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«— Se potessi ancora appassionarmi di qualche cosa! Dare uno scopo alla mia vita! [p. 190 modifica]

«Non fu un’idea fuggevole, un pretesto a cui mi fossi aggrappata per allontanarmi da quella casa piena di dolorosi, di strazianti ricordi. Era un bisogno istintivo della mia anima, che si rivelava istintivamente, dinanzi alla squallida prospettiva d’una vita senz’affetti.

«Perchè realmente avevo ancora una vita dinanzi a me. Ero giovane, ero forte; e le lunghe sofferenze morali non avevano punto alterata la mia salute, non avevano forse neppure accorciata d’un giorno la mia esistenza.

«Ero dimagrata, perchè, tutta assorta ne’ miei dolori, avevo respinto il cibo ed il sonno, avevo faticato giorno e notte. Avevo il sistema nervoso eccitato, perchè mi ero lasciata indebolire.

«Ma senza queste cause materiali e dirette, c’era in me tanta robustezza da sopportare il dolore morale sotto tutte le sue forme, da provarlo in tutta la sua intensità senza soccombere.

«Questo io lo sentivo con un senso di vero sgomento. Sentivo in me tanta potenza di vita, e mi domandavo: «Che farne?»

«La sera stessa mi misi al pianoforte; passai una quantità di musica. Dalle più vaporose fantasie nordiche, alle più soavi melodie italiane, andai cercando con ansia un’emozione.

«E ne trovai; e piansi. Ma non erano emozioni [p. 191 modifica]d’artista. Era l’aria prediletta dal povero babbo che mi strappava le lagrime. Era uno spartito che mi aveva insegnato Gualfardo, che mi rapiva in una serie di cari e dolorosi pensieri. Erano ancora quei due affetti, ancora quelle due memorie del mio passato. Ma là dove quegli affetti non si legavano pel vincolo misterioso d’una rimembranza, la musica mi lasciava fredda.

«Prendevo un pezzo irto di difficoltà musicali, cominciavo a cantarlo con tutte le finezze, con tutte le sfumature d’una interpretazione intelligente, ma tosto pensavo che Gualfardo non era più là per dirmi col suo volto impassibile: «Brava Fulvia!» e respingevo la musica dicendo: «Oh! che m’importa?»

«Domandavo a Rossini, a Bellini, a Verdi le loro melodie più appassionate. Cominciavo a cantarle con tutto lo slancio, con tutta l’anima; ma pensavo che i cari occhi del babbo non erano più là per empirsi di lagrime, e respingevo la musica dicendo: «Oh! che m’importa?»

«No. L’arte non bastava a riempiere il vuoto del mio cuore. Sentivo il bisogno non solo d’amare, ma anche d’essere amata.

«— Lo fui tanto! pensavo. Tre grandi affetti erano concentrati su di me. Quello del babbo, di Gualfardo, di Max...

«Max! Era la prima volta che il mio pensiero si [p. 192 modifica]rivolgeva a lui dopo la mia grande sciagura. Oh come era lontano omai dal mio cuore! Come la conoscenza di Welfard, in tutta la gloria del suo nobile carattere, aveva cancellata l’impressione romanzesca di quell’amore avventuroso.

«Rimasi assorta nel pensiero di Max. Lo rivedevo in tutta la sua maschia bellezza, nell’espansiva impetuosità del suo carattere, ne’ suoi entusiasmi, nelle sue giovanili imprudenze. Era una bella, splendida immagine, una cara memoria; ma non era più un’aspirazione. Potevo ancora pensare:

«— Oh! se Gualfardo avesse quelle qualità! — Ma non potevo amarle in un altro. Vedevo che Max era più affascinante, più splendido all’apparenza; ma sentivo che Gualfardo valeva di più; e lo collocavo più in alto, più in alto.

«Ma Gualfardo non mi amava più; mi aveva abbandonata per sempre. Che potevo sperare da lui? Non ero stata io stessa a respingerlo? E per amore di Max?

«Oh mio Dio! Che era mai avvenuto di quella passione entusiasta che mi aveva indotta a sacrificare il nobile fidanzato che da tanto tempo mi amava, per acquistare il diritto di amare Max?

«Ricordavo il mio trasporto di quella sera fatale in cui avevo preso la risoluzione d’accettare la scrittura per l’America, e di sciogliere il mio impegno [p. 193 modifica]con Welfard, per essere libera di scriver follie in un epistolario sentimentale con Max.

«Stupido sogno da romanzo! Era svanito prima che avessi finito la mia confessione a Gualfardo. Ed omai, ripensando a quei due amori che s’erano disputato a lungo il mio cuore, ripetevo con amarezza un verso altre volte citatomi da Massimo: Il ben ch’è mio davvero, è il ben che sparve!

«Presi le lettere di Max, belle, poetiche, eleganti, appassionate, strane, e mi posi a leggerle pensando:

«Se potessi amarlo ancora! Chi può dire quanto possa sopra un cuore entusiasta l’ascendente dell’ingegno?

«Mentre ero assorta così, la mia serva entrò in camera per portarmi il pranzo.

«Al vedermi allo scrittoio con tante lettere intorno, si fermò alzando il capo ed aprendo la bocca nell’atto di chi si ricorda improvvisamente d’una cosa; poi disse:

«— A proposito di lettere; ce ne sono molte, che sono venute quando lei non aveva mente ad occuparsene. Vuole che gliele porti?

«Pensai da quanto tempo non avevo più scritto a Max; e che certo fra quelle lettere ce ne dovevano essere di sue; ed accettai di vedere quella corrispondenza arretrata.

«Passai tutte quelle buste chiuse, cercai sugli in[p. 194 modifica]dirizzi la brutta scrittura di Max. C’era infatti una lettera sua. Nell’aprirla tornavo a dire tra me: «Se potessi amarlo ancora!» e la mia mano tremava. E le forme vaghe di vaghe speranze alate sembravano delinearsi più e più nel vuoto infinito.

«Quell’epistola era abbastanza breve perchè io possa riportarla qui per intero:

«Fulvia!

«Dicono che un uomo affetto da spinite, quando è seduto, crede di poter camminare come chicchessia.

«Lo stesso è accaduto a me. Credevo di poter ancora amare e mi sono ingannato. L’amore per me può essere tutt’al più, come voi dicevate, un episodio tempestoso.

«Ho lungamente lottato fra la ripugnanza ad ingannarvi, e la paura di darvi un dolore.

«Perdonatemi e compiangetemi! Darei dieci anni della mia vita per sapervi felice.

«Spero per voi nel tempo, nella lontananza, e più più ancora nell’effetto morale che la mia condotta deve fare sul vostro animo.

«Perdonatemi!

«Max

«Ed io ammiravo la sua anima appassionata! Bruciai ad una ad una quelle lettere belle, poetiche, [p. 195 modifica]eleganti, passionate, strane; poi bruciai quell’ultima che era soltanto strana.

«E nel vuoto, le forme vaghe delle vaghe speranze alate svanirono per sempre.