Storia di Torino (vol 1)/Libro IV/Capo IV

Libro IV - Capo IV

../Capo III ../Capo V IncludiIntestazione 3 ottobre 2023 75% Da definire

Libro IV - Capo III Libro IV - Capo V
[p. 288 modifica]

Capo Quarto


Amedeo viii succede nei dominii di Piemonte al principe d’Acaia, col titolo di conte di Piemonte. — Ad Amedeo suo figliuol pri­mogenito dà il titolo di principe di Piemonte. — Morte di quest’ultimo nel 1431.


Quando finì la linea mascolina de’ principi d’Acaia, teneva il freno della monarchia di Savoia Amedeo viii, principe, quant’altri mai fosse, avveduto e prudente, di spiriti elevali, di sottili accorgimenti, uso soprattutto ad antiveder da lontano i successi, e a pre­pararli in modo che gli riuscissero utili se si potesse, e ad ogni modo non pregiudicievoli.

E come signor sovrano, e come agnato egli pigliò possesso del Piemonte, ed è un ritrovato di qualche anima innocente quello che narra Guichenon, che il duca lasciò al Piemonte la facoltà di darsi a qual principe meglio gradissero, e che i Piemontesi non vollero altro signore che lui.

Il suo regno in generale fu quieto, preferendo [p. 289 modifica]egli le negoziazioni all’armi. Apparecchiato alla guer­ra, sì che desiderata ne fosse l’alleanza, mandava ambasciatori in luogo d’eserciti; ed avea egli sì gran fama di savio, che dall’Italia e dalla Francia era desiderato quale arbitro e mediatore. Due sole guerre ebbe al di qua dai monti, e niuna ne trattò in per­sona. La prima, che non merita questo nome, fu per correggere due marchesi di Ceva, i quali a pregiudicio de’ Cuneesi voleano mutare in proprietà l’ipoteca che aveano su Borgo S. Dalmazzo e sulla valle di Gezzo (1424). La seconda fu co’ Veneziani, Fiorentini ed altri principi e Stati, contea Filippo Maria Visconti duca di Milano nel 1426. Secondo i patti della lega, Milano colla miglior parte del du­cato dovea appartenergli. Le armi d’Amedeo viii fecero molli progressi nel Vercellese. Ma poco tardò a porger l’orecchio a pratiche d’accordo; e l’anno seguente ricevette da una mano la cession di Ver­celli dal Visconti, e dall’altra gli diè in isposa la figliuola Maria, non atterrita dalla sciagura di Bea­trice di Tenda.

Aveano sull’animo d’Amedeo viii gran predominio le idee religiose. Egli fondava chiese e conventi, procurava l’acquisto d’insigni reliquie, mostrava grandissimo zelo nel convertir giudei ed eretici, non minor severità nel punirli. Tutti i giudei di Savoia raccolse nel castello di Ciamberì, e li fe’ in sua pre­senza divisare con un segno che li facesse conoscere, [p. 290 modifica]siccome era prescritto da antichi concilii. Fece esa­minare i loro libri, e quanti ne furon trovati con­tenere alcun vitupero della legge cristiana, tanti ne fece ardere. Aveva in animo di pellegrinare ai luo­ghi santi, ma gli affari di stato non glielo consen­tirono. Succeduto a principi che dell’antica caval­leria aveano tutti i pregi ed anche i difetti, ei non volle in ciò imitarli, e fu di costumi intemerati. Vedovo da più anni, avendo anche perduto il suo primogenito Amedeo, principe di belle speranze, egli ebbe vaghezza di ritirarsi dal mondo; ma an­che in ciò si scoperse l’indole sua nemica de’ par­titi estremi. Questo principe avea fondato sulle rive del lago temano poco lungi da Tonon, in un sito solitario, posto fra una selva e il lago chiamato Ri­paglia, un convento di canonici regolari di S. Ago­stino. Appresso a quello fece Costrurre sei magioni, l’una dall’altra appartata, per sei romiti; ed una settima più elevata e più nobile per sè. Scelse a compagni sei provetti cavalieri, sciolti come lui dal legame del matrimonio, e per isperienza di cose di stato, per armi, per ambasciate chiarissimi, e con essi sotto l’invocazione del glorioso martire S. Mau­rizio, si ritirò a far vita solitaria, in tonaca da ro­mito, con barba lunga e bastone, senz’altra distin­zione che una croce d’oro pendente dal collo. Chiamaronsi cavalieri di S. Maurizio. Il duca aveva abbandonato al figliuolo la spedizione delle minute [p. 291 modifica]faccende giornaliere, ma provvedeva co’ suoi cava­lieri, che formavano il suo consiglio segreto, intorno agli affari più gravi; dimodoché il continuo andar di messaggieri e di ministri, disturbava alquanto la quiete di quel luogo, nel quale Amedeo partiva il suo tempo fra le preghiere, e gli uffizi divini, e l’amministrazion dello Stato.

