Specchio di vera penitenza/Distinzione quarta/Capitolo quarto
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CAPITOLO QUARTO.
Dove si dimostra quale è l'effetto della contrizione.
La quarta cosa che séguita a dire principalmente della contrizione, si è quale è l’effetto suo.1 Dicono i Santi, che per la contrizione si riconcilia l’uomo a Dio, il quale offese peccando; e purgasi la macula della colpa, la quale l’anima peccando contrasse. E questo fa la contrizione e in quanto è atto di virtù, com’è detto di sopra, e in quanto è parte del sagramento della Penitenzia. E potrebbe essere tanto il dolore della contrizione, e tanto l’amore della carità di Dio, donde il detto dolore procede nella mente e nella sensualitade, che tôrrebbe via non solamente la colpa, ch’è il suo principale effetto, ma anche la pena debita per lo peccato. Non però di meno si richiede e la confessione e la satisfazione, compiendo la penitenzia ingiunta e presa, sì per lo comandamento della Chiesa e sì per la incertitudine; chè non è l’uomo certo di sé né d’altrui, ch’egli abbia tante né tale contrizione, che sia sufficiente a tôr via tutto il reato della pena, cioè tutta la pena a che altri è obbligato per lo peccato. Onde la vera e perfetta contrizione conviene che sia accompagnata con proponimento di fare la confessione e la satisfazione, abbiendo la possibilità del poterlo fare.2 Onde, se la persona avesse l’opportunitade di potersi confessare e di potere fare la penitenzia ingiunta, e non la volesse fare, quantunque avendo prima sofficiente e perfetta contrizione, gli fosse perdonato il peccato e quanto alla colpa e quanto alla pena; avvegna che ’l peccato perdonato nella contrizione non ritornasse, pure ella acquisterebbe nuovo peccato mortale, che la manderebbe a dannazione; non osservando il comandamento della Chiesa, e non avendo intero ma diminuto e scemo il sagramento della Penitenzia. Onde dice santo Ambruogio: Non puote niuno essere giustificato del peccato, se prima nol confessa. E santo Ierolimo, parlando della vera penitenzia, dice così: Chi è peccatore, pianga i propi peccati suoi. Ecco la contrizione.3 Poi, séguita: Entri nella Chiesa, della quale per li peccati era uscito. Per questo entrare nella Chiesa, s’intende la confessione, per la quale altri si rappresenta, per lo comandamento della Chiesa, a quegli che vicario di Cristo è nella chiesa.4 E poi soggiugne: Dorma in cenere e in sacco; acciò che ricompensi le delizie passate, colle quali offese Iddio, colla speranza dell’austera vita: e per questo intende la satisfazione. A questo intendimento parla santo Agostino, e dice: Fate la penitenzia la quale si fa nella Chiesa. Niuno dica a sé medesimo: Io la fo occultamente nel quor mio, il quale vede Iddio, il quale mi perdona il peccato. Non basta, dice egli. A che sarebbe detta la parola di Cristo agli Apostoli: Cui voi iscioglierete in terra, sarà isciolto in cielo? A che sarebbon date le chiavi a san Piero? Quasi dica: In vano; se non si richiedesse a vera penitenzia altro che la contrizione del quore. Ma richiedesi la confessione e la satisfazione, nelle quali si compie la vera e la perfetta penitenzia, aoperando a ciò le chiavi e l’autorità apostolica della santa Chiesa. E questo volle significare Iesu Cristo quando risuscitò Lazzaro nel monimento, che vivo, per la virtù della voce di Cristo, uscì fuori del sepolcro, dove era giaciuto morto; ma uscìnne legato le mani e’ piedi, e colla faccia coperta col sudario: il quale egli comandò agli Appostoli che lo sciogliessono, e lasciassonlo andare; a dare a intendere che Dio è quello che, colla sua infinita potenzia e smisurata virtù, la quale non ha né avere puote veruna creatura, risuscita dalla morte del peccato alla vita della grazia il peccatore, che giace morto e sotterrato nel sepolcro del suo puzzolente e fastidioso quore, o vero nel sepolcro della indurata e ostinata usanza. E questo fa Iddio occultamente nel segreto del quore, dando grazia di dolorosa contrizione. E questo è resuscitare Lazzero dentro dal