Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Libro terzo/Capo secondo

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CAPO SECONDO

(Dall’anno 733 al 936.)

I. Dominio de’ Bizantini in Italia verso la metà del secolo ottavo. Guerre civili in Affrica. Gli Aglabiti. II. Avventura di Eufemio. I Saracini in Sicilia. Loro conquiste. III. I Saracini in Calabria. Guerra tra Bizantini e Saracini, e sue vicende. IV. I Saracini di Sicilia si ribellano. Abulabba, figlio del Califfo d’ Affrica viene a soffogare la ribellione. Corsa di Sveropulo, re di Dalmazia, sino a Reggio. Abulabba assalta Reggio. Il Metropolita Reggino è fatto prigione da’ Saracini. Il Califfo Abramo in Reggio; e poi muore in Cosenza. V. Reggio è ricuperata dai Bizaniini, e diviene sede del Duca di Calabria. La Calabria è detta Sicilia. Prosperità di Reggio. I Saracini in Squillace. E loro capo Abstaele, poi Olcobechio. VI. Eustrazio Duca di Calabria. Tratta la pace co’ Saracini. VII . Giovanni Mazzalo Duca di Calabria. È ucciso da’ Reggini, che levandosi a tumulto, si danno a Landolfo I Duca di Benevento. Leonzio Metropolita di Reggio. Il corsale Abusaide in Sicilia. Reggio è assalita e presa da’ Saracini di Affrica, ma i Saracini di Calabria, condotti da Olcobechio, la ripigliano. VIII. Bizantini, Calabresi ed Amalfitani si collegano contro i Saracini. Olcobechio resta sconfitto; e Reggio è racquistata da’ Cristiani. Il capitano Saracino si rifà, e ritoglie Reggio; ma è ucciso da’ suoi in Squillace. IX . Saclabio nuovo capo de’ Saracini di Calabria. Battaglia de’ Saracini presso Reggio. Conquiste di Saclabio in Calabria. I Calabresi si riscuotono, e disfanno Saclabio. Calabresi, Pugliesi, Amalfitani, e Giovanni Duca di Napoli si stringono contro i Saracini. Vittoria de’ Cristiani, e morte di Saclabio.


I. Intorno alla metà del secolo ottavo (An. di Cr. 744.) una crudel pestilenza travagliò grandemente la Grecia, la Sicilia e la Calabria. Ivi a pochi anni Astolfo re de’ Longobardi, venendo colle sue armi contro Ravenna, e dando dentro ai paesi dell’Esarcato, conquistò tutto in brevissimo tempo, sedendo imperatore d’Oriente Costantino IV. (An. di Cr. 753.) Non rimase allora altro a’ Bizantini che la Sicilia, il Ducato di Napoli, il Ducato di Gaeta, e quelle città che componevano il Tema di Calabria, come Gallipoli ed Otranto nell’antica, e Reggio, Gerace, Santa Severina, Crotone, Amantea, Agropoli ed il Promontorio di Leucosia.

Intanto in Affrica alla dinastia degli Ommiadi fondata da Moavia succedeva dopo tante guerre civili quella degli Abassidi; così detta da Abul-Abbas, Califfo de’ musulmani d’ Affrica, d’Asia, e di Spagna. Poco appresso la città di Bagdad diveniva capo del califfato d’Oriente, e n’era fondatore Almanzor. E così Cordova era fatta sede del califfato di Occidente, proclamatone Emiro Miramolino. Sicchè dopo la caduta degli Ommiadi si partì in due califfati l’Impero arabo.

