Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Libro terzo/Capo primo

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CAPO PRIMO

(Dall’anno 624 al 732.)

I. Prima venuta de’ Saracini in Sicilia. II. Costante II viene in Italia; e muore in Siracusa. III. L’Esarca Teodoro Calliopa, e l’Imperator Costantino Pogonato vengono in Reggio, donde passano in Sicilia. I Saracini infestano di nuovo l’isola. Guerra tra Bizantini e Saracini. IV. Agatone reggino è assunto Papa. Gli succede Leone II altro reggino. Ribelliooe di Sergio, Pretore di Sicilia; che fugge a Reggio. V. Leone Isaurico, e Gregorio III. La Chiesa di Reggio sottratta al Pontefice Romano, è annessa al Patriarcato di Costanlinopoli, ed elevata a Metropolitana. VI. Trasposizione del nome di Puglia e di Calabria: quello di Bruttii si perde. VII. Rito greco in Calabria. Metropoli di Reggio. Chiese suffraganee al Metropolita reggino, il quale è compreso tra gl’Ipertimi. Protopapi e Deuterii, o Ditterei.


I. Era imperatore d’Oriente Costantino II quando Gregorio Prefetto d’Affrica gli si ribellò, ed alla conquista di quel paese chiamò Moavia, Califfo de’ Saracini, primo degli Ommiadi; il quale regnava vicino di quella regione, ove Cartagine, già potentissima, sedeva umile e deserta. Costui prestatosi al grato invito, spedì il suo figliuolo Abdallà a quella volta, il quale si spinse contro Cartagine, e levò il nido agl’imperiali. E lo stesso Moavia, fattosi contro a Costante II, che guidava in persona un forte esercito, n’uscì appieno vincitore, e sottrasse Cipro e Rodi all’Impero bizantino. Per la qual cosa, usufruttuando la sua buona fortuna, prese ardimento di ordinare ad Abdallà, che dall’Affrica si conducesse nella non lontana Sicilia. Era fatale che a chi signoreggiava Cartagine dovesse sempre entrar desiderio di dominar quell’isola, bellissima e nobilissima sopra le altre di Europa.

All’Esarca Olimpio che dimorava in Roma (An. di Cr. 650) per metter le mani sopra papa Martino I (a cui veniva imputato di aver [p. 109 modifica]persuaso a’ Saracini la passata in Sicilia) fu data spia delle novità quivi succedute. Ond’egli si trasse speditamente nell’isola con buon nerbo di gente; ma azzuffatosi co’ Saracini, fu battuto con totale sterminio de’ suoi, e ne perdette la persona. Allora Abdallà menò distruzione di molte delle più cospicue città e doviziose, corseggiò le riviere de Bruttii, e risalito sulle navi si portò seco un prezioso bottino, massime di simulacri d’oro e d’argento; e fecene dono al Califfo Moavia. Questa forse fu la prima incursione de’ Saracini in Sicilia, della quale isola restarono così innamorati, che non cessarono poi d’inquietarla allo spesso, sinchè non la ebbero tutta dominata. Per allora nondimeno il nuovo Esarca Teodoro Calliopa li costrinse a partirsi.

II. Intanto la guerra rottasi tra Costante e Moavia durava gaglliardissima nelle altre parti dell’impero, come nell’Armenia e nella Licia, ed i Cristiani avevano quasi sempre il peggio. Ma Moavia in ultimo, essendo alle mani col suo competitore Alì per il possesso dell’impero arabo, non reputò convenevole tenersi nemico Costante e quindi chiese ed ottenne pace (An. di Cr. 655). Non presto Costante si vide sbrigato della guerra, che fece pensiero di passare in Italia a trar vendetta di papa Martino, cadutogli da più tempo in sospetto di aver chiamato in Sicilia i Saracini. E venutovi con potenti forze, si precipitò sopra Roma, e le diede orribilmente il sacco; poi seguitò correndo, a uso di ladrone, la Corsica e la Sardegna, e tutte le coste meridionali d’Italia per sino a Reggio; a cui fece provare la sua bestial ferocia. Da quivi passò in Sicilia, e si fermò in Siracusa; del che i Siciliani ebbero una matta allegrezza, e sperarono miracoloni dalla presenza dell’Imperatore. Ma seppero intanto in che strana maniera aveva costui aggravate di gabelle, capitazioni, ed altri odievoli balzelli le popolazioni italiane. E sperimentarono di breve i Siciliani sopra loro medesimi i rari benefizii dell’imperial presenza: sì che un’infinità di persone, dandosi a fuga preferirono di prender casa in Damasco, sotto il saracinesco dominio. Ma l’ira di Dio aspettava Costante in Siracusa; ov’egli dandola per mezzo a stravizzi, a libidini, e ad infamie incredibili, mentre una volta tutto ignudo e voluttuoso si proscioglieva nel bagno, venne ucciso da Andrea di Troiso (An. di Cr. 663) uno di que’ tanti che non potendolo più comportare, s’erano congiurati a levarlo di terra. E Mecezio, giovine armeno di fattezze vigorose e bellissime, fu immantinente gridato imperatore da’ Siciliani.

