Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Annotazioni/Libro secondo

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LIBRO SECONDO

CAPO PRIMO. §. I. Capitani Cartaginesi. — Per aver chiara conoscenza de’ diversi Annoni, Asdrubali ed Annibali che occorrono nel rac[p. 309 modifica]conto delle guerre puniche, non credo inutile indicare i diversi tempi in cui vissero, segnando la loro morte secondo gli anni di Roma.

489. Amilcare I.

Annone I.
494. Annibale I figlio di Giscone.
501. Asdrubale I figlio di Annone I.
502. Annibale II figlio di Amilcare I.
504. Amilcare II Barca, padre del grande Annibale.
523. Asdrubale II, genero di Amilcare Barca.
535. Asdrubale III fratello di Annibale.


§. III. Gli elefanti di Metello. — Per fare che gli elefanti potessero passare lo Stretto da Messina a Reggio, narrano che Metello, radunato in Messina un gran numero di botti vuote, abbia fatto disporle in linea sul mare, e legare, a due a due, in maniera che non potessero toccarsi ed urtarsi. Sulle quali fermò un passaggio di tavole coperte di terra e di altre materie, con parapetti di legno a’ lati, affinchè gli elefanti non avessero a cascare in mare. E tutto riuscì bene. Io peno a credere questo racconto.


§. V. Il Console Servilio in Reggio. — Nell’anno di Roma 537 il Console Gneo Servilio tornando da una escursione sulle coste affricane, lasciò la flotta romana nel porto di Lilibeo agli ordini del Pretore di Sicilia Tito Otacilio, il quale l’affidò a Publio Sura per ricondurla a Roma. Servilio, attraversata per terra la Sicilia, passò da Messina in Reggio; dove ebbe lettere di Fabio, che dopo una dittatura di sei mesi il richiamava a prendere col suo collega Atilio Regolo il comando dell’esercito.


§. VIII. I dodici popoli de’ Bruttii. — Questi furono, (oltre i Cosentini ch’erano i Bruttii proprii) i Turini, i Metapontini, i Crotoniati, i Cauloniati, i Vibonesi, i Tempsani, i Locresi, i Lametici, i Napetini, i Mesméi, i Terinéi, ed i Tisiati.


§. XI. Fatto de’ Tisiati. — A questi tempi è da riferirsi quel che ci racconta Appiano: «Ne’ Bruttii, ch’è l’estrema parte d’Italia, un uomo nativo della città di Tisia, ch’era solito a predare, ed a recar parte della preda al capitano del presidio cartaginese (da cui Tisia era occupata), s’intrinsecò tanto nella costui amicizia, che quasi si dividevano il comando. Onde mal comportando che la sua patria stesse sotto il giogo cartaginese, si pose in secrete pratiche co’ capitani Romani, ed andava introducendo, di pieno giorno, nella rocca parecchi, come se fossero prigionieri, con tutte le armi e spoglie loro. A’ quali, quando vide ch’erano un numero sufficiente, tolse i legami e diede le armi. Ed oppresso il presidio punico, consegnò la rocca a’ Romani. Ma dopo breve tempo, passando per quei luoghi Annibale, i presidiarii Romani fuggirono a Reggio. Ed i Tisiati si diedero ad Annibale, il quale, fatti morire i principali autori del tradimento, vi pose un nuovo presidio.

A quale odierna terra o città possa corrispondere l’antica Tisia (la quale non doveva essere troppo lungi da Reggio) è cosa incertissima, nè trovo che alcuno abbia potuto ancora determinarlo. Torneremo a vederla nomi[p. 310 modifica]nata a’ tempi della guerra Sociale. Taluno vorrebbe farla corrispondere a Santagata, ma senza storica dimostrazione che persuada.


CAPO SECONDO. §. IV. Reggio non fu mai dominata da’ Bruttii. ― A’ tempi di Annibaie i Bruttii, ch’erano suoi alleati, avevano già conquistati molti paesi greci di quella regione, che or chiude gran parte della Calabria citeriore ed ulteriore seconda. Reggio, e la più parte del suo territorio non venne mai sotto il loro dominio, quantunque dalla parte di mezzodì si fossero estesi sino al promontorio che dissero Bruttio, e che oggi chiamiamo Punta di Pèllaro. Il perchè si scorge quanto sieno inesatti quegli scrittori che comprendono Reggio nella Brettia sin da’ tempi più remoti, ma ciò non può farci meraviglia quando veggiamo anche al dì d’oggi alcuni storici (ed italiani ancora!) chiamare Reggio città dell’Abruzzo, confondendo con madornale abbaglio il nome di Bruttium con quello di Aprutium! E tra questi scrittori sono il Balbo ed il Cantù.

