Storia segreta/Capo VII
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CAPO VII.
Avea Teodora alcune carceri recondite, astruse, lontane da ogni abitazione, e tanto tetre, che in esse non distinguevasi giorno da notte. In queste ritenne essa per molto tempo Fozio. Ma non si sa per quale accidente, una o due volte ebb’egli opportunità di fuggire. La prima volta corse a ripararsi nel tempio della Madre di Dio, in Costantinopoli santissimo luogo, e di gran nome; ed ivi fermossi supplice abbracciandone l’altare. Di là per scellerata violenza strappato, fu di nuovo rinchiuso in quelle carceri. La seconda volta gli riuscì di nascondersi nell’interno Santuario del tempio di s. Sofia, luogo con solenne rito consecrato dalla religione de’ Cristiani; ed anche di là non ebbe essa orrore di farlo trarre, niun santo luogo salvo essendo dalla violenza di lei, che per nulla s’ebbe il violare ogni sacra cosa. E quantunque e il popolo, e i sacerdoti detestassero ed esecrassero un tanto sacrilegio, tutto a lei cedette. Erano già tre anni, dacchè Fozio vivea in tanto squallore, quando dormendo parvegli vedere Zaccaria profeta, il quale gli ordinasse di fuggire, promettendogli aiuto. Incoraggiato da tale visione nascostamente uscì di là; e dopo aver potuto rimanersi incognito a pressochè innumerabili persecutori, finalmente giunse a Gerusalemme, ove tagliatasi la chioma, e preso l’abito di monaco, potè salvarsi dalla carnificina di Teodora. Belisario trascurò di recare aiuto a lui da tante, e tanto ingiuste calamità oppresso, in ciò operando contro la fede che con giuramento, secondo che dissi, gli avea promessa. E ben lo punì il divin Nume in tutte le sue imprese di poi contrariandolo: imperciocchè ito poco dopo contra i Persiani, e contra Cosroe per la terza volta entrato a devastare le provincie romane, quantunque con laude ne discacciasse il nemico, pur ne trasse macchia di obbrobrio. E fu per questo, che avendo Cosroe, passato l’Eufrate, presa Callinico, città popolatissima e sprovveduta di ogni presidio, menandone via infinita moltitudine di Romani, Belisario non curò d’inseguirlo, ma si tenne chiuso ne’ suoi alloggiamenti: sicchè ingerì sospetto o di essersi a bella posta condotto male così, o d’avere secondati i nemici colla sua poltroneria. Altra cosa pur gli accadde circa il tempo medesimo. Infierendo in Costantinopoli tal pestilenza che mieteva una moltitudine di abitanti, come rammentammo ne’ libri antecedenti, venne ad ammalarsi l’imperador Giustiniano sì gravemente, che s’era perfino detto che fosse morto. Di questa morte la fama giunse all’esercito, dove alcuni dei prefetti incominciarono a dire che se si permettesse al popolo di Costantinopoli di proclamare un Imperadore, essi sarebbero stati obbligati a rimanersi perpetuamente ne’ campi. Poco dopo l’Imperadore incominciò a ristabilirsi in salute; ed allora i capitani dell’esercito si misero a denunciarsi l’un l’altro di quella diceria; e Pietro, e Giovanni Elluone sostenevano per autori della medesima Belisario, e Buze. Teodora credendo di quella diceria essere stata essa l’oggetto, montò in tanta ira, che subitamente ordinò che tutti si recassero a Costantinopoli; ed ivi fatta perquisizione degli autori, improvvisamente chiamò Buze nel gineceo, come se ragionar volesse con lui di qualche gravissimo affare. Era nella reggia un carcere sotterraneo e sicurissimo, a cui scendevasi per lunghi andirivieni; e sarebbesi detto simile al Tartaro. In questo, in cui tenevansi incatenati quelli, che a lei erano odiosi, fu strascinato Buze, uomo consolare; e lungo tempo in tale sentina restò sepolto, senza che di lui si sapesse novella. Imperciocchè niun segno apparendo là dentro nè di dì, nè di notte, sprofondato in quelle tenebre nè poteva egli dire, nè altri poteva sapere che cosa fosse di lui; e quegli, che ogni giorno gli buttava il pasto come fassi a fiera, per comando dovea tenersi muto. Credeasi già che Buze fosse morto; e nissuno ardiva far ne’ discorsi alcuna menzione di lui, quando due anni e quattro mesi dopo, avendo forse eccitata qualche commiserazione, mandato fuori di là guardossi da tutti