III. Circa il tempo che queste cose intervenivano in Sicilia l’Esarca Teodoro Calliopa erasi recato a Reggio con molta milizia, [p. 110 modifica](An. di Cr. 668), e stava in avviso degli effetti che avrebbe partorito la morte di Costante. In Costantinopoli saliva in pari tempo all’impero Costantino Pogonato figlio di Costante; ed era suo primo disegno di trasferirsi in Sicilia a vendicar la morte del padre. Mecezio, che aveva antiveduto quanto si apparecchiava a’ suoi danni, non solo si era messo in punto di resistere con ogni suo sforzo alle armi bizantine, ma chiese in suo pro da Moavia l’ajuto de’ Saracini. Prima però che questo ajuto giungesse, Costantino aveva pigliato porto in Reggio, ed unite le sue forze con quelle apprestate nella stessa città da Calliopa, trapassò in Sicilia, e sopraffece Mecezio.

Alla sua nuova venuta nell’isola Abdallà trovò che Mecezio era già morto; ma non volendo tornarsi al suo paese senza far provare a’ Siciliani il frutto delle sue correrie, sbarcò improvviso, ed entrato in Siracusa fece grande uccisione di quella gente, e pose a bottino tutto quanto Costante aveva involato a’ Romani. E così ricco di preda rimontò co’ suoi sulle navi, e tornò ad Alessandria. Narrasi nondimeno che, senza l’invito che Mecezio aveva fatto a’ Saracini, costoro erano già in movimento contro Sicilia, perchè i Bizantini da questa isola e dalla Sardegna erano discesi in Asia, nella parte orientale della costa di Barberìa; donde Moavia li aveva con gran vigoria ributtati. Da indi innanzi i Saracini non cessarono mai da sbarchi ed incursioni in Sicilia, tempo per tempo, e con varia fortuna. Dopo la morte di Moavia, levandosi da ogni parte pretensori all’impero d’Affrica, la guerra civile mise in subuglio l’Arabia, l’Egitto, e la Persia (An. di Cr. 669). Di che avvantaggiandosi i Bizantini, composero un’armata ne’ porti della Sicilia e dell’Italia inferiore; ed eseguito con buon successo uno sbarco in Affrica, ripresero Cartagine, e tagliarono a pezzi quanti musulmani caddero loro in potere. Ma poi fu ultimata la pace tra Costantino III ed i Saracini; (An. di Cr. 682) tra i quali non pertanto la guerra civile bollì a dilungo, in sino a che venuti perditori e sterminati gli Ommiadi alla metà del secolo ottavo, Abderàmo, ultimo di essi, fu stretto a fuggire, e lasciare il dominio agli Abassidi.

IV. A questi tempi fu pontefice romano il reggino Agatone. (An. di Cr. 678-682). Costui ottenne da Costantino III, per il mezzo di Abondanzio Vescovo di Paterno, e di Giovanni Vescovo di Reggio, che i Bruttii e la Sicilia tanto angheriati da’ Saracini, fossero esenti de’ tributi. Un altro reggino, Leone II salì pure al papato, e succedette ad Agatone.