sepolcro; ma uscirne fuori vivo e legato, è che, avvegna che 'l peccatore sia giustificato e vivificato dentro appo Dio per la contrizione, rimane ancora legato e obbligato al giudicio di fuori della santa Chiesa. Il quale legame a sciogliere è bisogno la mano apostolica, cioè l’autorità de’ prelati della santa Chiesa, che tengono il luogo degli Appostoli: la quale egli usano nel giudicio della confessione assolvendo i peccatori, i quali umilmente e veracemente confessano i loro peccati, colla vertude delle commesse chiavi; e impongono loro certe opere di satisfazione, secondo la loro discrezione, e secondo che richiede la condizione de’ peccati, e de’ peccatori confessati. E questo è Lazzero essere isciolto per mano degli Appostoli, e essere lasciato liberamente andare, secondo il comandamento di Cristo, che disse agli Appostoli:5 Solvite eum, et sinite abire: Iscioglietelo, e lasciatelo andare. La qual cosa detta allora corporalmente e figuratamente, disse un’altra volta a quegli medesimi spiritualmente e veramente, dando loro ordinaria giurisdizione e podestà, quando disse: Quoecumque solveritis super terram, erunt soluta et in coelis: Tutte quelle cose che voi iscioglierete sopra la terra, saranno isciolte in cielo. Ma se caso venisse che la persona veramente contrita non si potesse confessare, né sadisfare, come s’avea posto in quore quando Iddio le diede la grazia della contrizione, o per subitana morte, o per non avere copia di confessoro, o per alcun altro legittimo impedimento; allora basterebbe sola la contrizione a giustificare e salvare la persona: la quale potrebbe essere tanta, come detto è di sopra, che tôrrebbe via il peccato interamente quanto alla colpa e quanto alla pena, in tal guisa che la persona morendo in quello stato, verrebbe a vita eterna sanza veruno impedimento; o se non fosse tanto che tutto togliesse, manderebbe l’anima al purgatorio a sadisfare quivi quello che manco fosse alla sofficiente sadisfazione. Ciò si mostra per quello essemplo ch’ è scritto di sopra di quella peccatrice che, innanzi che ricevesse la penitenzia dal frate, per lo grande dolore di contrizione ch’ ell’ebbe, le crepò6 il quore.
Ancora si legge scritto da Cesario, ch’ e’ fu in Parigi uno iscolaro, il quale, per gli sconci e gravi peccati ch’egli avea, si vergognava di venire alla confessione, avvegna che grande dolore n’avesse. Una fiata vincendo il dolore la vergogna, s’andò a confessare al priore del monistero di san Vittore. Posto appiè del prete, tanto dolore di contrizione fu nel quore, tanti sospiri nel petto, tanti singhiozzi nella gola, tante lagrime gli abbondarono negli occhi, che la voce gli venne meno, e in veruna maniera non potea formare7 la parola colla quale potesse i suoi peccati confessare. La qual cosa veggendo il confessoro, disse ch’egli andasse e scrivesse tutti i peccati suoi. E ciò fatto, volendo riprovare se colla sua bocca gli potesse, leggendo, confessare, similmente come prima fu impedito. Onde il priore disse: – Dàmmi la scritta; – la quale avuta, e leggendo i grandi e disdicevoli peccati, non sapendo da sé medesimo che penitenzia gli dovesse ingiungere, chiese la parola allo scolaro di potere ragionare coll’abate suo, ch’era uno letterato uomo; e avutola, chiese il consiglio all’abate, e pôrsegli la scritta dov’erano iscritti tutti i peccati di quello peccatore contrito. La quale l’abate aprendo,8 trovò la carta bianca sanza veruna iscritta. E disse al priore: – Che debbo leggere, con ciò sia cosa che in questa carta che tu m’hai data, non sia lettera iscritta? Veggendola il priore: – Veramente padre (disse) in questa carta erano iscritti tutti i peccati di quello iscolaro, e io gli lessi: ma, per quello ch’io veggio, il misericordioso Iddio ha voluto dimostrare la virtù della contrizione, e com’egli abbia avuta accetta quella di questo giovane; e però gli abbia dimessi tutti i peccati suoi. – E amendue, l’abate e ’l priore, contarono allo scolaro quello ch’era avvenuto; il quale, lieto del perdono, ringraziò la divina misericordia.