Sul finire del 1439 il concilio di Basilea che avea creduto di poter deporre dal papato Eugenio iv, si pensò anche di potergli surrogare Amedeo viii che pigliò il nome di Felice v. Come ciò avvenisse si vedrà più opportunamente nella Storia della Mo­narchia di Savoia. Qui basta notare che molti Stati d’Europa obbedivano a Felice v come a vero pon­tefice, finché questi, per cessar lo scisma che tra­vagliava la Chiesa, rinunziò nel 1449 spontaneamente a quel grado sublime. Fu questa l’azione la più glo­riosa per lui, la più utile al mondo. Un’altra pu­rissima gloria sua, son gli statuti, ossia il corpo di leggi che pubblicò con questo titolo nel 1430; leggi buòne per sé, siccome quelle che contengono pre­cetti di molta sapienza; buone ancora perchè for­marono il primo legame generale tra le varie genti abitatrici de’ municipii e de’ feudi, perchè furono la prima potente manifestazione dell’idea di nazio­nalità. Un’altra ancor più significativa dimostrazione di questa idea diede Amedeo viii sei anni dopo, radunando per la prima volta i tre stati. [p. 292 modifica]Dopo la rinunzia Amedeo, rimasto primo cardinale vescovo colle insegne pontificie, e colle facoltà di legato a latere, visse ancora più d’un anno, del quale passò una parte in Piemonte, occupandosi in affari di religione e di stato, e morì a Ginevra il 7 di gennaio del 1451.

Ristringendo ora il nostro discorso ai successi Torinesi, diremo che, cinque giorni dopo la morte dell’ultimo principe d’Acaia, e così il 16 dicembre del 1418, Amedeo viii era in Torino, pigliava il titolo di conte di Piemonte, mentre al figliuol primogenito riservava con bizzarra anomalia quello di principe di Piemonte; e riceveva nella sala di paramento del castello il giuramento di fedeltà che un della Rovere e un Gorzano prestavangli a nome della città di Torino colle ginocchia piegate, e colle mani poste entro le mani del duca, secondo lo stile dell’omaggio ligio; co’ medesimi patti e capitoli con cui si faceva tale omaggio, si prestava tale ubbidienza ai principi d’Acaia.

Era capitano del Piemonte, o come ora si direbbe governatore generale, Arrigo di Colombier. Ed un consiglio che era insieme consiglio di Stato e corte di giustizia risedeva a Pinerolo, ma venne ben presto a Torino che già pigliava aspetto e dignità di vera capitale del Piemonte. Le prime cure del duca si volsero allo studio di Torino, e fin dall’agosto 1419 il Colombier spediva a Milano Francesco Tomatis, [p. 293 modifica]professore di leggi, onde condurre a Torino un altro famoso dottore. Cristoforo di Castiglione. Nel 1420 Amedeo viii raccomandava al Colombier l’osservanza de’ privilegi dell’alma sua figliuola, l’università di Torino; il che non impedì che poco dopo fosse la medesima trasferita a Chieri, e poi a Savigliano, come vedremo a suo luogo.

Nel 1424 e nel 1425 Giovanni di Montluel, capi­tano del Piemonte superiore, fece l’impresa del borgo S. Dalmazzo e della valle di Gezzo, e vi concorsero le milizie torinesi, come concorsero naturalmente alle altre guerre del duca.

Nella primavera del 1427 giunse a Torino il figliuol primogenito d’Amedeo viii, chiamato pure Amedeo, grazioso giovanetto che portava il titolo di principe di Piemonte; il 9 d’agosto del 1431, si conchiudeva il suo matrimonio con Anna, figliuola del re di Cipro, mentre appunto per ordine del padre ei si movea con uno stuolo d’armati ad incontrare l’imperator Sigismondo: ma in que’ giorni stessi in­ fermato venne a morte prima del 19 d’agosto, e fu sepolto a Pinerolo. Il castello di Torino era l’ordi­naria sua stanza.