Dopo la seconda guerra punica una parte della regione de’ Bruttii fu costituita a provincia sotto il governo di un Pretore: e nell’anno di Roma 552 troviamo Quinto Minuzio Pretore de’ Bruttii. Reggio allora continuava tuttavia città federata, e tale era anche prima quando i Bruttii duravano federati a’ Romani. A convalidare ciò che io dico calza a meraviglia la testimonianza di Strabone, confermata da’ nostri marmi, quando dice che Reggio, Napoli e Taranto conservavano tuttavia a’ suoi tempi le loro istituzioni e costumanze greche, mentre tutte le altre città, già cadute in mano de’ Lucani e de’ Bruttii, erano divenute barbare. Ed ognuno sa che Strabone visse dopo Augusto, e scrisse i suoi libri sotto Tiberio. Questo passo del greco scrittore persuase al Mazzocchi di credere che anche dopo la guerra sociale Reggio avesse continuato a conservare la sua autonomia, ed a batter moneta; il che non mi pare esatto.

Alla testimonianza di Strabone fanno appoggio quelle di Polibio e di Tito Livio, dove evidentemente i Reggini sono distinti da’ Bruttii. Dice il primo, trattando di Annibale: «Facendo via per la Daunia ed i Bruttii entrò repentino nella regione de’ Reggini». E Tito Livio, parlando della guerra macedonica terminata nell’anno di Roma 555: «Jussus est a Cajo Lucretio Praetore Lucretius frater, ab sociis ex foedere acceptis ad Cephaleniam classi occurrere; ab Rheginis triremi una, ab Locris duabus, a Bruttiis quatuor.

Quando poi sotto Costantino imperatore la diocesi d’Italia fu divisa in diciassette provincie, una fu formata della Lucania e dei Bruttii, ed a questa fu annesso il territorio e città di Reggio. E questa città allora divenne metropoli de’ Bruttii provincia romana in luogo di Cosenza ch’era stata la potente metropoli de’ Bruttii nazione. E da questo tempo, e non prima, Reggio appare compresa ne’ Bruttii.


§. V. Prime Colonie Romane ne’ Bruttii. — Non prima dell’anno di Roma 557 s’inviarono talune colonie romane, a proposta di Elio Tuberone Tribuno della plebe, nella regione dei Bruttii, sotto l’autorità triennale di un magistrato triumvirale. «Tempsam item et Crotonem (dice Tito Livio) civium Romanornm coloniae deductae. Tempsanus ager a Bruttiis captus erat, et Bruttii Graecos expulerant.» E Vellio (Coloniarum Catalogus): Post multos annos quam Galli urbem caeperunt, Scyllacem, Roto[p. 311 modifica]nem (vuol dire Crotonem) et Rhegium deductae coloniae, deinde Tarentum... et postea Themsani et Ruscianum». Qui però il Vellio confonde i tempi di tali colonie assai grossamente. Reggio, come vedremo, non divenne colonia romana che nell’anno di Roma 712, il che non fu «post multos aniius», ma dopo trecento quarant’anni dalla invasione de’ Galli. E Tempsa ch’egli dice esser divenuta colonia dopo Reggio, era già tale sin dall’anno di Roma 557, cioè anni centocinquantacinque prima di Reggio.


§. VIII. Municipii e Colonie. — Vi erano municipii con suffragio o fundani, e municipii senza suffragio. I primi avevano la pienezza della cittadinanza romana, coll’ascrizione alle tribù, e col diritto di dare i suffragii nella elezione agli uffizii della Repubblica Romana, ma siccome dovevano aver fondo e costituzione sopra talune leggi romane, così erano detti municipii fundani. I municipii senza suffragio godevano dell’intera libertà delle proprie leggi, e si avvicinavano assai alla federazione. De’ municipii e delle colonie Aulo Gellio ci dà una definizione assai precisa: «Municipes erant qui ex aliis civitatibus Romam venissent: quibus non licebat magistratum capere, sed tantum muneris partem. Sed coloniarum alia necessitudo est; non enim veniunt extrinsecus in civitatem, nec suis radicibus nituntur, sed ex civitate quasi propagatae sunt».

Nè senza ragione storica io dissi Reggio municipio senza suffragio; su di che sentiamo il Mazzocchi: «Quia nec Tarentinus, nec Rheginus, nec Neapolitanus populus in romanas leges fundus fieri voluit; hinc hae tres tantum Graecorum urbes post legem Juliam municipia sine suffragia ut etiam ante fuerant, et cura autonomia sua (quam piene civitati Romanae praetulere) remanserunt. Hac, inquam, tres tantum in barbariem non defecerunt, quia ab hellenicis moribus (praeter quos Graecis nihil non barbarum habebatur) non desciverunt».


