Storia segreta/Capo XIX
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CAPO XIX.
Due faziosi della parte Veneta, cilici di nazione, in una sedizione avendo violentemente assaltato Callinico, prefetto della seconda Cilicia, sotto gli occhi di lui e di tutto il popolo uccisero un mulattiere del prefetto, che trovandosi sul fatto voleva difendere il suo padrone. Egli punì capitalmente coloro, convinti e di quell’omicidio, e di molti altri. Tosto che di quel caso Teodora fu informata, volendo confermare la propensione sua verso ì Veneti, quel prefetto che ancora la provincia governava, tutto innocente qual’era, fece crocifiggere sul sepolcro di que’ due sicarii. L’Imperadore con finte lagrime mostrò di dolersi del caso di lui, si fece udire borbottare per casa, e far molte minacce contro i satelliti che l’atroce commissione eseguita aveano: ma nulla di più succedette, se non che egli non ricusò il denaro del defunto, stato confiscato.
Teodora si prese anche la cura di punire le donne, che si prostituivano; e ne fece imprigionare cinquecento, che di tale mestiere in mezzo al Foro vivevano; e fattane una mandra, le mandò di là del Bosforo, e le chiuse in un monastero, forzandole a prendere miglior tenore di vita. Per la più parte di notte tempo esse gittaronsi giù da’ tetti, e dalle finestre, preferendo la morte ad una vita, quale era quella a cui volevansi condannate.
Erano in Costantinopoli due giovinette, sorelle, illustri non tanto pei consolati dal padre e dall’avo sostenuti, quanto per l’antica gloria della famiglia, la quale era tra le senatorie una delle prime per nobiltà. Entrambe erano nella loro fresca età divenute vedove; e Teodora trovando che dire sulla onestissima loro condotta, a due della plebe infima e per ogni rispetto esecrandi uomini pensò di maritarle. Spaventate di tale attentato corsero a rifugiarsi nella chiesa di s. Sofia, si nascosero nel battisterio, e alla sacra vasca attaccaronsi colle mani; ma tanto le vessò, e in tante angustie e miserie gittolle l’Augusta, che per liberarsene dovettero cedere a quelle nozze. Così per lei non fu sicuro nemmeno il diritto di quel sacro asilo. Adunque esse, che aveano alle loro nozze aspiranti giovani di nobiltà patrizia, vennero date spose a uomini pitocchi, abbietti, e ben lontani dalla dignità di esse. La loro madre, vedova anch’essa, facendo violenza alle lagrime, e alla profonda tristezza sua, dovette assistere a quelle nozze. In appresso poi Teodora, detestando il proprio attentato, cercò di consolare quelle giovani, a dignità inalzando l’uno e l’altro marito: ma ciò non portò conforto alcuno a quelle meschine a cagione che que’ due ribaldi si condussero, siccome in breve dirò 1, verso quelli che alla loro giurisdizione erano soggetti, con una crudeltà intollerabile. Nè Teodora purchè a’ suoi capricci soddisfacesse prendevasi pena alcuna de’ riguardi dovuti alle magistrature, e alla dignità, e al bene dello Stato.
Nel tempo ch’essa era ancora sulla scena, per opera di un suo amico rimase incinta; e troppo tardi se ne accorse, perchè potesse fare effetto quanto a sconciarsi, come era solita fare in simili occorrenze, giovar le potesse: onde fu costretta a seguire il corso della natura, e a partorire. Ma veggendo quegli, che del nato figlio era genitore, com’ essa era trista e sdegnata del parto, perchè non poteva a cagione del medesimo continuar nel mestiere di guadagnare prostituendosi, temendo ch’ella attentasse alla vita del fanciullo, se lo portò seco in Arabìa, ove già pensava dianzi di andarsene. Died’egli a quel fanciullo il nome di Giovanni; e di poi, venuto il padre prossimo alla morte, già fatto il figlio adulto, alla madre fece sapere tutto l’occorso. Quel figlio, fatti i funerali convenienti al padre, dopo un certo tempo venne a Costantinopoli, e a’ famigli che potevano aprirgli l’ingresso alla madre, raccontò quanto lo riguardava. Credettero essi che essendo madre nulla d’inumano avrebbe macchinato contro di quel giovine; e le annunciarono essere suo figlio Giovanni in anticamera. Ma paventando ella che il marito giugnesse a sapere la cosa, fattosi venire innanzi il figlio, ad uno de’ domestici, che in tal genere di affari le serviva, lo consegnò; e che fine avesse quel misero non si seppe mai; nè, morta ch’essa fu, alcuno lo vide.