I Saracini avevano già conchiusa una nuova pace cogl’imperatori d’Oriente, la quale poi fu maggiormente rifermata dall'Imperatrice Irene; ma però col vergognoso patto che l’Impero dovesse pagare a [p. 115 modifica]que’ Barbari, a titolo di donativo, un annuo tributo. Il secolo nono si apriva con una nuova dinastia saracina. (An. di Cr. 800). Abramo Aglab fondava un nuovo stato indipendente nell’Affrica cartaginese e tripolitana; e Cairovano, città nel regno di Tunisi presso l’antica Cirene, n’era creata capitale. Questa sua dinastia prese nome degli Aglabiti. In questo stesso anno papa Leone IV in San Pietro ornava della corona imperiale Carlo Magno, il quale, dopo circa quattrocento ottant’anni riconduceva in Occidente l’imperial maestà, ch’erasene dipartita con Costantino.

II. E ne’ principii di questo secolo nono dovevano i Saracini ritornar in Sicilia, ed assodarvi la loro signoria. (An. di Cr. 821). Era imperatore di Costantinopoli Michele II, pretore di Sicilia Fotino Gregora, patrizio di Messina Eufemio. Eufemio, amando perdutamente Omoniza bellissima giovanetta che si era consecrata a Dio, tanto di se la invaghì, che ebbela alle sue voglie, e ne conobbe gli ultimi termini di amore. Del qual sacrilegio si fece un gran dire, ed Eufemio minacciato nella vita dagli offesi fratelli della fanciulla, e proseguito dalla giustizia, si tolse di Messina, e cercò rifugio nell’Affrica. (An. di Cr. 828). Recatosi a Cairovano, si appresentò al califfo Allà, figlio di Aglab, e gli espose quanto fosse facil cosa a’ Saracini levar la Sicilia a’ Bizantini, già divenuti corrottissimi ed odiatissimi oppressori. Allà, a cui l’impresa di Sicilia stava già nell’animo da gran pezza, accolse lietamente la proposta di Eufemio, e fatto appresto di potente armata con numerosa fanteria, diede l’assunto dell’espedizione al prode Benalfera. Partì questi per Sicilia con quarantamila Saracini, e navigando per il Capo Lilibeo, sbarcò in Selinunte, la quale prima fra le città dell’isola provò la feroce possa del Barbaro. Andò ivi all’incontro de’ Saracini Eufemio colle sue genti, e loro congiuntosi procedettero insieme all’oppugnazione di molte città dell’isola. Lilibeo fu pure espugnato, e tanto piacque a’ Saracini, che gli mutarono il nome in Marsala (Mars-Allah) che vale Porto di Dio. Ma Eufemio però non godette a lungo il frutto della sua tradigione; poichè quando meno di ciò si guardava, fu scannato nelle vicinanze di Siracusa da’ fratelli della messinese Omoniza.

I Saracini intanto, vincendo ogni ostacolo che si tramezzasse al loro impeto, vennero in poco tempo signori delle principali città del litorale siciliano. Occuparono Messina, (An. di Cr. 831), cacciandone Teodato che n’era Strategò, presero Lipari, ed a mano a mano passando da una ad altra vittoria, misero l’assedio a Palermo sede del Pretore di Sicilia; e la ottennero. Dopo la perdita di Palermo [p. 116 modifica]Bizantini trasferirono la sede del Pretore in Siracusa come più centrale alle parti di Sicilia che rimanevano tuttavia in lor potere. Ma finalmente si ridusse a tale il dominio de’ Bizantini, che loro non restavano nell’isola altre città che Siracusa, Taormina e Rametta. Espugnata poi Siracusa, (An. di Cr. 871) la sede del Pretore passò a Taormina. Così gli Aglabiti collocavano in Sicilia una branca della loro dinastia, e primo a governarla era Moamedo.

III. In questo mezzo i Saracini, usando della loro fortuna, eressero l’animo a far l’acquisto della Calabria, dove già erano cominciate da più tempo le loro correrie. Ed una banda di Saracini aveva presa stanza in Amantea, (An. di Cr. 870) avendo a condottiero Adalcimo. La Sicilia e la Calabria erano chiamate da’ Saracini con nome collettivo la Gran Terra, forse per un’allusione storica al classico nome di Magna Grecia.

