Sulla ostreicoltura in Francia e in Italia
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SULLA
OSTREICOLTURA
IN
FRANCIA E IN ITALIA
RELAZIONE
DEL
Prof. Cav. ARTURO ISSEL
alla
CAMERA DI COMMERCIO
DI GENOVA
GENOVA
Stabilimento tipografico e litografico di Pietro Pellas
1879.
La Commissione istituita dalla Camera di Commercio e d’Arti di Genova, col mandato di rispondere ad alcuni quesiti riflettenti l’industria ostrearia proposti da S. E. il Ministro d’Agricoltura e Commercio nella sua circolare del 7 Gennaio 1879, esprimeva il desiderio, per me assai lusinghiero, che le presentassi per iscritto alcune idee che già avevo avuto l’onore di esporle a viva voce intorno alla grave questione sollevata dalla circolare ministeriale.
Io mi misi tosto all’opera e, studiandomi di corredare il mio qualsiasi parere di dati, notizie e considerazioni che valessero ad accrescerne possibilmente l’autorità ed il valore, il lavoro mi si allungò a dismisura e ne risultò la memoria che oggi raccomando alla indulgenza di questo benemerito Consesso.
Si attribuisce a Sergio Orata il merito di aver inventato l’ostreicoltura, perchè egli, innanzi la guerra contro i Marzi, stabiliva a Baia e poscia nel Lucrino i primi serbatoi destinati all’allevamento dei gustosi molluschi. Dal Lucrino, in cui più non sussiste, questa industria passò, dopo lungo intervallo di tempo, al Mar Piccolo di Taranto, ove ancora si mantiene; assai più tardi fu introdotta nel lago di Fusaro.
A Marenne, alla Rochelle, a Cancale, Courseule e in altre località della Francia occidentale si applicavano da parecchi secoli ingegnosi artifizi per favorire la moltiplicazione e l’allevamento delle ostriche, ma in tempi a noi più vicini, circa 30 o 40 anni fa, vuoi che si fossero smarrite le antiche tradizioni, vuoi che le condizioni locali fossero mutate, quegli artifizi erano divenuti improduttivi o almeno affatto insufficienti. Le ostriche, il cui consumo come commestibile andava sempre crescendo, si traevano allora, per la massima parte, dai banchi naturali, e mentre, per le richieste del pubblico, la pesca si faceva più attiva, i fondi devastati, poco a poco s’impoverivano e in cene località le ostriche scomparivano affatto: la baia di Saint Brieuc, dapprima celebrata per la copia di questi molluschi, non somministrava più che uno scarso prodotto; a Brest, a Cancale e a Granville gli antichi banchi erano isteriliti; tra i 23 banchi d’Oléron, Rè, Marenne, la Rochelle e Rochefort 18 erano distrutti. Si può dire che tutto il litorale andava lentamente spopolandosi.
Questo fatto risvegliò l’attenzione d’un naturalista che godeva allora di molta fama. Il prof. Coste, fu il primo a segnalare in Francia l’esaurimento d’un prodotto che va a buon diritto considerato come una ricchezza nazionale, e non, contento di ciò, studiò il modo di porre argine al male e di accrescere e migliorare i sistemi d’ostreicoltura allora vigenti.
Simili studi, eseguiti sotto gli auspici e col valido appoggio del capo dello Stato, Napoleone III, si concretarono di poi in una serie di proposte d’ordine scientifico ed amministrativo che furono in gran parte attuate dal governo francese.
Così, per iniziativa del Coste, furono istituiti vanii stabilimenti modelli per l’allevamento delle ostriche e d’altri animali marini e laboratori sperimentali, destinati ad investigare i segreti della loro riproduzione; così furono concessi a favorevolissime condizioni tratti di litorali ai privati desiderosi di consacrarsi alla industria nuova o piuttosto rinnovata; così furono artificialmente ripopolati a spese dello Stato alcuni degli antichi banchi esausti, e le leggi relative alla pesca ed all’iscrizione marittima, opportunamente riformate, si volsero a proteggere l’acquicoltura.
Tutti o quasi lutti questi provvedimenti sortirono esito assai felice, inquantochè la produzione delle ostriche (per tacere dei risultati pur soddisfacenti conseguiti riguardo ai mitili, ai crostacei e ai pesci) si accrebbe rapidamente e l’uso di questo sano e gustoso commestibile si estese ad ogni provincia e sempre più si diffuse nelle varie classi di cittadini, risultandone un sensibile aumento nella ricchezza alimentare della Francia.
