Storie allegre/Pipì o lo scimmiottino color di rosa/IV

Pipì o lo scimmiottino color di rosa - IV

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IV.

Pipì diventa l’amico del giovinetto Alfredo.


Quando Alfredo e Pipi si trovarono soli, cominciarono a guardarsi l’uno con l’altro, senza fiatare e senza fare il più piccolo gesto.

E si guardarono per un pezzo.

Alla fine Alfredo, non potendo star più serio, dètte in una gran risata: e lo scimmiottino fece altrettanto.

E risero tutt’e due sgangheratamente, senza sapere il perchè, come ridono i ragazzi un po’ giuccherelli, quando si lasciano prendere dalle convulsioni del riso. Sfogati che si furono, Alfredo disse allo scimmiottino:

― Come ti chiami di nome?

― Pipì.

― E il tuo casato? ― [p. 45 modifica]

Lo scimmiottino ci pensò un poco; e poi, grattandosi lesto lesto il capo, rispose:

― Pipì senza casato.

― Quanti anni hai?

― Sono il più piccino de’ miei fratelli.

― E i tuoi fratelli che età hanno?

― Sono più giovani del babbo e della mamma.

― Ho capito tutto ― disse il giovinetto ridendo. Poi gli domandò:

― E la coda dove l’hai lasciata?

― Non lo so.

― Come non lo so?

― L’avrò perduta per la strada! Sono così scapato!...

― Eh via! Ti par possibile che uno scimmiottino possa perdere la coda per la strada?

Allora vuol dire che l’avrò lasciata a casa. Sono partito con tanta fretta, che non ho avuto il tempo di vedere se avevo preso con me tutto il bisognevole.

― Dimmi, Pipì, le dici mai le bugie?

― Qualche volta.... specialmente quando mi vergogno a dire la verità....

― Ti fa torto: le bugie non vanno dette mai.

― Non le dirò più.

― Raccontami dunque la verità. Com’è che hai perduta la coda?

Pipì, invece di rispondere, cominciò a strofinarsi gli occhi, poi disse piangendo:

― Me.... l’hanno.... mangiata!...

― E chi te l’ha mangiata?

― Arabà-Babbà, un coccodrillaccio, che mangerebbe anche il fuoco!... [p. 46 modifica]

― E come avvenne che te la mangiò?

― Io volevo fare il chiasso.... e lui fece per davvero.

― Oh povero Pipì!

― E che bella coda! Una coda, la creda, signore..... Come si chiama lei?

― Alfredo.

― E il casato?

― Alfredo senza casato.

― Lo creda, signor Alfredo senza casato, una coda che faceva gola soltanto a vederla. Quella coda era tutto il mio patrimonio.

― E perchè sei scappato di casa?

― Non sono scappato.... mi hanno chiuso in un sacco e mi hanno portato via.

― E ora che cosa pensi di fare?

― Qualche cosa farò. Io mi accomodo a tutto.

― Per esempio?

― Io mi contento di poco. A me mi basta di mangiare, di bere e di andare a spasso. Non domando nulla di più.

― Perchè no? Io son pronto a darti da mangiare: a patto però che tu sappia guadagnartelo. Sei avvezzo a lavorare?

― Se debbo dir la verità, invece di lavorare, io mi diverto molto più a veder lavorare gli altri.

― Sei discreto davvero! Ma chi ti darà da mangiare?

― Io confido in lei.

― Vuoi prendere il posto di mio cameriere?

― Si figuri! ― rispose Pipì, stropicciandosi insieme le due zampine davanti per la grande allegrezza.

― Fra pochi giorni — riprese il giovinetto Alfredo ― [p. 47 modifica]io partirò per fare un lungo viaggio. Durante questo viaggio, vuoi tu essere il mio cameriere, il mio compagno di avventure?

— Si figuri!

— A colazione ti darò ogni mattina cinque pere, cinque albicocche e un bel cantuccio di pan fresco; ti piace il pan fresco?

— Si figuri!

— A desinare mangerai alla mia tavola, e ti farò portare un piatto di pesche, di susine e di albicocche: ti piacciono le albicocche?

— Si figuri!

— A cena mangerai otto noci e quattro fichi dottati: ti piacciono i fichi dottati?

— Si figuri!

