Storia segreta/Capo XXIV
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CAPO XXIV.
Come poi fossero ruinati i possessori di terre dirò qui, sebbene a spiegare le loro miserie bastar debba quanto poco fa ho narrato de’ prefetti che andavano a governar le provincie, essendo prima di ogni altra cosa loro faccenda lo spogliare colle lor violenze i padroni di latifondi. Fu pratica antichissima de’ romani Imperadori il rimettere non una, ma più e più volte, le piccole partite che rimanessero da pagarsi alle casse pubbliche per imposte; e ciò facevasi perchè chi era già in misera fortuna non fosse perpetuamente per que’ debiti angustiato; nè i questori avessero occasione di tormentarli pel pagamento di tali residui. Ma Giustiniano in trentadue anni di regno non fece mai siffatta grazia ad alcuno. Per questo i poveri al ritorno delle epoche doveansi disperatamente fuggire; e le probe persone erano soggette ad interminabili calunnie, accusati di avere in addietro pagato meno di quanto le loro possessioni fossero tassate. D’onde venne che tanta povera gente, meno forse per la paura delle nuove imposte, che della minacciata esazione, grave ed iniquissima, di partite che attribuivansi a lontanissimi tempi, dovettero cedere i loro fondi o ai bricconi officiali, o al fisco. S’aggiunga, che devastate miseramente in gran parte l’Asia dalle armi de’ Persiani e de’ Saraceni, e l’Europa tutta dai saccheggiamenti degli Unni e degli Schiavoni, colle città demolite, con quasi ogni sostanza perduta, coi popoli tratti insieme colle loro robe in servitù, colle contrade intere ogni giorno messe a ruba, e da coloni abbandonate, Giustiniano mai non liberò dai tributi altri che quelle sole città, che fossero state prese dai nemici; e queste unicamente esentò per un anno. Eppure a provvedere secondo che lo stato delle cose e il tempo richiedevano, non sarebbe neppure bastata l’esenzione del pagamento de’ tributi estesa a sette anni, siccome l’imperadore Anastasio avea praticato. Cabade era partito dalle provincie dell’Imperio lasciando tutto intatto; ma Cosroe avea messo a ferro e a fuoco tutto, e in orribili calamità con ciò immersi i popoli. Or que’ medesimi, ai quali sarebbe stato un miserabile e quasi ridicolo sussidio l’esenzione di una parte del tributo, e tutti gli altri che sì spesso nell’Oriente aveansi veduti addosso i Persiani, o in Europa tanti Barbari strappar loro ogni giorno quanto aveano, trovarono Giustiniano più crudele de’ Barbari. Non appena partiti i nemici i possessori de’ campi vedeansi oppressi da decreti di annona, d’imposte, di descrizioni. Ed ecco cosa que’ decreti contenevano.
I possessori di campi doveano, ognuno in una determinata porzione, somministrare al soldato romano i viveri, e la tassa di questo tributo era fatta, non considerate le difficoltà delle circostanze attuali, ma il preesistente pubblico regolamento. Se poi ne’ loro campi non aveano quanto occorreva ai soldati e ai cavalli di questi, erano i miseri obbligati a comprarlo a gran prezzo, e dalla più rimota provincia, se così fosse d’uopo, portare i generi agli accampamenti, o dovunque i soldati stanziassero. Di più era in pieno arbitrio degli Opzioni dell’esercito1 il misurare ed apprezzare i generi; e non valeva il reclamare che si stesse alla giusta estimazione degli uomini. Annona chiamasi questa, per la quale venendo i possessori di campi annualmente a pagare un tributo dieci volte maggiore, forza è che vadano in ruina, massime se oltre a quanto l’annona militare esige, occorra di più portar frumento a Costantinopoli. Nè fu il solo Barsame che così facesse, ma così pur fatto avea Giovanni cappadoce, e così fecero que’ che vennero dopo. Tale è l’annona.
L’imposta poi è come una peste improvvisa che repentinamente gittandosi sui possessori de’ campi ne taglia dalla radice ogni speranza di sussistere. Essa consiste in questo, che si tassavano i vasti ed omai insalvatichiti latifondi, i padroni e coloni de’ quali o fossero periti, o dopo tanti mali fuggiti fossero dalla patria, ed orribilmente aggravati in alcun luogo si appiattassero. E siffatto genere di gravezza in que’ tempi principalmente ebbe corso.
Le descrizioni finalmente, per chiudere questo discorso, sono state decretate perchè dai possessori de’ campi con una tassa formante parte di tributo si risarciscano i danni in questo tempo frequentemente sofferti dalle città.
Pertanto il dire le cagioni e gli effetti di tutte queste cose sarebbe discorso da non finir più. Ben dirò che non istettero qui soltanto le disgrazie, a cui la classe delle persone, delle quali parliamo, fu soggetta. Ebbevi una pestilenza, la quale estesasi per tutto il mondo invase ancora l’Imperio romano, e in ogni luogo andò consumando gli agricoltori; e mentre per questo le campagne rimasero incolte ed abbandonate, niuna moderazione fu fatta negli annui tributi: chè anzi a nulla badandosi, quanto alla partita di ognuno, secondo che trovavasi intestato, dovea pagare, e in tutte le altre cose già accennate stavasi del pari al rigor de’ registri, e senza remissione facevansi di pagare i carichi per qualunque confinante già morto. Alle quali cose si aggiunga per colmo della condizione infelice de’ possidenti, che in fine ne’ più belli ed agiati appartamenti delle case il soldato alloggiava, e dovea essere sontuosamente trattato; ed essi intanto ritirarsi in vilissime catapecchie.
Queste cose ebbero a soffrire gli uomini regnando Giustiniano e Teodora, quando nè v’erano guerre, nè particolari estremi infortuni.
Ma come il discorso è caduto sugli alloggiamenti, non è da tacere che in Costantinopoli si diede qualche volta il caso di avere settanta mila Barbari, che i cittadini furono obbligati a ricevere nelle loro case, non ridotti con ciò solamente al disagio di trovarsi senza i comodi domestici, ma da altre difficoltà ancora travagliati.
Note
- ↑ Opzioni erano detti dai Romani quelli che davano le razioni de’ viveri ai soldati. Qui il significato pare esteso ai magazzinieri, o forse meglio ai Commissarii di guerra.