Vediamo ora in che cosa consistono i metodi messi in opera dal prof. Coste e dai suoi seguaci: Essi sono, in generale, semplicissimi, e, come quelli che si applicano alla coltura della terra, debbono neccessariamente variare secondo le condizioni locali e secondo le specie da moltiplicarsi. In ogni caso gli scopi precipui cui tendono le cure dell’ostreicultore si riducono a ciò:
1.° Offrire alle miriadi d’embrioni emessi dalle ostriche madri ampie ed acconcie superficie sommerse alle quali possano aderire, per poi svilupparsi nelle più propizie condizioni.
2.° Trasportare, ove occorra, le giovani ostriche in serbatoi o conserve in cui possano raggiungere tutto il loro accrescimento, perchè non dì rado i luoghi in cui si riproducono i molluschi adulti sono improprii all’allevamento dei piccoli. 3.° Liberare i banchi d’ostriche dal nemici che, in varie maniere, loro sono nocivi, come: molluschi terebranti, asterie, briozoari, focili, zostere, ecc.
Circa il primo di questi scopi è a sapersi che le ostriche sono ermafrodite o che in tempi variabili, secondo le specie e secondo i luoghi1, producono un numero grandissimo d’uova, le quali sono fecondate nelle stesse ovaia della madre, e vi giungono a maturazione. Queste uova scendono poscia nelle pieghe del mantello e tra le lamine branchiali e ivi danno origine agli embrioni, i quali rimangono pressoché un mese in incubazione, circondati da una specie di muco secreto dall’animale2, poi sono espulsi e si spandono nell’acqua, formando come una nubecola. Appena uscite dall’alvo materno, le ostrichine si presentano come corpicciatoli di forma presso a poco lenticolare, difesi da una conchiglia bivalve diafana, sottilissima, e natanti per mezzo di cigli vibratili connessi ad uno speciale organo locomotore. In tale stato hanno esistenza autonoma; ma ben presto, giungendo in contatto di un corpo sommerso, vi si fissano, ed intanto ciascuna di esse perde i suoi cigli vibratili e l’organo locomotore si atrofizza.
Si vuole che ciascuna Ostrea edulis emetta da uno a due milioni d’embrioni. Ma, tra questi, ben pochi si sottraggono alle numerose cause di distruzione che li minacciano. Molti trovano la morte in alto mare, ove sono trascinali dalle correnti, altri sono sbattuti dai marosi, altri cadono nella melma o tra i fuchi e vi soccombono, altri finalmente son divorati dai pesci.
Il coltivatore deve adunque procurare d’impedire lo sperpero di quegli embrioni e di presentar loro il più presto possibile un appoggio cui possano aderire per poi svilupparsi. Lo stesso fondo del mare può essere opportuno all’uopo, purché non sia coperto di sabbie o ghiaie mobìli od invaso dalla melma od infestato dalle zostere e dai fuchi. Togliendo la melma ad un fondo, se non é troppo copiosa, strappando le piante marine che lo ingombrano, deponendo su di esso pietre, gusci di conchiglie od anche apparati appositi denominati collettori, si preparano artificialmente letti propri i ad accogliere una colonia d’ostriche più o meno numerosa. La forma e la materia di questi apparati variano secondo le circostanze locali e secondo la specie che si coltiva.
Uno dei collettori più efficaci e più semplici è la fascina formala di ramoscelli di due a tre metri di lunghezza, ben legati fra loro alla parte media e assicurati per mezzo di cime a pezzi di pietra calati al fondo. Tal’è quello che si adopera a Taranto e nel lago Fusaro. Altra maniera di collettore è un assito formato di pezzi mobili, sostenuti da piuoli o fissati temporariamente, mediante perni, in modo che si trasportano a piacere da un punto all’altro; alla faccia inferiore del tavolato si attaccano piccoli rami secchi o piallatura di legno, alfine di moltiplicare l’estensione della superficie presentata ai molluschi. Tanto le fascine quanto gli assiti non sono applicabili con vantaggio ove abbondano le teredini, divoratrici di legnami, giacché in breve sarebbero distrutti. Mediante lastroni di pietre schistose {come ardesie, micaschisti e simili) appoggiate le une sulle altre o su altre pietre in modo da essere un po’ sollevate dal fondo si costruiscono i pavimenti collettori; similmente per mezzo di embrici opportunamente disposti si formano i tetti collettori, dai quali si ebbero bene spesso ottimi risultati. Gli embrici sogliono collocarsi sopra appositi cavalletti, ora orizzontalmente sopra uno o sopra parecchi piani, ora in fila inclinate, ora appoggiati gli uni agli altri in guisa che ne risultino come tante serie parallele di piccoli tetti a due pioventi.