come un uomo risuscitato. Ma da quel tempo incominciò a non vedere più lume, e sempre fu del resto ammalato. Così accadde a Buze. Belisario poi, sebbene di niun delitto accusato, ad istanza dell’Augusta venne tolto di carica dall’Imperadore, dato in sua vece il comando dell’esercito di Oriente a Martino; ed i soldati armati di scudi, e quelli armati d’asta, e la rimanente guardia di Belisario, delle cose di guerra peritissima, conceduti ad alcuni primati di corte, ed agli eunuchi, i quali tutti, tirando costoro a sorte, così anche armati si spartirono tra essi. Oltrecciò agli amici, che dianzi si fossero in alcun modo interessati per lui, proibì di praticarlo. E fu certamente miserabile spettacolo ed acerbo, e non facile a credersi, quantunque veduto da tutti, Belisario, sì grande dianzi, e allora ridotto a privato stato, camminar solo per la città cogitabondo e triste, pien di timore di vedersi ad ogn’istante insidiato e scannato. E poichè l’Augusta avea udito che nell’Oriente era una grande somma di denaro, la quale tenevasi a conto di Belisario, commise ad uno de’ regii eunuchi che avesse, a farla trasportare alla capitale. Queste cose l’Imperadrice fece in grazia di Antonina, che volea male a Belisario; ma più ancora per l’amore, e la gratitudine, che a lei la legava a cagione di quanto quella avea fatto in ruina di Giovanni cappadoce. Ed ebbe poi spezialmente in idea, che se una volta ad Antonina paresse di chiederle in grazia il reo marito, e di liberarlo da tante calamità, egli tanto afflitto, non solamente si riducesse a deporre ogni disgusto colla moglie, ma le fosse pubblicamente, e come in trionfo tratto dietro a guisa di un mancipio salvato dalla morte. E così diffatti accadde. Una mattina Belisario, com’era suo costume, recossi al palazzo di corte, accompagnato da pochissimi servi, abietti e sordidi. Presentatosi all’Imperadore e all’Augusta, nè avuto da essi il minimo cenno di benevolenza, anzi coperto di contumelie per parte di vilissime ed infami persone, verso sera s’incamminò a casa, per istrada di tratto in tratto voltandosi indietro, e qua e là guardando se per avventura sicarii si movessero a dargli addosso per ammazzarlo. Poscia entrato in camera tremebondo si assise solo sul letto, niun pensiero degno di uomo forte volgendo in mente, e dimentico affatto di quello ch’egli era stato. Ivi rimanevasi tutto grondante di sudore sotto il peso dell’esulcerato animo, e pien di paura, e trepidante vilmente all’immagine della morte. Antonina affatto ignara di questo, che nemmeno per ombra avrebbe potuto figurarsi, si andava traendo per le camere, allegando mal di stomaco, con ciò volendo da più grave sospetto allontanare il marito: quando ecco dopo il tramonto del sole dalla reggia venuto Quadrato, trapassato l’atrio si presentò improvviso all’uscio della camera, dicendosi dalla Imperatrice spedito. A tal detto Belisario perduta ogni forza de’ piedi e delle mani cadde boccone sul letto, in atteggiamento di lasciarsi uccidere: tanto ogni fortezza d’animo lo avea abbandonato! Quadrato fermo innanzi a lui tuttavia, teneva in mano una lettera dell'Augusta che diceva così = Quanto abbi fatto contro di noi, uom preclaro, tu lo sai. Ma l’essere io di assai tenuta a tua moglie, fa che a riguardo di lei ti perdoni i tuoi delitti. A lei concederò la tua vita. Per lei in appresso potrai sì di tua salvezza, che della tua fortuna sperare. Ma quale sii per dimostrarti verso Antonina, sappi che coi fatti tu avrai da dichiararlo a noi =.
Letti ch’ebbe Belisario questi sentimenti, in tutt’altro uomo per l’allegrezza cambiossi; e desiderando di avere Quadrato ancor presente a testimonio dell’animo suo, a un tratto gittossi ai piedi della moglie, le prese colle mani le gambe; e or l’una, e or l’altra pianta baciandole, lei autrice chiamava di sua salvezza, che lui, non marito, ma schiavo in sempiterno avrebbe. Del tanto valsente poi, ch’erasi confiscato a Belisario, tre mila libbre d’oro l’Augusta attribuì all’Imperadore, e il rimanente a lui, il cui caso non fu dissimile da quello di Gelimero e di Vitige, che la fortuna gli avea conceduto di soggiogare.