Nel corso de’ primi anni del secolo ottavo i Bizantini tornarono all’armi co’ Saracini (An. di Cr. 717). E questi ultimi giunsero a [p. 111 modifica]campeggiar Costantinopoli, e minacciar l’esistenza dell’Impero. Durante tale assedio, Sergio Pretore di Sicilia, facendosi a credere inevitabile la rovina dell’impero d’Oriente, e dando vista a’ suoi che fosse già consumata, gridò in Sicilia imperatore un Basilio, figliuolo di Gregorio Onomagulo. Ma quando a Costantinopoli corse la voce di questa ribellione, i Saracini erano già in rotta ed in fuga; e Leone III Isaurico, presa la corona, si sollecitò d’inviare in Sicilia Paolo per nuovo Pretore. Arrivò questi inaspettato in Siracusa, e tal terrore n’ebbe il ribelle Sergio, che si trafugò a Reggio precipitoso; donde per il paese de’ Bruttii si mise in sicuro nel dominio dei Longobardi.

V. Leone Isaurico, mirando a scemare la crescente potenza dei romani Pontefici, cominciò da perseguitare le divine Imagini (An. di Cr. 732), con la qual guerra sconvolse tutta la Cristianità. Nè la voce, e le ammonizioni di papa Gregorio III potettero rimuover Leone dal far guerra alla Chiesa. Ma poichè vide il pontefice vana ogni sua istanza a rimettere in senno l’imperatore, convocò nella Basilica Vaticana un Concilio di Vescovi italiani, e quivi fulminò la scomunica contro chiunque deponesse, profanasse, distruggesse, o bestemmiasse le sacre Imagini. Ciò fatto procacciò di notificare all’imperatore ed a tutti gli uffiziali dell’impero la determinazione del Concilio, e deputò a questo effetto in Sicilia Costantino Defensore; ma questi fuvvi imprigionato, e toltegli le lettere pontificie. Tanto fece però Gregorio che tali lettere pervennero per altra via a Leone e ad Anastasio Patriarca, ch’era succeduto a Germano divoto della latina liturgia. Ma costoro non si lasciarono scuotere dalle papali censure; anzi Leone infuocato a vendetta contro il pontefice e chiunque contrapponevasi alla sua volontà, allestì una poderosa armata per castigare i renitenti, e la pose nell’Adriatico sotto il comando di Mane, Duca de’ Cibirrei. Aggravò inoltre la sua mano su’ possidenti Siciliani e Bruttii, che favorivano il papa, accrescendo di un terzo il tributo della capitazione, ed incamerando i patrimonii spettanti alla Chiesa Romana, che le rendevano ogni anno tre talenti e mezzo di oro. E per ferire nel cuore l’influenza del Pontificato Romano, strappò dalla sua dipendenza tutti i Vescovadi dell’Illiria, della Sicilia, e di quelle parti d’Italia che dipendevano dall’Impero Greco.

E per fare che le principali Chiese di questi luoghi si acquetassero alla soggezione del Patriarca di Costantinopoli, Basilio il Macedone poi volle che quelle di Siracusa in Sicilia, e di Reggio, nell’Italia fossero elevate a Metropolitane, sedendo Pontefice Nicolò I. [p. 112 modifica]Per la qual cosa da quel tempo non vediamo più aver parte ne’ Sinodi de’ romani Pontefici i Vescovi di Sicilia, o de’ Bruttii, ma bensì averla grandissima ne’ Concilii Costantinopolitani.