I collettori ad arnia e a telai mobili (rucher à chassis mobiles) sono cassoni di legno senza fondo, cui si adattano internamente, sopra vari piani orizzontali sovrapposti, parecchi piccoli telai mobili, coperti di rete d’ottone a maglia fitta, i quali son destinati a sorreggere le piccole ostriche. Anche questo apparecchio è adoperato negli ostricari, ma la sua complicazione e il suo prezzo elevato lo rendono poco pratico ove non si tratti di semplici esperimenti.
Non basta l’aver ottenuto che le piccole ostriche si fissino sugli apparecchi destinati ad accoglierle; fa d’uopo altresì che acquistino in breve tempo le dimensioni richieste dal commercio. Vi sono in fatti località in cui il mollusco attecchisce e non cresce o cresce lentamente, altre all’incontro in cui aumenta di volume e si fa adulto, quando sia giovane, ma non diventa atto alla riproduzione. Il completo accrescimento dell’ostrica si consegue nelle condizioni ordinarie in tre anni; ma essa può vivere per parecchi anni oltre questo termine, continuando ad accrescersi lentamente. L’Ostrea edulis vecchia, conosciuta dai francesi sotto il nome di pied de cheval, ha le valve assai spesse e pesanti, massime l'inferiore, ed il rostro protratto, e si credeva in passato specie o varietà distinta. Il completo sviluppo dell’ostrica piccola, dell’ostrica di un anno o di quindici mesi, si verifica più facilmente in acque assai basse e tranquille, mentre le acque profonde e quelle in cui la circolazione e più attiva si convengono agli individui appena nati. Da ciò l'utilità di due diverse specie d'ostricari; gli uni destinati propriamente alla riproduzione, gli altri all’allevamento.
I primi, denominati dai francesi parcs, non differiscono dai secondi o claires per la costruzione o perché i loro collettori sieno diversi, ma piuttosto per la natura della spiaggia che occupano, per l’esposizione, per la distanza maggiore o minore del mare aperto.
I parcs dei pressi della Rochelle e dell’isola di Ré, che io visitai pochi anni addietro, coprono a perdita di vista tratti di spiaggia melmosa, assai lievemente inclinati, che in gran parte emergono quando la marea discende, e sono recinti quadrati di 20 a 30 metri di lato, limitati da muriccioli dì 40 a 60 centimetri d’altezza, formati di pietre greggie sovrapposte senza cemento, i quali tuttavolta resistono assai bene, in generale, all’impeto dei marosi. Quando la marea è alta i recinti sopradescritti son tutti coperti dal mare, ma, calate le acque, essi rimangono emersi o quasi, almeno per breve tempo, ed allora uomini, donne e fanciulli si affrettano a spogliarli dalla melma e dai fuchi depositati dal mare, danno assetto ai muri ed ai collettori guasti o spostati, raccolgono le ostriche adulte da porsi in commercio e le giovani da trasportarsi altrove, attendono insomma alle molteplici cure della coltivazione.
Nel 1863 si contavano nell’isola di Ré 421 vivai (parcs) che occupavano 140 ettari di spiaggia e 839 conserve (claires), la cui area era di 6 ettari. Il prodotto dei primi fu in quell’anno di 1,086,230 franchi, e quello delle seconde fu di 40,015 franchi3. In quell’epoca il solo dipartimento della Charente inférieure, in Francia, esportava tante ostriche per 3,000,000 di franchi, ma questa cifra è ora assai cresciuta.
Una delle località in cui la coltivazione reca ora migliori frutti è la baia di Arcachon presso Bordeaux, vasto specchio d’acqua, limitato da litorali fangosi e perfino in certi tratti da veri pantani. Nel 1873 si contavano in quella baia 1250 vivai da ostriche (parcs) appartenenti a 1400 concessionari. Di tali vivai, 750 occupavano un ettare per ciascuno e gli altri circa 1/3 d’ettare. Durante la campagna del 1871-72 si esportarono dalla baia '10,022,740' ostriche del valore di '501,137' franchi, e nella campagna successiva 25,238,000 per franchi 1,137,700.
Ad Arcachon esistono cospicui stabilimenti istituiti dal governo francese, affine di studiare ogni nuovo sistema di ostreicoltura e di sperimentare i miglioramenti proposti nell’impianto e nell’esercizio degli ostricari.
Fra i più interessanti risultati ottenuti in questa località va segnalata l’acclimazione dell’Ostrea angulata del Portogallo che prima non vi allignava. Nella sola campagna del 1871-72 si esportarono 774,000 di tali ostriche pel valore dì 37,378 franchi.