In questo termine erano le cose quando Basilio imperatore d’Oriente, (An. di Cr. 888), rodendosi che l’audacia saracina avesse strappata all’Impero una delle migliori sue parti, pensò seriamente di preparare per Sicilia una gagliarda spedizione a ricacciare i Barbari nell’Affrica. Fu creato Strategò di Calabria Niceforo Foca, e commessagli la cura di quell’impresa. Costui vi si accinse con alacrità, e sbarcato prima in Calabria, corse sollecito a porre l’assedio a Santa Severina, ch’era tenuta da’ Saracini; e quantunque costoro corressero in folla da Agropoli in soccorso della città, furono da Niceforo battuti, e passati fuor fuori. Dopo di che i Bizantini fecero ricuperazione di Santa Severina, e poi di Amantea e di Tropea, e forzarono i Saracini alla fuga. Ottenuti questi successi in Calabria, Niceforo mosse per Sicilia, e pose piede in Taormina. Ivi raffermò a prima giunta il vacillante dominio di quelle poche città che non si erano ancora gittate a’ Saracini; poi riebbe Palermo. Ma dopo molti contrasti, datasi una battaglia navale nello Stretto, ed usciti vittoriosi i Barbari, furono tagliati ben cinquemila Bizantini, e quelli che potettero scampare, si ristrinsero in Reggio. E fu tanto lo sgomento venuto a’ Cristiani da quella vittoria che i Messinesi ed i Reggini, a quella prima furia, si ripararono a’ monti. Ritornò allora in poter dei Saracini Palermo, e le altre città di Sicilia che i Bizantini avevano ricuperate.

IV. Al principio del secolo decimo (An. di Cr. 900.) i Saracini di Palermo insorsero contro il loro Emiro Alassan I, e l’uccisero. Poi temendo non il Califfo d’Affrica volesse punirli di tal reato, presero consiglio di levar in capo, e farsi da lui indipendenti. Allora praticarono di aver sovvenzione dagli stessi Bizantini, i quali non [p. 117 modifica]volendo pretermettere alcun espediente che potesse agevolar loro il riacquisto della Sicilia, diedero orecchi alle proposte de’ ribelli Saracini. La più parte de’ Siciliani, a cui era grave il dominio de’ Barbari, erano fuggiti nella vicina Calabria, ed una gran quantità avea preso dimora in Reggio. Questi profughi siciliani uniti a’ Greci di Reggio fecero causa comune co’ Saracini di Sicilia, per francarli dalla dipendenza del califfo affricano. Della qual cosa costui irritatissimo spinse a furia il suo figliuolo Abulabba con gran rinforzo di gente a reprimere la ribellione de’ Saracini, ed a punire i Greci di Reggio e della rimanente Calabria dell’adesione e dell’ajuto che vi avevano prestato. Partì immantinente Abulabba, e pervenuto vicino a Palermo, percosse nel nemico esercito, e disfattolo nel primo impeto, occupò la città, (An. di Cr. 901).

A questi tempi medesimi (An. di Cr. 904.) una colonia di Saracini, che si era piantata presso il Garigliano fu colta o sterminata dalle armi collegate delle repubbliche italiane e di papa Giovanni X. Quanti scamparono si raccolsero allora sul Gargano, ed ivi messisi in forte uscivano sovente a depredare la vicine terre. Da ivi poi li scovò Sveropilo, re di Dalmazia, che confortato da papa Giovanni XIV, fece in quella congiuntura una corsa sino a Cosenza ed a Reggio.

