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libro quarto, capo quarto 289

egli le negoziazioni all’armi. Apparecchiato alla guer­ra, sì che desiderata ne fosse l’alleanza, mandava ambasciatori in luogo d’eserciti; ed avea egli sì gran fama di savio, che dall’Italia e dalla Francia era desiderato quale arbitro e mediatore. Due sole guerre ebbe al di qua dai monti, e niuna ne trattò in per­sona. La prima, che non merita questo nome, fu per correggere due marchesi di Ceva, i quali a pregiudicio de’ Cuneesi voleano mutare in proprietà l’ipoteca che aveano su Borgo S. Dalmazzo e sulla valle di Gezzo (1424). La seconda fu co’ Veneziani, Fiorentini ed altri principi e Stati, contea Filippo Maria Visconti duca di Milano nel 1426. Secondo i patti della lega, Milano colla miglior parte del du­cato dovea appartenergli. Le armi d’Amedeo viii fecero molli progressi nel Vercellese. Ma poco tardò a porger l’orecchio a pratiche d’accordo; e l’anno seguente ricevette da una mano la cession di Ver­celli dal Visconti, e dall’altra gli diè in isposa la figliuola Maria, non atterrita dalla sciagura di Bea­trice di Tenda.

Aveano sull’animo d’Amedeo viii gran predominio le idee religiose. Egli fondava chiese e conventi, procurava l’acquisto d’insigni reliquie, mostrava grandissimo zelo nel convertir giudei ed eretici, non minor severità nel punirli. Tutti i giudei di Savoia raccolse nel castello di Ciamberì, e li fe’ in sua pre­senza divisare con un segno che li facesse conoscere,