goffa parodia del mio bel Gualfardo. [p. 200 modifica]

«Mi provai a ricevere un poco, e ad andare in società. Ma dove erano riuniti due uomini, era sicuro che s’udiva presto parlare d’affari. Mi annoiai a morte.

«E tuttavia il ritorno in Europa non mi sorrideva. Sentivo di esservi omai straniera, perchè nessun affetto mi vi richiamava.

«E poi avevo lo spavento di trovare Welfard ammogliato. Io avevo agito male con lui; si credeva tradito. Aveva ragione d’essersi allontanato da me. Ed omai erano trascorsi molti mesi dalla nostra separazione. Se si fosse ammogliato, io non avrei avuto nessuna ragione di biasimarlo; ma sentivo che non avrei avuto il coraggio di sopportarlo.

«Mi domandavo continuamente:

«A che serve la mia vita? A chi sono utile? A chi sono cara? Chi posso amare? Per chi studio e lavoro?

«E sentivo il vuoto, l’inutilità della mia esistenza, e mi facevo sempre più misantropa, e desideravo di morire.

«Per lunghi mesi ho agitato a mio modo la grande questione di Amleto: Essere o non essere.

«E decisi di non essere più.

«Ma, dietro la pace e la solennità della morte, mi apparvero le cento figure goffe e pettegole delle cronache dei giornali, coi loro commenti indiscreti ed il loro biasimo pedante. [p. 201 modifica]

«Allora tentai un’ultima prova. Feci toletta come una civettuola; mi studiai di esser bella e di piacere, e mi slanciai nel mondo decisa di innamorarmi, se fosse possibile.

«Imposi a me stessa di prestare attenzione a quanti mi corteggiavano per sorprendere il primo barlume di preferenza.

«Scontrai un uomo d’ingegno, che aveva viaggiato molto. Era bello; parlava bene; aveva uno spirito acuto, ed una voce appassionata. Era poeta, e mi dedicò dei versi belli di quella tranquilla poesia della verità e del sentimento, a cui s’inspira la letteratura inglese. Mi corteggiava, senza affettazione, senza chiasso.

«Mi lasciai corteggiare; feci delle chiacchere sentimentali, cercai di esaltarmi; ma dopo alcuni giorni mi accorsi che sprecavo tempo e fatica. Ero perfettamente fredda.

«Rinunciai tosto a quella commedia inutile. Più tardi mi accorsi che il bel poeta mi amava realmente, e soffriva del mio strano procedere.

«Allora mi rimproverai d’essere stata egoista; compresi che non avevo diritto di giuocare coi sentimenti d’un altro per misurare i miei; di lusingare un cuore confidente, dacchè non potevo più amare che la memoria del mio perduto Gualfardo.

«Oh! a me sì che s’attaglia veramente la parabola della spinite! [p. 202 modifica]

«Una volta più mi sentii sola, inutile, finita; ed ho deciso di morire.

«Ma voglio evitare tuttoquanto può avere di drammatico il suicidio d’una signora. Nella morte cerco il fine d’una vita insoffribile, e non il rimpianto del mondo. Voglio che nessuno possa sospettare nella mia morte un suicidio. Se un cadavere rimane alla curiosità degli uomini, essi strapperanno alle sue viscere fredde il segreto che l’ha ucciso.»