Dopo l’espugnazione di Palermo risalito Abulabba sulle navi si dirizzò a Reggio, che gli Arabi chiamavano Rivah, e messe in ordine le sue schiere, al primo urto fu riurtato gagliardamente dalle greche milizie, che dalle altre città di Calabria erano ivi accorse a difesa di Reggio, ed a tener il fermo contro l’aggressione nemica. Innanzi ad Abulabba camminava il terrore. Tutti sapevano la distruzione ch’egli aveva fatta della nobile Palermo, e tutti resistettero con valore alla rabbia musulmana. Ma vinse l’impeto e la pertinacia de’ Saracini; e Reggio quindi venne per forza nelle mani di Abulabba, (An. di Cr. 901.) che in fierissimo modo la sterminò, non perdonando nè a sesso, nè ad età. Per Reggio sventurata pareva venuto l’ultimo giorno, i cui cittadini in numero di diciassette mila caddero in balìa del vincitore. Fra costoro era il venerando Metropolita nostro, reo di aver animato i Reggini alla difesa della patria loro, e del culto cristiano. Abulabba scorse sino a Gerace, ma non potè averla: e tornò in Sicilia seco traendo una indicibile copia di ori e di argenti. Ivi a parecchi anni venne in persona nella Sicilia Abramo califfo per riconfermarne la sua signoria. E tolta a’ Bizantini Taormina, unica città che loro restava nell’isola, corse in Calabria, devastò il territorio di Reggio, e s’inoltrò sino a Cosenza; ma ponen[p. 118 modifica]dosi a campo contro questa città, vi morì di morte repentina. (An. di Cr. 908).

V. Ma Reggio non stette allora che pochissimo spazio in mano de’ Saracini. (An. di Cr. 906). Comprendevano ormai i Bizantini quanto il possesso di questa città fosse di gran momento a proteggere dalle barbare invasioni i loro dominii d’Italia; e desse opportunità di fomentare tumulti e fazioni in Sicilia contro i Saracini, e di potervi rimetter piede, quando mandasse tempo la instabile fortuna. Ed a ricuperar Reggio con facilità furono i Bizantini ajutati dagli avvenimenti che si svolgevano in Affrica ed in Sicilia, e che distraevano i Saracini da pensare ad altro che fosse. L’Affrica era tormentata dalle civili guerre. Abulcasimo fatimita, fattosi un grosso e prevalente partito, aveva mosso guerra agli Aglabiti, e distruttone l’ultimo germe ch’era il califfo Ziadette. Contemporaneamente i Saracini di Sicilia, saputi i fatti di Abulcasimo, anch’essi si erano sollevati contro gli Aglabiti; e Palermo fu campo di orribili scompigli, e di stragi sanguinose. L’ultimo emiro Aglabita di Sicilia fu Alì. Abulcasimo, sulle rovine delle due dinastie degli Edressiti e degli Aglabiti assumendo titolo novello di Mohedi dava fondamento alla nuova dinastia de’ Fatimiti.

Finito il dominio greco in Sicilia, non vi fu più Pretore; ed i Bizantini posero in Reggio il magistrato che dovesse governare quanto loro rimaneva in Italia. Tal magistrato residente in Reggio chiamavasi Duca di Calabria, o anche d’Italia; e Reggio così divenne capo de’ dominii greci d’Italia. E poichè i Bizantini, perduto il dominio effettivo dell’isola, volevano almeno il conforto di conservarselo in titolo, cominciarono a chiamar la Calabria Sicilia; onde in questo nome di Sicilia tornarono a confondersi le due contrade, e prevalse poi sotto i Normanni e seguenti monarchi la distinzione di Sicilia ulteriore a significar la Sicilia propria, e di Sicilia citeriore, la meridional Calabria.

