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Pipì o lo scimmiottino color di rosa - V

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V.

Pipì promette all’amico Alfredo di accompagnarlo in un lungo viaggio, ma promette, senza credersi obbligato a mantenere.


Il cane di Terranuova era uno di quei cani pasticcioni, intelligenti, amorosi, che si affezionano al padrone, come l’amico all’amico.


Non gli mancava altro che la parola per essere quasi un uovo. Di soprannome lo chiamavano Filiggine, a motivo del suo pelame nero morato, come la cappa del camino.

Quando Alfredo si accorse che Pipì tirava a scappare, fece un fischio a Filiggine: e Filiggine, in quattro salti, raggiunse lo scimmiottino, e presolo, come già s’è detto, per i calzoncini dalla parte di dietro, lo riportò pari pari in casa del padrone.

― Perchè volevi scappare? ― gli domandò Alfredo in tono di rimprovero.

― Perchè.... perchè....

― Su, su! Rispondi con franchezza.

― Perchè io voglio tornare a far lo scimmiottino insieme col mio babbo, con la mia mamma e coi miei fratelli, e non voglio mascherarmi da uomo.

― E allora perchè, poco fa, hai accettato di essere il mio compagno di viaggio?

― Perchè credevo che fosse una cosa.... e invece è un’altra. [p. 51 modifica]

― Vuoi dunque proprio andartene?

― Anche subito.... Ma lei mi faccia il piacere di non mandarmi dietro quel solito canaccio nero, perchè, se no, Filiggine, dopo cinque minuti, mi riporta di peso in questa stanza.

― Non aver paura. Filiggine senza il mio comando, non si muove di qui. E quanto sei lontano da casa tua?

― Dimolti, ma dimolti chilometri.

― E prima di metterti in viaggio, non senti bisogno di mangiar qualche cosa?

A dirla schietta, lo scimmiottino non aveva l’ombra della fame: ma tentato dalla sua gran ghiottoneria, rispose abbassando gli occhi e facendo finta di vergognarsi:

― Un bocconcino lo mangerei volentieri! ―

Alfredo sono il campanello d’argento, e il servo portò in tavola un cestino pieno ricolmo di bellissime pesche.

Lo scimmiottino non le mangiò, ma le divorò in un baleno.

Dopo le pesche, vide presentarsi un canestro di ciliege così grosse, così mature e così rilucenti, che facevano venire l’acquolina in bocca soltanto a guardarle.

Pipì se le sgranocchiò tutte, a tre e quattro per volta: ma non volendo passare per uno scimmiottino ineducato lasciò nel canestro i nòccioli, le foglie e i gambi.

Quando si senti pieno fino agli occhi, allora si alzò da tavola, e fatta una bella riverenza, disse al padroncino di casa:

― Arrivederla, signor Alfredo: scusi tanto l’incomodo, e mille grazie della sua cortesia.

― Addio, Pipì. Fa’ buon viaggio, e tanti saluti a casa. —

Lo scimmiottino si avviò per andarsene: ma in quel [p. 52 modifica]mentre vide entrare il cameriere con un paniere di frutta, che mandavano un odorino da far resuscitare un morto.

― E quelle, che frutta sono? ― domandò, tornando due passi indietro.

― Quelle son nespole del Giappone ― rispose Alfredo. ― Le avevo fatte preparare per la tua cena di stasera. ―

Pipì rimase un po’ pensieroso, e poi disse:

― Pazienza! ― E fattosi un animo risoluto, si avviò di nuovo per partire.

Giunto però sulla porta della sala, si trattenne alcuni minuti. Quindi, volgendosi al giovinetto, gli chiese:

― Scusi, signor Alfredo, che ore sono?

― Mezzogiorno preciso.

― Mezzogiorno?... A dir la verità, mi pare un po’ tardi per mettersi in viaggio.

― Tutt’altro che tardi. Ti restano ancora sette ore di giorno chiaro, e in sette ore si fa dimolta strada.

― Ha ragione e dice bene. Dunque arrivedella, signor Alfredo, scusi tanto l’incomodo, e mille grazie della sua cortesia. ―

E questa volta partì davvero. Ma dopo un quarto d’ora, Alfredo se lo vide ricomparire in sala, tutto ansante e trafelato.

― Che cosa c’è di nuovo? ― gli domandò il giovinetto.

― C’è di nuovo ― rispose Pipì ― che questo sole sfasciato mi dà una gran noia e mi fa abbarbagliare gli occhi. Non potrebbe, di grazia, prestarmi un ombrellino di tela da pararmi il sole?

― Volentieri.

Alfredo chiamò il cameriere: e il cameriere portò [p. 53 modifica]subito un grazioso parasole, dipinto con grandi fogliami di bellissimi colori azzurri e verdi.

Pipì prese l’ombrellino, l’aprì e cominciò a girare intorno alla stanza, dando continuamente delle lunghissime occhiate al canestro delle nespole giapponesi.

― Amico mio, ― disse allora Alfredo ― se indugi un altro poco, farai notte senza avvedertene, e ti toccherà a viaggiare al buio.

― Io di giorno non so camminare ― rispose Pipi. ― O non sarebbe meglio che partissi questa sera dopo cena?

― Padronissimo di fare come credi meglio.

E nel dir così, Alfredo lasciò balenare in pelle in pelle un risolino canzonatorio, che pareva volesse dise: «Caro il mi’ ghiottone! Ho bell’e capito qual è il tuo debole: lascia fare a me, che ti domerò io!»

Quando fu l’ora della cena, Pipì senza nemmeno aspettare di essere invitato, andò a sedere alla tavola dove era seduto Alfredo: ma questi, pigliando un tono di voce serio e padronale, gli disse:

― Che cosa fate costì?