A Marenne e alla Tremblade le ostriche già adulte, appena raccolte sono collocate in serbatoi alquanto diversi dai parcs e dalle claires, inquantochè l’acqua marina non vi si rinnova ad ogni marea, ma solo di tempo in tempo. Ivi il mollusco ingrassa, acquista una tinta verdastra particolare, diventa più gustoso, passa cioè alla condizione di huitre verte e in tale stato è tenuto in conto di cibo squisitissimo.
Uno dei punti sui quali si porta principalmente l’attenzione dei coltivatori d’ostriche si è il modo di raccoglierle (sia quando sono giovani per immetterle nelle conserve, sia quando sono adulte per porle in commercio) senza che il mollusco o la sua conchiglia abbiano a subir danno. L’esito della operazione detta detroquage, distacco dai collettori, è assai importante, poiché le ostriche lese nelle parti molli o nel goscio in generale soccombono e sono perdute pel commercio4. Pertanto si scelgono per uso di collettori pietre, legnami, terre cotte od altri corpi che non offrano all’ostrica presa troppo forte, oppure per renderli tali si spalmano di particolari intonachi non solubili nell’acqua marina e friabili.
Affine di raggiungere questo scopo, il dottor Kemmerer di Saint Martin (Isola di Rè) copre le sue tegole di un mastice composto d’una parte di calce idraulica, quattro parti d'acqua ed una parte di sangue privo della sua fibrina. Siffatto miscuglio sì asciuga in breve tempo, indurisce sott'acqua e si distacca senza sforzo dalla terra cotta, unitamente alle ostriche grandi e piccole che vi sono fissate.
Nella baia d'Arcachon, quantunque il governo e i privati facessero a gara per moltiplicare gli ostricari e migliorarne le condizioni, questi davano da principio risultati poco soddisfacenti, non perchè i molluschi non vi si riproducessero e non vi acquistassero pieno sviluppo, ma perché l’aderenza fortissima della conchiglia al collettore rendeva troppo dispendiose le varie operazioni dell’allevamento e della raccolta ed era causa di gravi perdite. Dal 1862 al 1865, disperando di superare siffatta difficoltà, molti coltivatori abbandonarono l’uso delle tegole collettrici; senonchè appunto in quell’ epoca un muratore di nome Michelet immaginò di spalmare quelle tegole di un certo intonaco di sua invenzione che ovviava perfettamente al difetto lamentato. Il prezioso trovato cangiò le sorti dell’industria d’Arcachon, permodochè da quel punto in poi andò sempre più prosperando. Nel 1867, quando cominciò ad applicarsi l'invenzione di Michelet, le tegole adoperate furono 28,660, nei tre anni successivi il numero loro si era accresciutonnella ragione seguente:
1870 — 1,576,500
1871 — 2,421,400
1872 — 5,065,000
Il Signor Fischer, da cui attingo questi dati, stima che nel 1873 le tegole adoperate fossero circa 7,000,0005.
Al Michelet si attribuisce pure l’applicazione d’un apparecchio denominato ambulanza, il quale sarebbe assai utile per la cura delle ostriche lese nei loro distacco dai collettori.
I campi marini, al pari dei terrestri, non vanno immuni da parassiti, da nemici d'ogni specie che cospirano alla distruzione dei raccolti. Fra questi, tanto nelle acque oceaniche quanto nelle mediterranee, vanno segnalati i molluschi terebranti e particolarmente i murici6.
Il Murex suol portarsi sulla valva superiore dell’ostrica e, fissatosi sopra un punto che d’ordinario corrisponde al muscolo adduttore o ad uno dei visceri più essenziali, pratica nel guscio un foro tondo di 1 millimetro ½ a 2 millimetri ½ di diametro, un po’ più ampio alla parte esterna della valva che alla parte interna; ciò mediante una fettuccia muscolare, impropriamente detta lìngua, la quale vieti fuora dalla proboscide e funziona a guisa di lima, mercè minutissimi uncini cornei assai duri ond’è coperta.
La perforazione non si osserva mai all’apice delle valve e nemmeno sul margine loro, come se l’animale sapesse di non raggiungere, nel primo caso, il corpo della sua vittima e di non poterle recare che lievissima offesa nel secondo. Le ostriche in tal modo insidiate sono, nella pluralità dei casi, quelle dai 5 ai 12 mesi, ma i giovani murici forano ostriche anche più piccole, proporzionate cioè alla potenza dei loro mezzi d’offesa7.