Fatta Reggio metropoli de’ Bizantini in Italia, venne salendo ad una floridità maravigliosa, ed arricchitasi di sontuosi e nobili edifizii, ritornò popolatissima, opulenta, operosa di arti e d’industrie, e frequente di contrattazioni mercantili. Ed i Greci, postala a propugnacolo del loro dominio, la munirono con gran gagliardia. Intanto i Saracini dalla Sicilia facevano in Calabria incessanti escursioni. Ed Abstaele, venendo direttamente dall’Affrica, stabiliva prima una colonia di Arabi in Squillace, e poi guastava il paese sino a Catanzaro, i cui cittadini parte uccideva, parte menava presi in Squillace con molto bottino. (An. di Cr. 907.) Questi Saracini di Squillace [p. 119 modifica]conquistavano in Calabria per loro conto, e non dipendevano per cosa del mondo dal califfo di Affrica o dall’emiro di Sicilia. Vero è che molti de’ Saracini di Sicilia, o desiderosi di ventura, o malcontenti degli emiri, venivano al continuo per unirsi ad Abstaele, le cui schiere si erano già a dovizia accresciute di quegli altri Saracini, che dopo la morte del califfo Abramo in Cosenza, erano accorsi a Squillace. Con le quali forze Abstaele usciva sovente dal suo covo, e si gittava alle prede, alle uccisioni, alle arsioni, lasciando dovunque esempii memorabili delle sue atrocità. Ma nata poi rissa tra questi Saracini, Abstaele medesimo vi rimase morto; (An. di Cr. 913.) e fecero in nuovo capo Olcobechio, malvagio e fierissimo uomo. Il quale, la prima cosa, volle che fossero scannati i figli di Abstaele, perchè non pensassero a riprendersi colle armi lo stato paterno. Ai renitenti levò la vita, i malcontenti imprigionò, e molta parte di Saracini, trattasi dalle unghie di lui, cercò salvezza in Sicilia.

VI. Mentre queste cose succedevansi in Calabria, moriva in Costantinopoli Leone VI, e lo Stato ricadeva al suo figliuolo Costantino VI, ch’era appena di sette anni. (An. di Cr. 911). Ed avendo perciò bisogno di tutela, e di chi amministrasse in suo luogo, fu affidata la cura del governo a sua madre Zoe, e ad alcuni supremi Tutori e Consiglieri di provata fede ed esperienza. Venne allora al governo di Calabria il Duca Eustrazio, uno de’ Camerieri imperiali, uomo assai avveduto e prudente. I Saracini intanto ch’eransi assodati ed ingagliarditi in Sicilia, tenevano in continua apprensione Reggio e gli altri paesi di Calabria. Nè Eustrazio, che pure aveva messo questa città in assetto di forte difesa, si confidava di poter resistere a’ Saracini, quando volessero veramente tentar qualche impresa; perchè da Costantinopoli, cui allora travagliavano le guerre intestine, non poteva sperar soccorso. Quindi prese consiglio a chieder pace a’ Saracini, e la conseguì a patti onorevoli.

Nel mentre di ciò, in Costantinopoli Romano Leucapeno, uno de’ tutori del picciolo Costantino, aveva a questi dato in moglie una sua figliuola Elena, e posta giù dal governo la madre Zoe, si era fatto al genero compagno dell’Impero.

VII. Era a questi di Duca di Calabria Giovanni Mazzalo, (An. di Cr. 916.) il quale come seppe l’avvenimento di Leucapeno, ch’era suo protettore, divenne così insolente e pessimo, che i Reggini, non potendo più sopportarlo, nè avendo altro modo di levarselo dinanzi, lo uccisero. E tumultuando contro l’autorità imperiale, aprirono pratiche cogli altri Calabresi, e spedirono nunzii a Landolfo I Duca di Benevento, a fargli istanza che volesse anche aggregare a’ suoi [p. 120 modifica]Stati la Calabria. Nè Landolfo, come sentì la loro spontanea offerta, si ricusò. Il Metropolita di Reggio ogni via aveva tentato perchè i Reggini rinsavissero, avvisando i danni che potrebbero conseguitar loro dalla vendetta imperiale. Ma erano allora così sollevati in ira gli animi de’ cittadini, che malgrado l’affezione e l’ubbidienza che avevano al loro Prelato, poco gli badarono ed allargarono il freno alla loro ribellione.