— Tutte le volte poi che farai qualche balordaggine o qualche cattiveria, allora con questo frustino ti affibbierò una carezza sulle gambe: ti piacciono le carezze fatte col frustino?

— Mi piacciono di più i fichi dottati — mugoló Pipì grattandosi il capo con tutt’e due le zampe.

— Accetti dunque i miei patti? — domandò Alfredo.

— Accetto tutto, fuori però che quelle carezze....

— Anche le carezze col frustino; se no, vattene!...

— Ma le carezze me le affibbierà adagino.... senza farmi male.... non è vero?

— Te le affibbierò secondo i tuoi meriti. Dunque?...

— Dunque fin da questo momento, io sono il suo cameriere, il suo segretario e il suo compagno di viaggio.

Allora Alfredo andò verso la tavola e sonò un campanello d’argento. [p. 48 modifica]

A quella chiamata si presentò il solito servo sulla porta.

― Fate passare subito il sarto, con la paniera di tutto il vestiario. ―

Il servo uscì: e dopo due minuti entrò il sarto con la paniera.

― Vestitemi quello scimmiottino con la livrea di mio cameriere ― disse Alfredo.

Il sarto, senza farselo ripetere, prese dalla paniera due scarpine scollate di pelle lustra, con un bel fiocchetto di seta sul davanti e le calzò in piedi a Pipì.

Poi gl’infilò un paio di calzoncini rossi da legarsi al ginocchio: e dal ginocchio in giù gli abbottonò un paio di piccole ghette colore di uliva fradicia.

Poi gli avvolse intorno al collo un fazzoletto bianco, inamidato e stirato a uso cravatta: lo aiutò a infilarsi una sottoveste di panno giallo e una giubbettina a coda di rondine, di panno nero, che gli tornava una pittura: e finalmente gli accomodò in testa un cappellino a cilindro, col suo bravo brigidino da una parte, come hanno tutti i camerieri dei grandi signori.

Quando Pipì fu vestito tutto da capo ai piedi, Alfredo gli disse:

― Su, da bravo, vieni qua da me e va’ a guardarti in quello specchio. ―

Lo scimmiottino si mosse franco e spedito: ma non essendo avvezzo a portare le scarpe, fece un bellissimo sdrucciolone e cadde lungo disteso.

Figuratevi le risate di Alfredo e del sarto!

Il povero Pipì faceva di tutto per rizzarsi, ma non gli riusciva. Puntava con sforzi inauditi i piedi in terra, ma [p. 49 modifica]i piedi scivolavano sui mattoni inverniciati: ed era subito un’altra musata battuta sul pavimento.

Alla fine si rizzó: e toccandosi il naso che era tutto sbucciato, disse piangendo al padroncino:

― Io.... con le scarpe non so camminare.... Io voglio andare scalzo.

― Fatti coraggio, disse Alfredo con un po’ di pazienza ti avvezzerai anche alle scarpe. In questo mondo ci si avvezza a tutto.

― Ma io ci patisco troppo.

― Pazienza! In questo mondo ci si avvezza anche a patire, diceva il mio babbo. Su, su: vieni a guardarti allo specchio. ―

Lo scimmiottino si mosse una seconda volta: ma camminava a sentita, con passo di formica, pianin pianino, come se avesse camminato sulle uova.

Giunto dinanzi allo specchio, diè appena una prima occhiata a volo: e tiratosi indietro spaventato, cominciò a strillare disperatamente:

― Oh come son brutto!... Oh povera mamma mia, come hanno sciupato il tuo scimmiottino!... Non sono più io!... Non sono più Pipì!... Mi hanno vestito da uomo.... e sono diventato un mostro da far paura. Non voglio più star qui: voglio andarmene.... voglio tornarmene a casa mia. Non voglio più questi vestitacci; no, no, no!... ―

E gridando e avvoltolandosi per terra, si levò le scarpe e le buttò nel caminetto: tirò il cappello sul viso del sarto, si strappò il fazzoletto bianco dal collo: e spiccato un gran salto, uscì fuori dalla finestra e si dette a correre per i campi.

Povero Pipì! correva e correva; ma non aveva ancora [p. 50 modifica]fatto cento passi, che sentì afferrarsi per i calzoncini dalla parte di dietro, e si trovò sollevato da terra, in bocca a un grosso cane di Terranuova.