Il Murex intento ad intaccare la valva dell’ostrica si vede far dei movimenti irregolari, ora da una parte ora dall’altra, intorno ad un punto fisso che corrisponde all’estremità della sua proboscide. Compiuto il foro, esso succhia gli umori della sua preda, finchè questa non tarda a divaricar le valve, lasciando così libero il varco ad altri piccoli carnivori marini che accorrono senza indugio e in pochi momenti la finiscono.
Le nasse, le purpure ed altri testacei che appartengono alla stessa famiglia dei murici, attaccano le ostriche nel medesimo modo. Molte poi ne son distrutte da vari crostacei (principalmente dai granchi) dalle asterie e da certe specie di briozoari e di spongiari.
Altre cause di straordinaria mortalità sono talvolta per gli ostricari le mareggiate, che scompigliano ed infrangono i collettori e coprono le ostriche di melma e di sabbia, le lunghe emersioni che subiscono sulle coste oceaniche per effetto delle basse maree e dei venti di terra, l’esposizione all’azione diretta dei raggi solari e il soverchio riscaldamento delle acque, nell’estate, oppure l’agghiacciamento delle medesime, durante l’inverno, e finalmente lo sviluppo eccessivo di alghe e di fuchi.
Prima d’esser messe in commercio le ostriche sono collocate sopra un tavolato e rimescolate per mezzo d’un rastrello, ciò per togliere al guscio le sottili laminette taglienti di cui esso è munito presso i margini delle valve. Compiuta così la loro toilette, sono spediti ai mercati chiuse in piccole ceste di vimini.
L'ostrica può mantenersi in tal guisa da 8 a 10 giorni, secondo la stagione, ma, se si ha l’avvertenza di legare strettamente le valve per mezzo d’un filo di ferro o di zinco, la sua durata è molto maggiore.
Queste sono succintamente le condizioni dell’ostreicoltura sulle rive dell’Atlantico. Nel Mediterraneo sulle coste italiane le circostanze son ben diverse e pur troppo l'industria di cui ho tenuto discorso non solo non vi ha fatto progressi di sorta, ma è in decadenza. Nello stato non esistono che tre soli stabilimenti destinati all’allevamento delle ostriche e sono quelli del Mare Piccolo di Taranto e del Fusaro, in cui nulla o quasi nulla fu innovato da molti anni8, ed un terzo, di cui mancano allo scrivente precise notizie, impiantato da poco tempo nel lago di Torre di Faro presso Messina. Nel primo l’allevamento procede in questa guisa: Nel cosidetto Mar Grande si immergono, in primavera, fascine caricate con pietre ed ormeggiate ad acconci segnali; poscia, nell’autunno, si traggono fuori e i ramuscoli di esse che sorreggono ostriche giovani, si innestano in certe corde d'erba dette libani, che son tese nel Mar Piccolo fra pali appositamente piantati, e ivi, in capo a 18 mesi o a due anni, le ostriche acquistano dimensioni e qualità commerciali. Per effetto di una malattia che nel 1836 si manifestò nelle cozze nere (Mytilus edulis) e nel 1870 attaccò anche le ostriche, recando tra esse mortalità sempre crescente, l’industria del Mar Piccolo e ora ridotta a mal partito.
Questa malattia dipende probabilmente dallo svilupparsi di parassiti microscopici. Nel paese se ne accagionano i fondi pregni di materie organiche putrefatte e la introduzione nel Mar Piccolo di certi scoli melmosi provenienti dalla Salina Grande.
È da desiderarsi che le cause di siffatta malattia sieno investigate con rigore scientifico, e si faccia qualche tentativo per rimuoverle.
Il professore Targioni che pubblicò interessanti notizie sulla pesca nelle provincie meridionali e in Sicilia afferma che le ostriche del Mar Piccolo vi si riproducono, cioè vi generano larve, ma queste non arrivano però a buon termine nel luogo stesso è si ignora se periscano o siano trasportate altrove dalle correnti. Certo è, intanto, che anche prescindendo dalla malattia, l’industria di Taranto è attualmente assai decaduta.
Dal lago Fusaro si otteneva prima del 1860 un discreto raccolto mettendo in opera piccole scogliere artificiali, combinate col notissimo sistema delle fascine; ma da allora in poi, per cause non ben conosciute, il prodotto è venuto sempre scemando tantoché è ora quasi fallita ogni speranza di ricavarne profitto9.
L’ostreicoltura, nata si può dire in Italia, rimase fra noi allo stato rudimentale e non ebbe mai impulso da parte dello Stato e dai cittadini facoltosi e guida razionale dalla scienza; non fa quindi maraviglia che essa non faccia progressi ed anzi deperisca.
