Specchio di vera penitenza/Distinzione quarta/Capitolo terzo

Distinzione quarta - Capitolo terzo

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CAPITOLO TERZO.


Dove si dimostra quali e quante sono quelle cose che c'inducono ad avere contrizione.


La terza cosa che dobbiamo dire della contrizione, si è quali sono quelle cose e quante che c’inducono a contrizione. E dicono i dottori, che sono sei. La prima si è il ripensare de’ peccati;1 della quale dice il profeta Isaia, parlando a Dio: Recogitabo tibi omnes annos meos, in amaritudine animoe meoe: Io penserò, e porrògli tutti dinanzi a te gli anni miei, in amaritudine dell’anima mia, cioè con amaro dolore. A questo induce quello essemplo iscritto di sopra di quella Tais famosissima meretrice; e di quella altra alla quale iscoppiò il quore per dolore; e di quello cavaliere che avea negato Cristo e la fede sua, avvegna che non volesse negare la Vergine Maria. La seconda cosa che séguita al pensare de’ peccati, è la vergogna; onde dice Salamone ne’ Proverbi: Putredo in ossibus eius qui confusione res dignas gerit: Infrácidinsi l’ossa di quella persona che fa cose degne di confusione e di vergogna. Lo infraciare dell’ossa significa lo dolore intimo, che ammolla2 la durezza degli effetti de’ peccati, de’ quali l’uomo dee avere vergogna e confusione. Onde il profeta Abacuc dicea: Ingrediatur putredo in ossibus meis: Infrácidinsi l’ossa mie, cioè gli affetti del quore, che non sieno più duri e saldi al peccato; sì ch’io non me n’abbia a vergognare. A ciò fa l’essemplo scritto di sopra del monaco che, menato al giudicio di Dio, ebbe tanta vergogna del rimprovero della madre. La terza cosa che induce l’uomo a contrizione, è la viltà del peccato, che fa l’uomo abbominevole e vile; della quale viltà parlava il profeta Ieremia, e dicea [p. 84 modifica]all'anima peccatrice: Quam vilis facta es, iterans vias tuas! Oh come se’ fatta vile, rifacendo tutto dì da capo le vie tue! E ’l Salmista dice dei peccatori: Corrupti sunt, et abominabiles facti sunt in studiis suis: E’ sono corrotti, e fatti abbominevoli negli studi loro; cioè nell’opere ree, le quali studiosamente fanno. La quarta cosa è la paura del giudicio di Dio e dell’eterna pena. Di ciò parla san Piero, e dice: Impius et peccator ubi parebunt? Il dì del giudicio, l’uomo ispietato e ’l peccatore ove appariranno? (quasi dica: Non avranno luogo di potere bene comparire alla presenza dell’adirato giudice) e come potranno sostenere le intollerabili e eterne pene dello ’nferno?

Leggesi che nel reame di Francia fu uno nobile uomo, il quale era molto dilicatamente notrito, e amatore della vanità del mondo. Costui un giorno cominciò a pensare, s’ e’ dannati dello ’nferno doveano essere liberati dopo mille anni; e rispose al pensiero suo di no. Appresso gli dicea il pensiero: oh dopo i centomila anni? e rispondea, che mai no. Poi pensò se dopo mille migliaia d’anni fosse possibile la loro liberazione; e dicea di no. Oh dopo tante3 migliaia d’anni quante gocciole d’acqua è nel mare, potrebbe essere che n’uscissono? E rispose a sé medesimo che mai no. Di tale pensiero conturbato e spaurito, gli venne un dolore e un pianto di contrizione; e abbandonando la vanità del mondo e ’l peccato, disse: – Or come sono stolti e miseri gli uomini del mondo, che, per piccolo diletto che vogliono nel mondo, vanno alle pene senza fine! –

La quinta cosa che induce a contrizione, si è il dolore che l’uomo dee avere d’avere perduta per lo peccato la cittè celestiale di paradiso; e ’l dolore dell’offesa di Dio, il quale doverremmo obbedire, perché è nostro creatore; doverremmolo revenire come nostro padre celestiale; dobbiâllo amare come nostro redentore e salvatore, il quale ci ha ricomperati [p. 85 modifica]col suo prezioso sangue; come dice san Piero, e santo Giovanni nell’Apocalisse: Dilexit nos, et lavavit nos a peccatis nostris in sanguine suo: Iesu Cristo ci amò, e hacci lavati de’ peccati nostri nel sangue suo. Molto ci dee inducere a dispiacere e a dolore del peccato, considerare che l’anima lavata e purificata nel sangue di Iesu Cristo, altri l’abbia imbarattata e lorda4 nella bruttura de’ peccati. La sesta cosa che induce a contrizione, si è la speranza del perdono de’ peccati; e della grazia, per la quale potremo bene adoperare; e della gloria, alla quale finalmente Iddio ci conducerà. Delle quali dice il Salmista: Gratiam et gloriam dabit Dominus: Iddio darà la grazia e la gloria sua. Sopra tutte l’altre cose che vagliono ad avere perfetta e sufficiente contrizione, è l’orazione divota e fervente, per la quale Iddio faccia all’anima cotal dono come è la contrizione: la quale con ciò sia cosa che non possa essere perfetta sanza la grazia e la carità di Dio, non la può avere l’uomo da sé medesimo sanza speziale dono di grazia; alla quale potere avere5 dispone la fedele orazione. Ôri adunque chiunche desidera avere tale grazia, sanza la quale non è salute; e viva sì che la orazion sua sia degna d’essere esaudita, pregando sempre Iddio che ’l faccia ben vivere, e degnamente ôrare.

Note

  1. Nel Codice nostro: il ben pensare i peccati.
  2. La stampa del quattrocento: allenta.
  3. Il Manoscritto: tanti.
  4. Ediz. 95 e 85: lordata.
  5. Preferiamo la lezione degli Accademici del 25, avendo il Salviati e il Codice nostro: venire.