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Pipì o lo scimmiottino color di rosa - III

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III.

Pipì cade in un gran fiume e viene ripescato.


Dopo aver camminato tre giorni e tre notti, senza prendere un minuto di riposo, finalmente la bestia che portava in groppa il sacco con lo scimmiottino dentro, si fermò tutt’a un tratto, e data una gropponata, scaricò il sacco in mezzo a una solitaria campagna.

E la gropponata fu così brusca e violenta, che il sacco, cadendo a terra, seguitò a ruzzolare sull’erba per un mezzo chilometro. Figuratevi quante capriole dovè fare, al buio, il povero scimmiottino.

Ma il momento più brutto per lui fu quando si provò a rompere il sacco per uscir fuori.

Adoperò gli unghioli, e non concluse nulla: adoperò i denti e nulla. Rifinito allora dallo strapazzo e dalla fame, cominciò a piangere come un bambino.

— Chi è che piange? — domandò un grosso topo, che passava per caso da quella parte.

— Sono io!... sono un povero scimmiottino che muore di fa.... — [p. 41 modifica]

Ma non potè finire la parola, perchè gli fu troncata a mezzo da un lunghissimo e sonoro sbadiglio, che gli scappò di bocca.

― Esci fuori, e mangerai.

― Si fa presto a dire esci fuori: ma la vuoi intendere che non posso uscire?

― Perchè?

― Perchè non mi riesce di rompere il sacco.

― Lascia fare; il sacco lo romperò io. ―

Detto fatto, il topo si distese lungo sull’erba, e cominciò a rosicchiare con quanta forza aveva ne’ denti.

Ma il sacco non cedeva, perchè era più duro del cuoio.

― Quanto tempo ti ci vorrà per bucarlo? ― domandò lo scimmiottino.

― Il sacco resiste: ma in quattro o cinque mesi spero di averlo bucato!

― Cinque mesi? ― strillò di dentro il povero Pipì ma dopo cinque mesi troverai nel sacco appena i miei ossi e i miei unghioli!... ―

E ricominciò a piangere più forte che mai.

― Chi è che piange? ― domandò un vitello, che pascolava lì vicino.

È un disgraziato scimmiottino, che non può uscire di dentro da quel sacco rispose il topo.

― Perchè non può uscire?

― Perchè il sacco è così duro, che non c’è verso di romperlo.

― Lascia fare a me, che con un cozzo delle mie corna lo sfonderò, come se fosse fatto di foglie di lattuga. ―

E il vitello, senza stare a dir altro, si tirò indietro; [p. 42 modifica]e presa la rincorsa, andò a testa bassa a battere una terribile cornata nel sacco.

― Ohi! son morto!... ― gridò di dentro il povero Pipì; e non disse altro.

Intanto il sacco, a quell’urto screanzato, riprese di nuovo a ruzzolare per terra, come una vescica piena d’aria e il topo e il vitello a corrergli dietro per fermarlo: e il sacco via.... ruzzolava sempre più lesto.... e il topo e il vitello a rincorrerlo a salti e con la lingua fuori.

E dopo aver corso una giornata intera, e, quando erano proprio lì lì per raggiungerlo, il sacco fece altri due ruzzoloni e giù.... cadde in un fiume così profondo e così largo, che non si vedevano le sponde da una parte all’altra.

La mattina dopo alcuni pescatori bussarono alla porta di un bel palazzo, e al servitore che veniva ad aprire, chiesero premurosamente:

― È alzato il padroncino Alfredo?

― Il padroncino ― rispose il portiere ― è nella sala terrena, che prende il caffè e latte.

― Avvisatelo, che stamani all’alba abbiamo pescato nel fiume il famoso sacco....

― Che cos’è mai questo sacco?

― Gli è quello che il padroncino aspetta da parecchi giorni. ―

Appena il portiere ebbe fatta l’imbasciata, tornò in un attimo sulla porta, e disse ai pescatori:

― Passate subito. ―

I pescatori entrarono col sacco sulle spalle, e giunti alla presenza del padrone, lo posarono delicatamente sul pavimento. [p. 43 modifica]

― Apritelo! ― disse il giovinetto Alfredo.

― È impossibile, signor padrone. Ci siamo provati a sfondarlo con gli scalpelli, con le scuri e co’ trapani, ma il sacco è più duro del macigno.

― Prendete questo spillo, e bucatelo. ―

E nel dir così, il giovinetto Alfredo si levò dal fazzoletto da collo uno spillo d’oro, sormontato da una grossa perla, sulla quale (cosa singolarissima!) si vedeva dipinta la testa di una bella bambina coi capelli turchini.

I pescatori presero lo spillo in mano, e guardandosi fra loro stupefatti, pareva che volessero dire: «Come è possibile che con questo spilluccio d’oro si possa forare un sacco, che ha resistito ai trapani e agli scalpelli?»

― Bucate subito quel sacco! ― ripetè Alfredo con voce di comando.

I pescatori, per atto di ubbidienza si chinarono, provandosi a infilare la punta dello spillo; e immaginatevi quale fu la loro meraviglia, quando si accorsero che lo spillo entrava con tanta facilità, come se il sacco fosse stato di polenta o di panna montata.

Appena bucato leggermente, il sacco si aprì in due parti, e lasciò vedere un povero scimmiottino, tutto malconcio, che dava appena gli ultimi segni di vita.

Alfredo prese lo scimmiottino in collo e gli bagnỏ la bocca con po’ di latte tiepido.

A poco per volta Pipì si riebbe ed aprì la bocca. Allora Alfredo gli pose in bocca una pallina di zucchero e un crostino imburrato.

Pipì inghiottì il crostino e lo zucchero, senza far nemmeno l’atto di masticarli.

Poi aprì gli occhi e li fissò negli occhi di quel [p. 44 modifica]simpatico giovinetto, che aveva per lui tante cure e tante attenzioni: e pareva quasi che volesse ringraziarlo.

Alla fine, quando a furia di latte, di crostini e di palline di zucchero, Pipì ebbe ripreso tutte le sue forze, allora saltò in terra, e stando ritto sulle gambe di dietro, cominciò a coprir di baci la mano del suo piccolo benefattore.

I pescatori, tutta gente d’ottimo cuore, commossi a questa scena, facevano i lucciconi e si rasciugavano gli occhi: ma il padroncino Alfredo disse loro:

― Andate alle vostre faccende e chiudete la porta di sala: ho grandissimo desiderio di parlare a quattr’occhi con questo scimmiottino. ―