L’idea di sperimentare sui litorali italiani i sistemi applicati con si buon successo sulle coste oceaniche venne in mente a più d’uno; ma convien dire che poche prove ebbero appena un principio di esecuzione ed anche queste furono tentate con mezzi impari alio scopo e in circostanze infelici, per la cattiva direzione o la scelta della località, laonde era impossibile che riuscissero.
Nei tentativi di questo genere bisogna aver presente innanzi tutto che le condizioni fisiche del Mediterraneo, massime per ciò che concerne la salsedine, la temperatura media, il moto alterno derivante dal flusso e dal riflusso sono assolutamente diverse da quelle dell’Atlantico e che le ostriche nostrane differiscono specificamente o almeno quali varietà da quelle dell’Oceano. Per conseguenza presso di noi, per quanto ha tratto all’ostreicoltura, vi sono nuovi studi da compiere, nuovi quesiti da risolvere.
Tuttavolta l’esperimento di Taranto e del Fusaro, quantunque imperfetto, ci insegna che l’Ostrea edulis del Mediterraneo può vivere e moltiplicarsi nei bacini grandi e piccoli liberamente comunicanti col nostro mare.
Da questi fatti traggo adunque la conclusione che i tentativi degli ostreicultori italiani debbano principalmente rivolgersi alle nostre grandi lagune salse. Se mal non m’appongo negli stagni d’Orbetello, di Piombino, di Salpi, di Varano, di Lesina, di Cagliari, d’Oristano, nonché nello stagnone di Marsala (secondo le accurate osservazioni dei signori professori Doderlein e N. Chicoli)10, si verificherebbero alcune delle condizioni fisiche più favorevoli per tentarvi sopra larga scala l’allevamento delle ostriche11.
L’introduzione delle pratiche della ostreicoltura nei golfi, nelle baie e anche lungo i litorali aperti del Mediterraneo presenterebbe, io credo, ostacoli assai più gravi da superare, perchè scarseggiano le località opportune e perchè il collocamento, la sorveglianza e la conservazione dei collettori risulterebbero, in generale, assai dispendiosi.
Il signor Cav. di Sambuy regio viceconsole d’Italia a Tolone, interpellato dal regio Console generale in Marsiglia, cui la Camera di Commercio di Genova avea chiesto notizie sulla coltivazione delle ostriche lungo il litorale mediterraneo delia Francia, rispose tuttavolta che, fra molti tentativi fatti per introdurre l’ostreicoltura sulle coste della Provenza, uno ne sarebbe riuscito e questo nella località di Bregaillon, nella rada di Tolone, in un punto in cui le acque sono eccezionalmente tranquille. Altrove, in mare libero, le prove, a quanto pare, andarono sempre fallite. Il Cav. Di Sambuy pubblicò sul tal soggetto una interessantissima memoria che venne alla luce nel Bollettino consolare e di poi nella Rivista marittima.
Sulle coste della Francia occidentale l’avvicendarsi delle maree permette al coltivatore d’innalzare i recinti degli ostricari, di collocare i collettori, di ripararli quando occorra, di seminare e raccogliere le ostriche e di eseguire ogni altra operazione relativa all’allevamento, sempre all’asciutto. Lungo i lidi italiani invece, il flusso e il riflusso, essendo poco o punto sensibili, tutte queste operazioni dovrebbero effettuarsi sott’acqua e quindi con gravissimo dispendio. Per la medesima ragione la sorveglianza degli ostricari non potrebbe essere abbastanza attiva.
Con ciò non voglio dire che l’industria ostrearia non sia possibile in queste condizioni; ma credo che prima di conseguire qualche risultato utile si richiederebbero, in generale, costosi lavori di preparazione e molte e svariate prove preliminari.
Perchè un tratto di mare non situato in un lago o stagno, si presti all’esperimento dell’ostreicoltura credo necessario che sia dotato dei seguenti requisiti:
1.° Acque limpide, salse o salmastre, ma in cui la proporzione delle acque dolci sia tenue. Infatti, basta l’afflusso, anche temporario, di una gran quantità d’acqua dolce in un parc o in una claire per provocare la morte di tutti i suoi abitanti;
2.° Acque tranquille, tali cioè che il molo ondoso del mare non abbia a disturbare o danneggiare gli apparecchi;
3.° Fondo prevalentemente scoglioso. Sono nocivi i fondi coperti di fango, di piccole ghiaie e di sabbia; le alghe in piccola proporzione non sono dannose, massime le alghe verdi;
4.° Acque più o meno basse, secondo i casi.