Quando Leucapeno ebbe spia della sollevazione di Reggio, si prese tanta onta del fatto di Landolfo, che non ebbe ritegno di confortare i Saracini di Sicilia a gittarsi nel Ducato di Benevento. I quali, nimicissimi del nome cristiano ed avvezzi a logorar dell’altrui, tennero assai volenterosi l’invito. Abulcasimo aveva di fresco spedito in Sicilia un’armata numerosa per comporre sotto la sua potestà quell’isola, ove un notabile partito di Saracini durava ancora amorevole alla dinastia degli Aglabiti, e si dimostrava ritroso al novello dominio dei Fatimiti. L’armata di lui fu subordinata al famoso corsale Abusaide, il quale, posto piede colla sua gente in Siracusa, vi alzò la verde bandiera della nuova dominazione araba. Palermo fu tratta a piegarsi a’ Fatimiti, e tutta Sicilia venne in breve alla balia di Abulcasimo. Un’altra armata di Saracini, cacciandosi per lo Stretto, assalì Reggio di nottetempo, (An. di Cr. 918.) mentre in forza del trattato di pace co’ Saracini di Sicilia, questa città non sospettava di alcuna vicina ingiuria. Reggio fu saccheggiata, ed una infinità di cittadini, svenati. Ma nell’anno appresso Olcobechio, che co’ Saracini di Calabria si stanziava in Squillace, ed aveva gola al dominio de’ luoghi adjacenti, non volle sostenere che altri Saracini venissero dall’Affrica a preoccupargli il possesso. Per la qual cosa si lanciò arditamente a snidar da Reggio que’ Saracini che l’avevano, quasi di furto, occupata. Si venne a battaglia, la quale fu fierissima; ed Olcobechio restò vincitore, e costrinse i Saracini a dar volta, e parte uccise e fece prigionieri.

Così questa Reggio, sguazzata di dominio in dominio, di città magnifica e di splendida residenza del Duca di Calabria, era divenuta povera e derelitta, e posta segno alla rabbia musulmana, che dopo il pasto aveva più fame che prima.

VIII. I Calabresi vedevano dolorosamente l’eccidio della patria loro, e pensavano come i Saraceni, dal loro nido di Squillace allargatisi a poco a poco, fossero divenuti alfine padroni di Reggio; conquista che sarebbe per porre in arbitrio de’ Barbari la Calabria tutta. Fermarono adunque lega co’ Greci dimoranti in questa regione, e cogli Amalfitani, al cui commercio le scorrerie de’ Saracini erano di [p. 121 modifica]gran detrimento. Quando tutto fu presto provocarono a giornata Olcobechio. E si pugnò accanitamente; ma Olcobechio, sconfitto, dovette ritrarsi fremendo nella sua nicchia di Squillace (An. di Cr. 920). Fu effetto della vittoria che i Cristiani ricuperassero Reggio, Catanzaro, Cosenza, ed altre terre che i Saracini avevano occupate; e finalmente assalirono Squillace, e necessitarono Olcobechio alla fuga. Dalle quali fazioni ricavarono i Cristiani una considerevol somma di oro e di argento, e di altre masserizie di gran pregio, di che si fece dovizia a’ soldati.

Olcobechio trovandosi condotto a mali termini, non vedeva l’ora di prender vendetta dell’ingiuria a lui fatta da’ Calabresi. Con tale animo mise solleciti nunzii in Sicilia ed in Affrica, cercando sussidii a’ suoi aderenti; e verso la fine dell’anno vennero a lui da que’ luoghi molti navigli pieni di gente saracina. Afforzatosi Olcobechio di tanti opportuni ajuti, ritornò alle offese, ed operando feroci escursioni per tutta la Calabria, devastò, depredò, uccise, e menò presa assai gente; e sottomise da capo alla sua dizione Reggio, Catanzaro, e Cosenza, e varie altre castella e città (An. di Cr. 922). Nè s’indugiò a riporre la sua residenza in Squillace. Ma quando meno se l’imaginava, rimaneva ucciso da’ suoi medesimi, a’ quali non aveva voluto far parte del grasso bottino cavato dalle sue fresche vittorie.

