Storie allegre/Pipì o lo scimmiottino color di rosa/II
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II.
Come andò che Pipì perse la sua bellissima coda.
Bisogna dunque sapere che, appena usciti fuori di quella foresta, dove stavano di casa Pipì e la sua famigliola, si trovava subito un gran lago abitato da un vecchio coccodrillo, che contava oramai circa duemil’anni di vita.
Arabȧ-Babbȧ (così chiamavasi il vecchio coccodrillo) divenuto cieco degli occhi a cagione dell’età decrepita, e non potendo più guadagnarsi un boccon di pane col sudore della sua fronte, era condannato a starsene dalla mattina alla sera rasente alla riva del lago, con la testa fuori dell’acqua e con la bocca sempre spalancata, aspettando che tutti quelli che passavano di là, uomini o bestie che fossero, mossi a compassione di lui, gli gettassero in bocca qualche cosa di masticabile, tanto da non morir di fame e da tirarsi avanti almeno per un altro migliaio d’anni.
E tutti i passanti, uomini o bestie che fossero, bisogna dir la verità, non mancavano mai di fare un po’ di elemosina al povero vecchio.
E anche Pipì lo soccorreva frequentemente: ma quella birba, spesso e volentieri, invece di dargli o una frutta o un pesciolino morto, si divertiva a mettergli in bocca ora una manciata di sassolini, ora un fastello di stecchi e di ortica, ora un chiodo o un arpione arrugginito, trovati per caso lungo la strada.
Ma il vecchio coccodrillo non si arrabbiava per questi scherzi sguaiati. Tutt’altro!
Risputava tranquillamente i sassolini, gli stecchi, le ortiche e i chiodi, e soltanto scoteva leggermente il capo, come per dire:
— Bada, monello! O prima o poi, una le paga tutte!... —
Un giorno Pipì, quasi impermalito di vedere che i suoi scherzi non facevano nè caldo nè freddo, domandò al coccodrillo, atteggiandosi a ingenuo e a innocentino:
— Dite, Arabà; dacchè siete al mondo, ne avete trovati mai degl’impertinenti, che vi abbiano fatto qualche dispetto o qualche burla sgarbata?
— Se ne ho trovati, scimmiottino mio! Nel mondo, per tua regola, c’è più impertinenti che mosche.
— Dite, Arabȧ: e quando i monelli vi fanno qualche dispetto, voi non vi risentite mai?
— Caro mio! In tanti anni di vita ho imparato che la più gran virtù dei vecchi è quella di saper sopportare i giovani con pazienza e rassegnazione.
— Dunque, dacchè siete al mondo, non vi siete arrabbiato mai, mai, mai?
Il coccodrillo, prima di rispondere, ci pensò un poco, e poi disse:
— Una volta sola. E sai chi fu che mi fece andare su tutte le furie? Fu uno scimmiottino, su per giù, della tua etȧ....
— E che cosa vi fece questo scimmiottino? — domandò Pipì, con una curiosità vivissima.
― Questo monellaccio, non saprei dirti come, era venuto a sapere che io curavo moltissimo il solletico sulla punta del naso. Allora che cosa inventò per darmi noia? Salì sopra uno di questi alberi, che circondano il lago, e calandosi di ramo in ramo, arrivò con la punta della sua coda a farmi il pizzicorino sul naso. Figurati io! Mi trovai attaccato da una tal convulsione di riso, che durai a ridere e a ballare nell’acqua per una settimana intera! Credevo quasi di morire!
— Davvero!... Oh povero Arabà!... — disse Pipì con falsa compassione.
E dopo se ne andò di corsa: e a quante scimmie e scimmiottini incontrava per la strada, ripeteva a tutti ridendo queste parole:
— Volete divertirvi? volete veder ballare il vecchio Arabà? Venite domattina sul lago, e io vi farò assistere a questo bellissimo spettacolo. —
La mattina dopo, come potete immaginarvelo, c’era sulla riva del lago una folla immensa.
Tutti aspettavano che Arabà ballasse il trescone.
Quand’ecco Pipì, che salito sopra un albero sporgente sull’acqua, cominciò a calarsi giù di ramo in ramo, e tenendosi penzoloni per aria, si allungò e si distese tanto, da poter toccare con la punta della sua coda il naso del coccodrillo.
Ma il coccodrillo, appena sentì la coda di Pipì, chiuse la bocca, e zaff..., con un semplice morso dato a tempo, gliela stacco di netto fin dal primo nodello.
Lo scimmiottino cacciò un grido acutissimo di dolore: e buttandosi di sotto all’albero, si dette a scappare verso la foresta.
Arrivato vicino a casa, vi lascio pensare come rimase, quando, portandosi una mano di dietro, si accorse che la sua coda non c’era più.
La coda era rimasta in bocca al coccodrillo, che a quell’ora l’aveva bell’e digerita.
Preso dalla disperazione e vergognandosi a farsi vedere dalla sua famiglia in quello stato compassionevole di scimmiottino scodato, Pipì infilò per una viottola solitaria, camminando all’impazzata fino a notte chiusa, senza sapere neanche lui dove andasse a battere il capo.
Finalmente, non potendone più dalla stanchezza e dal sonno, si sdraiò sopra un monticello di frasche secche per riposarsi un poco.
E in quel mentre che era lì lì per appisolarsi, sentì negli orecchi una voce minacciosa, che gli gridò imperiosamente:
— Rendimi la mia pipa!... —
Lo scimmiottino, svegliandosi tutto spaventato, voleva fuggire; ma non potè: perchè in men che non si dice, si trovò preso, rinchiuso in un sacco e caricato sulla groppa di una bestia con quattro zampe, che cominciò a correre di gran carriera.
― Che bestia sarà mai quella che mi porta via con tanta foga? — pensava lo scimmiottino tremando dalla paura. Se per caso è un leone, sono bell’e perduto!... Se per disgrazia è una tigre, peggio che mai!... Se è una iena o un leopardo, non c’è più scampo per me!... Oh me disgraziato! Che bestia sarà mai quella che mi porta via con tanta foga?... —
Per buona fortuna, la bestia cominciò a ragliare.... e allora Pipì sentì allargarsi il cuore dalla contentezza.
Quel raglio fu l’unica consolazione che avesse il povero Pipì durante il suo misterioso viaggio, rinchiuso in un sacco!