È d’uopo inoltre che la località non serva d’ormeggio alle navi, non sia frequentata da pescatori e possa essere facilmente invigilala.
Ognuno vede che tali condizioni si trovano riunite assai raramente nella medesima località.
Trattandosi di un litorale le cui acque sono in ogni tempo placidissime, parmi che gli apparecchi collettori debbano collocarsi di preferenza sui bassi fondi; ove poi le acque, comunque abitualmente calme, andassero soggette a periodi d agitazione tali da disperdere ì piccoli molluschi o da disturbare in altra guisa lo allevamento, converrebbe calarli a profondità di 10 a 15 metri, ed anche maggiori, nelle quali il moto del mare non si facesse sentire. Per quelli destinati a siffatte profondità proporrei di sperimentare le disposizioni seguenti:
Il collettore sarebbe essenzialmente formato di un piano quadrangolare di un metro di lato, fatto di legno assai rozzo, o meglio di cerchi di botte intralciati a guisa di graticcio ed assicurati ad una specie di telaio. Tutto all’intorno sarebbero saldamente fissate al piano alcune fascine verticali, dell’altezza di circa metri 1.50. Alla parte inferiore l’apparecchio riposerebbe su quattro aste di legno greggio (disposte come gambe di un tavolino e più o meno lunghe secondo la natura dei fondi) destinate a preservare il piano stesso dal contatto della melma o delle piante. Quattro pietre sufficientemente pesanti, collocate ai quattro angoli, servirebbero ad equilibrare e a far sommergere l’apparecchio, il quale si salperebbe, all’occorrenza, mediante un cavo d’erba, assicurato col mezzo di quattro cordicelle ai quattro angoli del piano, e legato ad un segnale galleggiante coll’estremità opposta.
Distribuite le ostriche madri sul piano orizzontale, i loro embrioni, incontrandosi naturalmente nei rami e nei minuscoli delle fascine, vi aderirebbero originando poscia una numerosa colonia di molluschi.
Acciocché riuscisse concludente, consiglierei di eseguire la prova con un centinaio d’apparecchi, ciascuno dei quali sarebbe munito di una ventina di ostriche madri.
L’esperienza sola può chiarire se e fino a qual segno il sistema proposto sia attuabile con vantaggio, come pure se richieda grave dispendio di sorveglianza.
Mi sembra utile di richiamar l'attenzione di coloro che bramassero introdurre l’allevamento delle ostriche, anche sui costumi e sulle attitudini delle varie specie che popolano il nostro mare.
Premetto che vivono nel Mediterraneo non meno di sei o sette specie di ostriche, la cui sinonimia è assai intricata e la cui distribuzione geografica è ancora imperfettamente nota. È probabile che alcune di esse sieno varietà locali o mutazioni di altre. Intanto anche su questo punto vi è uno studio da compiere.
Le specie meglio conosciute sono: l’Ostrea edulis, che alligna sulle coste della Corsica e della Sardegna, a Napoli, nel Fusaro, a Taranto e nell’Adriatico, l’Ostrea plicata, che abbonda nelle coste della Liguria e della Toscana; l’Ostrea fornellosa (considerala da taluni come varietà dell’edulis), propria alla Liguria, al Tirreno e certamente ad altri punti del litorale italiano; l’Ostrea cristata, essa pure piuttosto diffusa nel Mediterraneo e che vari autori uniscono alla lamellosa'; l’Ostrea cochlear che trovasi nei mari di Sardegna e dell’Italia meridionale.
L’Ostrea edulis sì attacca indifferentemente alle pietre ed al legno, la plicata soltanto alla roccia; entrambe vivono di preferenza nei bassi fondi, e perfino sopra il livello delle basse maree, ma alla prima piacciono le acque un po’ salmastre, alla seconda invece quelle che sono perfettamente salse; di più questa predilige le località alquanto battute dal mare.
All’Ostrea cristata ed alla lamellosa si confanno i fondi un po’ melmosi e non troppo bassi; talvolta esse aderiscono alle radici di zostera e ad altri corpi marini, tal’altra sono libere.
L’Ostrea cochlear sta d’ordinario in acque profondissime e vive fissala ai fondi coralligeni.
L’Ostrea hippopus (Lamarck) si considera da quasi tutti gli autori come l’Ostrea edulis invecchiata. L’Ostrea Cirnusii (Payraudeau) dello stagno di Diana in Corsica, quantunque sia riunita da parecchi autorevoli conchiologi all’Ostrea lamellosa, è ai miei occhi varietà della edulis, così come l’Ostrea stentina (dello stesso Payraudeau) si riferisce alla plicata.