― Vengo a cena anch’io.

― Le persone che vengono alla mia tavola, le voglio veder vestite decentemente. Andate subito a mettervi la giubba.

― Io.... con la giubba.... non so mangiare. La giubba non me la metto.

― Allora ritiratevi là, in fondo alla sala, e contentatevi di assistere alla mia cena. ―

Quando Pipì si accorse che Alfredo diceva sul serio, si dètte a piangere e a strillare: e piangendo e strillando scappò dalla stanza: ma poco dopo tornò. [p. 54 modifica]

Quando rientrò nella stanza, aveva la sua giubbettina infilata e tutta abbottonata, come un piccolo milorde.

― Così va bene ― disse Alfredo. ― Mettetevi ora a sedere, e buon appetito! ―

Il canestro delle nespole fu portato in tavola.

Inutile starvi a dire che, dopo un quarto d’ora, il canestro era vuoto, e lo scimmiottino era pieno, da non poterne più.

― Ora poi me ne vado davvero, ― disse alzandosi da tavola con grandissima fretta.

Ma nel mentre che stava armeggiando per levarsi di dosso la giubbettina, il cameriere si presentò in sala con un magnifico vassoio di melagrane.

― Che odorino! ― gridó Pipi, annusando e lasciando gli occhi sul vassoio delle frutta. ― O quelle melagrane per chi sono?

― Erano per la tua colazione di domani. Ma ormai tu parti, e le mangerò io.

― Io.... partirei volentieri, ma di notte non so camminare. O non sarebbe meglio che partissi domattina, dopo fatto colazione?

― La tua camerina è già preparata. Buona notte.

La mattina dopo, all’ora di colazione, lo scimmiottino si presentò puntualmente vestito con la sua giubba di panno nero: ma il signor Alfredo, dopo averlo squadrato da capo ai piedi, gli disse con accento vivace e risentito:

― Chi vi ha insegnato a presentarvi alla tavola di un gentiluomo, senza scarpe in piedi e senza fazzoletto al collo? Andate subito a mettervi le scarpe e la cravatta. ―

Pipì confuso e mortificato, cominciò a grattarsi la testa e il naso, e piagnucolando disse: [p. 55 modifica]

― Ih... ih.... ih.... le scarpe mi fanno male.... e il fazzoletto mi serra la gola. Piuttosto voglio andar via subito.... voglio tornarmene a casa mia.

― Levatevi dunque dalla mia presenza. ―

Pipì si avviò mogio mogio verso la porta della sala: ma prima di uscire, si voltò per dare un’ultima occhiata al vassoio delle melagrane. Poi se ne andò.

― Questa volta è partito davvero, ― disse Alfredo tutto afflitto ― e me ne dispiace. Gli volevo bene, a quello scimmiottino. Che cosa dirà la mia buona fata quando saprà che l’ho scacciato? Eppure, era lei che me l’aveva fatto capitare fin qui, proprio in casa, consigliandomi a prenderlo per mio segretario e per mio compagno di viaggio! ma oramai quel che è fatto è fatto, e ci vuol pazienza. ―

Mentre Alfredo parlava in questo modo fra sẻ e sẻ, gli parve che fosse bussato alla porta della sala, e nel tempo stesso si udì una vocina di fuori che disse:

― Signor Alfredo, che mi ha chiamato?

― Chi è? ― gridò il giovinetto rizzandosi in piedi.

― Sono io. ―

La porta si aprì, e comparve lo scimmiottino.

Aveva in piedi le sue scarpettine scollate e portava la testa ritta e impalata, perchè il fazzoletto da collo, moltissimo inamidato, gli segava terribilmente la gola.

A quella vista inaspettata, è impossibile immaginarsi l’allegrezza di Alfredo. Andò incontro a Pipì, lo abbracciò, lo baciò, gli fece un mondo di carezze, come si farebbero a un carissimo amico, dopo vent’anni di lontananza. Giurarono di non lasciarsi mai più e di fare insieme questo gran viaggio intorno alla terra. [p. 56 modifica]

Il bastimento sul quale dovevano imbarcarsi, era aspettato di giorno in giorno.

Finalmente il bastimento arrivò.

La sera della partenza, Alfredo e Pipì pranzarono insieme, come erano soliti di fare. E durante il pranzo parlarono di mille cose, dissero un visibilio di barzellette, e risero e stettero allegrissimi come due ragazzi alla vigilia delle vacanze autunnali.

Alzatisi da tavola, Alfredo disse guardando l’orologio:

― Il bastimento parte a mezzanotte. Dunque abbiamo appena un’ora di tempo per dare un’occhiata ai bauli e per vestirci tutt’e due in abito da viaggio.

― In cinque minuti io son pronto ― disse Pipì; e ballando e saltando entrò nella sua camerina.

E quando fu lì, cominciò subito a levarsi la giubbettina di panno nero per infilare una piccola giacca di tela bianca; invece delle scarpine calzò un paio di stivaletti a doppio suolo, e invece del solito cappello si ficcò in testa un elegante berrettino di seta celeste.

Poi andò a guardarsi allo specchio: ma nel mentre che se ne stava tutto contento, pavoneggiandosi e facendo con la bocca e con gli occhi mille versacci grotteschi, sentì un piccolo rumore, come se qualcuno di fuori si arrampicasse per salire fino alla sua finestra di camera.

Da principio ebbe una gran paura: ma, fattosi coraggio, aprì la finestra e vide.... vide due zampe che lo abbracciarono stretto intorno al collo e intese una voce soffocata dalla consolazione e dalla gioia, che mugolava teneramente.

― Oh mio povero Pipì!... Finalmente ti ho ritrovato! [p. 57 modifica]

Babbo e figliuolo presero una viottola lungo il campo, e cominciarono a correre.

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