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n e l l e   v a r i e   f i g u r e , e c. 383

quelle che hanno più ben fatte ginocchia e gambe. Tali figure, prese dalla bella natura, e grasse anziché no, hanno l’osso del ginocchio, la caviglia, e le cartilagini appena sensibili, cosicchè il ginocchio forma dalla coscia alla gamba un rialzamento dolce ed uniforme, e non già da alti e bassi interrotto. Né sembri qui soverchia quella osservazione sulle ginocchia giovanili: direbbesi, al vedere le opere de’ moderni scultori, che loro sia stato proibito di formar figure in tal età; poiché ve n’ha ben pochi, se pur ve n’ha alcuno, che abbia in questa parte studiata ed imitata la bella natura. Parlo qui principalmente delle figure virili, poiché riguardo alle femminili, siccome rare sono nella natura le donne che abbiano ben fatte le ginocchia, cosi più rare sono nell’arte, o delle pitture si parli o delle statue: nè oserei proporre per modello le figure stesse di Raffaello, de’ Caracci, o de’ loro scolari. Il bell’Apollo del signor Mengs nella villa Albani servir potrà di modello. La bella Teti della stessa villa, che verrà da me descritta in appresso, è di tutte le figure muliebri in Roma quella che ha più belle gambe.

[...piedi.] §. 4. Tanto più bella era presso gli antichi la forma de’ piedi e delle ginocchia, quanto meno gli strigneano, o comprimevanli; sebbene altronde più caso essi facessero d’un bel piede, che non facciam noi, siccome appare dalle particolari osservazioni de’ filosofi, e dalle immaginarie conseguenze che ne traevano relativamente alle inclinazioni dell’animo1. Indi è che nella descrizione delle belle persone, come di Polissena2 e d’Aspasia3, si parla de’ loro bei piedi; e per la stessa ragione la storia rammenta i deformi piedi dell’imperatore Domiziano4. Le ugne non sono nei piedi delle antiche statue così curve, come nelle moderne.


§. 7. Do-


  1. Arist. Phyfon. cap. j. & 6. op, Tom.it. pag. 745. & 750.
  2. Dares Phrygius De Excidio Trojæ, pag. 157. lin. 16.
  3. Ælian. Var. hist. lib. 12. c. 1. p. 710.
  4. Sueton. in Flav. Domit. cap. 18.