Le specie ruscureana (Lamarck), senegalensis (Gmelin), rosacea (Deshayes), parasitica (Chemnitz), sono forme infrequenti e poco note, confinate alle regioni meridionali del Mediterraneo, e quindi affatto trascurabili in ordine al soggetto di cui tengo discorso.
Si potrebbe pur comprendere nel novero la volgare ostrica spinosa o ostrica rossa, la quale, secondo le migliori classazioni zoologiche, appartiene però ad un genere e ad una famiglia diversi da quelli da noi contemplati. Le spondylus gaederopus, così ha nome, questa specie presso i conchiologi, vive tenacemente attaccato agli scogli in ogni parte del Mediterraneo, in generale, a piccola profondità, e come mollusco edule è poco apprezzato.
Nello stalo attuale delle nostre cognizioni, io credo che due sole specie meritino di fissar l’attenzione degli ostreicultori; cioè: l’Ostrea edulis colle sue varietà e l’Ostrea plicata. Per queste sole le osservazioni che si possiedono intorno ai loro costumi e le prove già eseguite lasciano sperare un proficuo allevamento.
Da quanto precede emerge adunque che l’ostreicoltura non può essere esercitata in Italia nei modi e colle norme seguite sulle rive dell’Atlantico, che presso di noi manca ancora la scorta di studii e d’esperimenti sulla quale deve essere fondata siffatta industria, che finalmente essa non potrebbe prosperare, secondo ogni probabilità, in ogni parte del nostro litorale, ma solo in piccoli tratti che offrono particolari condizioni topografiche e idrografiche.
Da ciò si vede parimente come, se da un lato l’allevamento delle ostriche meriti di essere incoraggiato, non convenga, dall’altro, abbandonarsi con troppa confidenza alle speranze lusinghiere di coloro coi sembra facil cosa il convertire le nostre spiaggie marine in fertili campi subacquei.
Il problema dell’ostreicoltura è arduo quanto altri mai e non sarà risoluto che mercè prove e riprove eseguite in località appropriate e continuate con perseveranza per un certo numero d’anni.
Note
- ↑ In Liguria ho trovato le ostriche pregne di uova agli inizi di marzo, in aprile ed in maggio.
- ↑ Allorché l'emissione è imminente la massa degli embrioni assume una tinta bruna o nerastra.
- ↑ Kemmerer, De la graine d'huitre et des collecteurs-ciments, saint Jean-d'Angely, 1865.
- ↑ È noto che le ostriche morte non sono più commestibili.
- ↑ P. Fischer, l’ostreiculture dans le departement de la Gironde, Journal de Zoologie, 1874, pag. 27.
- ↑ Il Murex erinaceus è il più comune e il più dannoso agli ostricari dell' Atlantico, il M. trunculus il brandaris sono i più esiziali in quelli del Mediterraneo.
- ↑ La durata dell'operazione dipende dall'età e della condizioni del mollusco terebrante e dell'ostrica; occorrono circa otto ore perché un murice adulto possa forare un'ostrica di tre anni.
- ↑ A Taranto l'industria delle ostriche è relativamente recente e non si sa precisamente nè quando nè da chi vi sia stata introdotta; gli antichi scrittori di alieutica ne tacciono.
- ↑ La pesca in Italia. Documenti raccolti per cura del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Annali del Ministero d'Agricoltura, Industria e Commercio, vol. 1.° parte 2.a pag. 50, Genova, 1872. Intorno al Fusaro si consulteranno con vantaggio le pregiate memorie del prof. A. Costa di Napoli e quella del signor P. Pugliese intitolata: Il lago Fusaro in Pozzuoli, Napoli 1875.
- ↑ Studio della Commissione delegata dalla Società di acclimatazione ed Agricoltura in Sicilia per l'impianto dell’ostreicoltura nello stagnone di Marsala. Estratto dagli atti della Società di acclimatazione ed agricoltura in Sicilia, Tomo V, N.° 11 e 12, Palermo 1865.
- ↑ Non comprendo in questo novero le lagune Venete perchè l’immissione sempre crescente di acque dolci e di acque di irrigazione nelle medesime, fa si che in gran parte della loro estensione l'ostrica non possa più allignare. Vedansi intorno agli esperimenti d’ostreicoltura eseguiti nell’estuario veneto gli scritti del signor Riccardo d’Erco intitolati: Sulla coltura delle ostriche e sulle asterie o stelle di mare, Trieste 1862 — Opuscolo secondo sulla coltura delle ostriche, Trieste 1863.