§. IX. Penisola Reggina. — È opinione del nostro Logoteta (Tempio d’Iside e Serapide) che la penisola Reggina, di cui parla Plutarco nella vita di Crasso, debba corrispondere a quella punta di Calamizzi che fu assorbita dal mare nel secolo XVI. Ma quel tratto sarebbe stato troppo angusto, e se Crasso fosse giunto a stringere Spartaco così da presso, l’avrebbe avuto assai agevolmente fra le mani senza bisogno di chiuderlo con quella muraglia. Dall’altra parte non mi pare credibile che un lavoro così ardito abbia potuto in così breve tempo eseguirsi per la lunghezza di trentasei miglia dal golfo Scillaceo al Lametico. E se tale opera fosse stata effettivamente costrutta può egli credersi che il tempo non ne avrebbe tramandata alcuna traccia materiale che ne facesse testimonio a’ tempi avvenire? Io propendo a credere esagerata e poco esatta la narrazione di Plutarco.


§. X. Prima venuta di Cicerone in Reggio. — Che Cicerone, quando la persecuzione di Clodio il fece uscir di Roma, fosse venuto a Reggio, apparisce da una sua lettera ad Attico. Nella quale dopo di avergli descritto il viaggio da lui fatto sino a Vibone, continua così: «Putabam cum Rhegium venissem fare ut illic (longam navigationem molientes) cogitaremus corbita ne Patres an actuariolis ad Leucopetram Tarentinorum (Capo Leu[p. 312 modifica]ca), ast inde Corcyram: et si oneraria, statimne freto, an Syracusis. Han super re scribam ad te Rhegio».


CAPO TERZO. §. I. Cesare in Reggio.Appiano ci afferma che nell’anno di Roma 706 Giulio Cesare partendo per la guerra affricana sia venuto per terra a Reggio, donde passò a Messina, e da quivi marciando diritto per Lilibeo s’imbarcò per l’Affrica.


§. II. Reggio promessa in premio a’ Veterani. — Riferirò le parole medesime di Appiano: «Praeter alia proposita victoriae praemia, promittendas constituerunt militibus coloniarum loco octodecim italicas urbes, tam opibus quam agri bonitate ac aedificiorum pulchritudine praecellentes, quae cum agris et aedificiis, non secus quam bello captae, in milites essent dividendae. In earum numero eminebant Capua, Rhegium, Venusia, Beneventum, Nuceria, Ariminum, Vibona. Atque ita pulcherrima Italiae pars militibus est attributa.


CAPO QUARTO. §. I. Le ventotto Colonie militari. — Queste ci sono indicate quali da Frontino, quali da Plinio, e quali dal Cardinal Noris, che le raccolse dalle lapidi. E furuno Sora, Teano Sidicino, Pozzuoli, Acerra, Aletrio (oppi Alatri), Atella (era a due mila passi da Aversa), Caudio (oppi Arpaja nel Sannio), Benevento, Cuma, Gravisca (presso Centumcelle in Toscana), Noceria, Torino, Capua, Arimino, Perugia, Nola, Parma, Laurento, Verona, Pisa, Reggio, Vibona, Venosa. Una sola città resta tuttavia ignota.


§. IV. Sul nome Hierax. — Giusta l’opinione del Morisani (Acta S. Stephani) quel Hierax, di cui il greco autore fa menzione nel raccontare il martirio di S. Stefano, non dovette essere un nome proprio, come credesi comunemente, ma un nome generico, del quale si sia valuto quello scrittore ad indicare il magistrato della città. Il qual magistrato poteva essere o un uffiziale mandato straordinariamente dall’imperatore, o anche un Arconte. Ma lasciamo che il Morisani ragioni su di ciò colle sue proprie parole:«At vero ecquid rari si Hierax ille Rheginae urbis Arcon esset? In Coloniae etiam jura jam ea aetate Rheginum municipium transierat. Suis propterea legibus ea civitas utebatur jure municipii; Romanis tamen conformarat jure coloniae, nisi et adoptarat ab eis, eas praesertim quae ad religionem pertinebant. Et municipii adhuc jure fuisse gavisam sub primis Caesaribus, satis constai ex lapide Titi Erveni adhuc prostante, quem expositnm habes in Syntagmate nostro ubi leges: Legavit municipibus Rheginis Jul: quo ex verbo Jul: hoc est Juliensibus, satis cognoscitur lapidem post Julii Augustive tempora esse editum, in quibus Rheginis id cognominis haesit. In municipali autem statu nullus ego dubito habuisse hanc urbem suos prius more graeco Arcontes, quam alionim municipiorum intra Italiam more Duumviros, Quatuorviros, Decemviros, Praetores, Dictatoresve. Quod enim et sub Romanis urbs graeca manserit, perspicuum est quum et intra graecas urbes ab Strabone passim et Livio censeatur, qui sub primis Caesaribus floruere. Eo propterea se regere magistratu perseverasse admodum probabile est, quo antiquitus se rexisse [p. 313 modifica]alter ejus lapis graece exaratus, qui adhuc visitar ostendi. Arcontibus autem, etc.».