VI. Occupata gran parte della Calabria da Romualdo I Duca di Benevento (An. di Cr. 752), ciò che in essa rimase a’ Bizantini, come Gallipoli ed Otranto, alcune città maritime sino a Gaeta, e quella parte de’ Bruttii ch’essi dominavano, fu da loro annessa al Tema di Calabria, sottraendo i Bruttii dal Tema di Sicilia, a cui erano aggregati. Onde provenne per alcun tempo che il nome di Calabria si adoperasse promiscuamente a dinotare ciò che di essa avanzava ai Greci, ed i nuovi paesi da loro occupati ne’ Bruttii. Ma poi i Longobardi avendo dilatato il nome di Puglia alla Calabria da loro tolta a’ Bizantini, questi che colla perdita della Calabria non vollero almeno perderne il nome, chiamarono Calabria in modo assoluto le loro possessioni ne’ Bruttii. Laonde come il nome di Puglia prevalse a quello di Calabria, ch’era il nome del chersoneso ch’è tra Taranto e Brindisi, così il nome di Calabria prevalse a quello de’ Bruttii, in questa ultima contrada ov’è Reggio. A dirlo insomma, l’odierno paese di Calabria era conosciuto col nome di Bruttii sin presso alla metà dell’ottavo secolo, e non fu detto Calabria che da indi in qua. Per contrario quella odierna regione, dov’è Taranto, Otranto e Gallipoli fu detta Calabria sino alla metà del detto secolo, e da indi in qua fu ed è parte di Puglia. E siccome innanzi che avvenisse questa perdita di dominio e questo scambio di nome, era Taranto residenza del Duca o Strategò di Calabria, così dopo fu fermata in Reggio la sede di questo magistrato; che poi, come vedremo, crebbe a tanta importanza, quando conquistata la Sicilia da’ Saracini, Reggio diventò capo del dominio bizantino in Italia.

A queste cose fa bisogno che lo storico dia lucidità con molta accuratezza, se vorrà schivare gl’incredibili strafalcioni de’ nostri cronisti, che confusero in modo grossolano, e quasi inestricabile i fatti dell’antica e della nuova Calabria, perchè non seppero divisare i tempi ed i luoghi, a cui si riferivano le cose da loro narrate. E noi daremo sempre gran peso a chiarire questa corografica mutazione ed alterazione di nomi, ch’è tanto necessaria alla esatta intelligenza della nostra storia.

VII. Le Chiese d’Italia e di Sicilia, poichè furono sottoposte al Patriarca di Costantinopoli, adottarono il rito greco. Principal chiesa di Sicilia era la Metropoli di Siracusa. Principale di Calabria la Metropoli di Reggio; onde il suo prelato dicevasi ancora, e dicesi assolutamente anche al dì d’oggi il Metropolita di Calabria. A questo [p. 113 modifica]Metropolita di Calabria erano suffraganei prima sette vescovadi: Gerace, Squillace, Crotone, Cosenza, Tropea, Tauriana e Monteleone; poi furono aggiunti Rossano, Amantea, Nicotera, e Cassano; e finalmente Besignano, e Nicastro. Tra le ottanta Metropoli soggette al Patriarca bizantino, questa di Reggio era la trigesimaprima; e quantunque il suo Metropolita non avesse l’onorifico titolo di Esarca, era annnumerato però tra gl’Ipertimi, che dopo gli Esarchi erano i maggiori di onore e di dignità. Le Metropoli di Reggio e di Siracusa, dopo quelle di Milano, di Aquilea e di Ravenna, sono le più antiche di tutte. E comechè la loro potestà abbia avuto origine dal Patriarca di Costantinopoli, pure ne fu riconosciuta e legittimata dai romani Pontefici, come a suo luogo vedremo.

I Rettori ed Economi delle Chiese greche parrocchiali (o plebali o battesimali che dir si vogliano) erano chiamati da’ Bizantini Protopapi e Deuterii (ora Ditterèi); e Cattoliche le loro Chiese. Questo stesso nome invalse fra noi dalla metà del secolo ottavo, e valeva lo stesso che gli Arcipreti latini. Onde avemmo i Protopapi di Reggio, di Santagata, di San Lorenzo, di Motta, di Montebello, di Pentidattilo, di Bova ed altrettali; ed i Ditterèi di Cardeto, di Mosòrrova, e di Armo. E quella lingua greca che il dominio Romano, ed il conquasso de’ Vandali e de’ Goti avevano fatta sparire da noi, ci era novellamente riportata da’ Greci di Costantinopoli; e le arti e gli studii greci tornavano a fiorirvi quasi come in antico. Nelle contrade superiori però, ove non giunse mai intero il contagio delle dominazioni successive, conservossi e dura ancora il greco accento, ed il greco costume. E se non senti la pura e morbida favella di Pitagora, d’Ibico, di Lico Butera, e di Teagene, scorgi tuttavia la guisa e la fattezza greca anche di sotto alle profonde storpiature indotte nel tradizionale dialetto del volgo.