IX. Allora i Saracini di Squillace scelsero Saclabio a loro nuovo condottiero (An. di Cr. 923). Il quale nel seguente anno entrò nella Puglia, e menando strage di varie contrade, fece gran copia di prigionieri, de’ quali parte condusse seco in Calabria, parte mandò in Affrica incatenati. E conciliatosi co’ Saracini di Sicilia, ebbe da costoro molti soccorsi, e proseguitò senza posa le sue scorrerie. Assediò ed espugnò nel territorio di Reggio il castello di Santagata (An. di Cr. 925) ed era suo studio indefesso di poter assicurare al suo dominio la Calabria tutta quanta. Ricominciò le sue visite alla Puglia, dove ottenne Taranto, e le terre confinanti; ma nell’anno vegnente i Pugliesi, preso coraggio ed armi, gli si scagliarono addosso, e lo misero in rotta ed in fuga. Ma egli continuò le sue depredazioni nel Ducato di Benevento senza però aver potuto impadronirsi di alcuna città (An. di Cr. 929).

In capo di due anni i Saracini di Sicilia tentarono uno sbarco in Calabria, ma Saclabio, che non voleva competitori di qua dallo Stretto, li aspettò di piè fermo negl’intorni di Reggio a combatterli. Durissimo e pertinace fu il contrasto, che dal nascere del sole andò a passato il mezzodì con grande e reciproco sterminio. Ma Saclabio [p. 122 modifica]riportò compiuta vittoria, ed obbligò gli avversarii a rincularsi in Sicilia precipitosamente. Non contento tuttavolta del successo, e volendo proseguire a battere i Saracini di Sicilia nelle proprie loro dimore, chiamò nuova gente dall’Affrica; e gittandosi sul litorale siciliano molle città e terre guastò ed arse, e molta gente fece prigioniera. Dopo di che si diede tutto al pensiero di ampliare in Calabria il suo Stato, e con poca fatica ebbe al suo potere Taverna, Belcastro, Petilia ed altri paesi, e de’ miseri abitanti quali trucidava, quali mandava incatenali nell’Affrica (An. di Cr. 933).

I Calabresi di mezzo a tanti rovesci videro ch’era necessità farsi coraggio, andar di concordia, dare risolutamente alle armi, e venire alla riscossa contro un avversario che non li lasciava aver pace, nè tregua. Tutti di un senso assalirono di notte tempo que’ Saracini ch’erano in Belcastro, e tutti li posero a fil di spada (An. di Cr. 934); di là corsero agli altri luoghi, e col ferro e fuoco, imitando la guisa de’ loro nemici, li andavano distruggendo ne’ loro covili. Poscia affrontarono arditamente Saclabio, e con persistente ferocia pugnatosi per gran pezza dalle due parti, ultimamente costui fu soverchiato dalla disperata bravura de’ Calabresi, e disfatto. Contuttociò non si rendeva per vinto, nè rimanevasi mai da vessarli, come gliene veniva il buon punto. Nè andò molto che gli altri stati d’Italia cominciassero ad averne apprensione. Da che provenne che i Calabresi, ad un animo coi Pugliesi, cogli Amalfitani e con Giovanni Duca di Napoli si stringessero in alleanza; e con quanta gente potettero porre sulle armi si avventarono sin dentro le sedi de’ Saracini, e quali sterminarono, quali imprigionarono, quali dissiparono (An. di Cr. 936). Nella pugna cadde morto Saclabio; e non si può dire quanta festa abbiano preso di tal morte gli affaticati Cristiani.