Nel tempo, che io discorro, corrottissimi erano i costumi di quasi tutte le donne, le quali impunemente con somma licenza peccavano verso i mariti, e querelate d’adulterio, venivano rimandate libere da ogni pena. Imperciocchè interpellata immantinente l’Imperatrice, se contro di esse fosse uscita sentenza, era riveduto il processo, e giudizio affatto contrario pronunciavasi. Nè solamente andavano esse immuni dalla pena del loro delitto; ma davasi a delitto ai mariti che non avessero addotte giuste prove; e condannavansi a pagare ad esse doppia dote; e molti in oltre erano battuti, e cacciati a marcire in carcere, e ridotti a vedere quelle imbellettate adultere liberamente vivere in braccio ai loro corruttori, i quali ottenevano anche dignità e posti eminenti in premio della loro scelleraggine. Per lo chè i mariti per la maggior parte, onde non esporsi a maggiori guai, dissimulavano piuttosto l’empia lussuria delle mogli; e molte volte ne coprivano gli eccessi, perchè non si facessero palesi.
Teodora di tale maniera si era fatta arbitra del governo, che a capriccio suo creava Magistrati, e Sacerdoti: ogni sua cura di più mettendo affinchè alcun probo ed integro uomo, che a lei non avesse voluto ubbidire, non giugnesse mai ad ottenere dignità. Volle inoltre tutto presso di sè il diritto de’ matrimonii; e nissuno poteva farsi sposo a sua volontà; ma improvvisamente avveniva che dovesse prendersi per moglie, non la donna come pur s’usa anche tra i Barbari, che a lui piacesse, ma quella che piacesse a Teodora. E questa era pure la sorte delle fanciulle, che doveano sposare contro loro voglia l’uno o l’altro uomo, che loro venisse indicato.
Sovente accadde che violentemente essa strappò dal talamo la sposa, e ruppe il matrimonio di chi altamente sdegnato gridava non acconsentire egli a tal fatto. Questa ingiuria essa fece a molti, ed in particolare al referendario Leonzio, e a Saturnino, tosto che dopo gli sponsali fu morto Ermogene, maestro degli officii. Avea Saturnino per pronipote una donzella nubile, libera ed onesta, la quale, mancato di vita Ermogene, Cirillo, padre di lei, avea a Saturnino fidanzata. Era già stato apparecchiato per gli sposi il talamo, quando Teodora fece cacciare Saturnino in prigione: indi tratto poi in mezzo alle querele e alle lagrime alle nozze della figliuola di Grisomella. Fu Grisomella prima saltatrice, poi postribola; e allora viveva nella reggia stessa in intima famigliarità con Teodora, come pur viveavi Indara: le quali invece del bordello, e del teatro applicavansi agli affari della repubblica. Saturnino intanto, essendosi giaciuto colla sposa, la trovò guasta, e il riferì ad uno de’ suoi amici. Di che informata Teodora, a’ servi suoi ordinò che preso Saturnino da uno sulle spalle, come usa farsi ai fanciulli nelle scuole, gli altri lo flagellassero come vantatore temerario e spergiuro; e mentre veniva sul dorso battuto a sangue, essa medesima gli andava dicendo che imparasse a frenare la lingua.
Che supplizio facesse soffrire a Giovanni cappadoce, negli altri libri si è detto: nè vendicava essa le male opere fatte da lui in danno della repubblica, che più gravi ancora in altri andavano impunite, ma torti puramente privati. Quel Giovanni avea avuto il coraggio di resistere alla volontà di lei, e di accusarla una volta all’Imperadore, il quale poco mancò che non rimanesse contro di lei concitato. Egli è qui, come dissi, che debbo ricordare leverò cagioni di quel fatto. Allora essa, conforme narrai, assai mal concio lo mandò in Egitto; ma non cessò di vessarlo in ogni maniera, e di cercare contro di lui falsi testimoni. E in fatti quattro anni dopo, trovato avendo tra i sediziosi di Cizico due Prasini, i quali dicevansi essere di quelli che violentemente aveano dato addosso al vescovo, capaci di fare quanto essa desiderava, si mise a tentarli e colle promesse di premii, e colle minacce di gravi gastighi. Uno di coloro, dalle minacce spaventato, ed allettato dalla speranza, si dichiarò pronto anche ad assassinare Giovanni: l’altro non ebbe cuore di prestarvisi, quantunque fosse messo a’ tormenti a modo da credersi sul punto di perire. Con questo mezzo adunque Teodora non potè giungere a ruinare Giovanni. Intanto però fece essa tagliare la mano destra ad entrambi coloro; a quest’ultimo perchè ricusò di prestarsi alla scellerata opera che voleasi; all’altro perchè non si sapesse l’insidia da lei tramata. Il che vuol dire, che cercava che agli altri fosse occulto il modo di quanto poi apertamente si faceva nel Foro.
Note
- ↑ Di questi non trovasi che Procopio abbia più parlato: il che accusa qualche lacuna.