E che sia vero che solo la contrizione basti, dove la confessione e la satisfazione non si possa fare o avere, tuttavia avendo il proponimento del confessare o del satisfare, si dimostra per quella parola del santo profeta David, il quale disse nel Salmo: Dixi, confitebor adversum me iniustitiam meam Domino, et tu remisisti impietatem peccati mei. La qual parola esponendo Cassiodoro, dice: Dixi, cioè appo me proposi e deliberai: confitebor adversum me, di confessare contro a me medesimo: iniustitias meas, le mie ingiustizie, cioè i miei peccati, che io ingiustamente feci, o vero, i quali facendo, mi feciono ingiusto: Domino, a Dio; chè quello che si confessa al prete, si confessa a Dio; o vero a Dio, quando non si potesse avere copia di confessoro. E séguita: Et tu remisisti impietatem peccati mei: E tu, Signore Iddio, perdonasti la ’mpietà del mio peccato. Grande pietade è quella di Dio, che per la sola promessa perdona i peccati, e riceve la volontà, come facesse l’opera. E santo Agostino, esponendo la predetta parola, dice: Ancora non confessa colla bocca il peccato, ma promette di confessarlo, e Dio gli perdona; imperò che ’l dire del quore è appo Dio, che vede il quore, uno aperto confessare. Non è ancora la voce nella bocca, che l’uomo possa udire la confessione; e Dio l’ode dal proponimento del quore. E ciò pare che volesse dire il Profeta, quando disse, in persona di Dio: Qualunche ora il peccatore si convertirà e piangerà, io non mi ricorderò più di niuno suo peccato. Vuol dire, che non se ne ricorderà a doverlo punire, però che gli ha già perdonato. E non disse in qualunche ora il peccatore confesserà colla bocca, ma si convertirà col quore, e piangerà con dolore di contrizione; a dare ad intendere, che eziandio tacendo la bocca, si perdona la colpa per la contrizione e per lo proponimento del quore. Questo fu significato nel santo Vangelo di quelli dieci lebbrosi, i quali domandando da Iesu Cristo di essere mondati, e egli dicendo loro che s’andassono a rappresentare e a mostrare a’ sacerdoti, che tenevano figura e luogo de’ nostri preti;9 e eglino andando, per la via, innanzi che giugnessono a’ sacerdoti, si trovarono mondati e sanati. Per la qual cosa mostra che innanzi che ci rappresentiamo a’ preti e apriamo la bocca per la confessione, dimostrando loro la lebbra del peccato, per la contrizione, col proponimento del confessarsi, ch’ è essere ancora nella via, noi siamo mondati e curati del peccato; come detto è di sopra. Similmente il fatto di Lazzero, che fu sposto di sopra, significa che innanzi el peccatore è risuscitato da Dio dalla morte del peccato alla vita della grazia nel segreto della coscienza (e ciò si fa nella contrizione del quore), che la mano apostolica lo sciolga (che si fa nella assoluzione della confessione sagramentale colla bocca di fuori), adoperando i ministri della Chiesa, che tengono il luogo degli Appostoli, la virtù delle chiavi commesse.
Note
- ↑ Suo è nella stampa del Salviati.
- ↑ Così ancora il Salviati; ma nella stampa del primo secolo: la possibilità di ciò fare.
- ↑ Non bene il nostro e il Salviati: e colla - e con lui.
- ↑ Pare che nessun Manoscritto dei veduti degli Accademici concordasse col nostro, il quale abbrevia notevolmente questo periodo, scrivendo: per la quale altri si rappresenta al prelato per lo comandamento della Chiesa.
- ↑ Aggiunge la stampa del 95: come decto è.
- ↑ Nella stampa del primo secolo: scoppiò.
- ↑ Il Manoscritto: e in veruna maniera potea fornire.
- ↑ Nel Testo: avendo.
- ↑ Così leggesi nell'edizione del 95 e in quella del Salviati. Il nostro Codice (con forma non chiara abbastanza, e intrusione di una inutile parola): che tegneno in figura e in luogo de' nostri padri preti. Gli editori del 25: che teneano in figura il luogo ec.