§. V. Via Licinia Costantina. — Il nostro Logoteta nel suo citato opuscolo riferisce in nota le parole di una lapide trovata circa il 1764 sopra una colonna milliare presso Mélito, mentre in un podere si scavavano formelle per piantarvi alberi. Da essa apparisce che una strada, la quale da Reggio conduceva per la marina al territorio locrese, fosse stata costrutta o rifatta a’ tempi degl’Imperatori Licinio e Costantino II, cioè tra l’anno cristiano 307 ed il 323. Questa strada ha potuto chiamarsi Via Licinia Costantina.


§. VII. Correttori della Lucania e de’ Bruttii. — Sotto Costantino appariscono Correttori:

   I. 313. Claudio Ploziano.
  II. 316. Michilio Ilariano.
 III. 319. Ottaviano.
  IV. 327. Alpino Magno.
Sotto Valentiniano e Valente:
   V. 364. Artemio.
  VI. 363. Q. Aurelio Simmaco.
 VII.
Zenodoto, figlio di Simmaco: ma è incerto l’anno, in cui fu Correttore.
VIII.
Fannio Vittorino. Risulta da una lapide Salernitana.
In tempi incerti:
IX.
Rullo Festo. Risulta da una lapide Grumentina.
  X.
Maniliano Liciniano. È chiamato «Bruttiae Excorrector».
Sotto Teoderico:
  XI. 498. Aurelio Cassiodoro.
XII.
Venanzio. Dopo Cassiodoro; l’anno è incerto.
Sotto Atalarico:
XIII.  526.  Severo. È certo che sotto questo Re goto il governo della Lucania e de’ Bruttii fu affidato a Severo, ma non si trova che sia stato mai chiamato Correttore.


CAPO QUINTO. §. I. Statua miracolosa dello Stretto.Olimpiodoro presso Fozio, parlando della causa che impedì ad Alarico il passaggio in Sicilia, dice: «Statua enim inaugurata ibi stans trajectum vetabat; fuerat vero haec, ut fabulatur, ab antiquis inaugurata, cum ut Ætnae montis ignes averteret, tum maris transitu barbaros prohiberet; altero enim pedo perpetuum ignem, altero vero perennem aquam gestabat. Ea igitur statua, confracta tamen ex aetneo igne, et a Barbaris detrimentum Siciliam caepisse. Eversam vero statuam ab Æsculapio, qui in Siciliam possessionum Constantii et Placidae curator erat».


§. VI. Se Catona fu citta’ distrutta da Attila. — L’Aceti nel Barrio rapporta un brano delle Croniche d’Ungheria di Giovanni de Thurocz, da cui apparirebbe che Attila avesse distrutta la nostra Catona, la quale allora doveva esser città. Dice adunque il Thurocz: «Inter haec rex Attila magna ex parte sui exercitus cooptata, praeficiendo illi capitaneum [p. 314 modifica]Zoward, illum in Apuliam destinavit: qui omnem Apuliam, nec non Terram laboris, pariter et Calabriam, usque ad regionem et civitatem Catonam, olim a Catone philosopho, ut dicitur, fundatam, percursitantes demoliti sunt: magna quoque cum praeda ad regem redierunt». Se veramente il Thurocz scrisse così, bisognerebbe sapere se egli per Calabria abbia inteso quella regione che così si chiamava a’ tempi di Attila, o l’altra che allora si chiamava de’ Bruttii, e non ebbe tal nome che tre secoli appresso. E so intese di parlare di Catona nella nuova Calabria, io penso che lo scrittore ungherese abbia scambiato il nome di Attila con quello di Totila; perciocchè nessuno storico pone che Attila abbia allargata la sua invasione sino a quest’ultimo termine dell’Italia meridionale. Totila al contrario tra le altre sue imprese ne’ Bruttii ha potuto bene distruggere la Catona (che stava sulla via verso Reggio), se è pur vero che questa terra fosse mai stata una città.

Note