Sotto il velame/La mirabile visione/II
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II.
VIRGILIO
Nel gorgoglio della piccola fonte ho inteso il nome misterioso di Lucia. Lucia è “bianchezza di luce„, Lucia è “Grazia„. Ella è la dolce madre che prende l’anima in collo, e le fa suggere il latte, senza chiederle compenso, contristandosi se non c’è chi lo voglia. Domandiamo alla fonte, che sa tante intime cose della mente di Dante, se sa il nome del dolcissimo padre; e se questo è quello che già andava per le bocche della gente, come quel della dolce madre. E la fonte mi pispiglia quel nome di mistero. E quel nome non era ancor andato per le bocche della gente, perchè sonava soltanto nel chiocchiolìo appartato della fonte ignota. Quel nome è “Studium„.
“In quelli„ dice la fonte umile e grande “in quelli che ardono di grande amore per la translucida verità, non è da biasimare lo studio, ma s’ha da rivocare ad ordine, in modo che cominci dalla fede e con la bontà de’ costumi si sforzi di giungere là dove aspira„. Virgilio apparisce a Dante che già rovina in basso loco. Questi ha avanti sè la lupa che raffigura e assomma tutta la malizia. E Virgilio non crede che Dante possa riuscire a vincere codesta malizia e salire al colle. Al colle salirebbe Dante con l’esercizio delle quattro virtù che assommano le virtù morali: con la bontà dei costumi. Ma quelle e questa non basterebbero. La bestia lo ucciderebbe. Quindi gli propone altro viaggio. Questo viaggio è pur sempre una guerra contro la medesima bestia che assomma le altre due, contro Lucifero tricipite, di cui riescono, Dante e Virgilio, vincitori, mettendo il capo ov’egli ha le gambe; o contro le tre fiere, contro la lonza gaietta in sè e trista negli effetti, contro il leone violento, che è ira bestiale, e contro la lupa insaziabile, che è invidia infernale e infernale superbia; o contro le tre Furie, che rappresentano quest’ira e invidia e superbia, e che hanno un Gorgon che dà la disperazione e non fa più tornar su; ed è una guerra che si combatte con l’armi stesse che l’altra: con la temperanza e la fortezza e la giustizia e la prudenza; ossia con le virtù morali, ossia bonis moribus. Ma la guerra non è più nella deserta piaggia. Dante con la sua guida s’è inabissato, è morto. E quando risorge, sempre con la sua guida, ascende e ascende, sempre con quelle armi purificando ogni traccia di male; e giunge così bonis moribus, giunge là dove aspira. Chi lo guida e incuora e sostiene e reca in braccio e, insomma, l’accompagna, è lo studio, salvo che una volta al cantore si sostituisce l’eroe, e un’altra, al dolce padre la dolce madre.
Virgilio è dunque lo studio che “con la bontà de’ costumi si sforza di giungere là dove aspira„.
E “comincia dalla fede„. Dante dubita di lui. Avanti il pericolo imminente della lupa, sì, gli si affida. Sa la virtù sua. Lo conosce, lo ama. Per fuggire quel male e peggio, acconsente a seguirlo. Si muove Virgilio, e Dante gli tien dietro. Ma viene la sera. Nel silenzio delle cose, il nuovo pellegrino si abbandona del venire. E quell’ombra, per far che l’uomo si solva dalla sua tema, gli dice che è mandato da Beatrice. Non basta: gli dice che Beatrice fu mossa da Lucia. Non basta: gli dice che Lucia fu mandata da Maria, della quale egli non pronunzia il nome, come non pronunzia quello del Possente figliuol di lei. Quando sa che Virgilio viene per parte di tre donne benedette della corte del cielo, allora Dante si sente tornare il buon ardire nel cuore, e gli dice: Tu duca, tu signore, tu maestro! È questo invero studio non improbandum, perchè comincia dalla fede. Nè ciò basta. Per restringerci al poco ed essenziale, il lettore ricordi che quando l’ombra e l’uomo sono nel limbo, tra gli spiriti magni, in mezzo alle scuole poetiche e filosofiche dell’antichità pagana o non credente, là dove lo studio per un’anima pia è più pericoloso, l’uomo cristiano si volge all’ombra pagana:1
Dimmi, maestro mio, dimmi, signore.
E sono le parole di prima, ripetute con una intenzione. Ebbene il cristiano al pagano domanda del Cristo Redentore. E perchè?
Per voler esser certo
di quella fede che vince ogni errore.
Allo studio, pur fatto di filosofi e poeti pagani, si deve chiedere conferma della fede.
Perchè lo studio, per un uomo del tempo di Dante, s’intende che era di autori latini. Boezio e Tullio sono gli autori che Dante legge, nella sua tanta tristizia, e v’entra “tant’entro, quanto l’arte di grammatica, ch’egli avea, e un poco di suo ingegno potea fare„.2 Or se uno d’essi autori valeva a impersonare tale studio, questi era Virgilio.3 Già ai tempi di Quintiliano e prima “Virgilio era il primo libro latino che prendevano in mano i fanciulli dopo avere imparato a leggere e scrivere, e d’allora in poi esso serviva non meno all’insegnamento elementare che al superiore„. E così continuò per un pezzo;4 e nei tempi oscuri di mezzo5 “dove regnò la grammatica, ivi regnò anche Virgilio, compagno inseparabile ed autorità suprema di essa. Virgilio e la grammatica si può dire che, nel medio evo, cessino di essere due cose distinte e divengano quasi sinonimi„. E ciò valeva, più che per qualunque altro, per Dante, il quale già nella Vita Nuova, quando per il suo ingegno “molte cose, quasi come sognando, già vedea„,6 citava prima e più diffusamente di ogni altro poeta Virgilio, a dimostrare che i poeti devono parlare “non senza ragione alcuna, ma con ragione, la quale poi sia possibile d’aprire per prosa„.7 Si aggiunga a ciò che Virgilio cantò la giustizia di Enea; che visse ai tempi d’Augusto, quando “esistendo perfetta monarchia, il mondo d’ogni parte fu quieto„;8 che portava, sì dietro sè, ma tal lume che stenebrava altrui, essendo egli quasi un profeta, inconscio, di Gesù;9 che oltre aver cantata la discesa agl’inferi d’Enea, ed essere perciò come l’evangelista dell’eroe della vita attiva, aveva acquistato nei tempi di mezzo fama di mago. Ma il concetto precipuo di Virgilio è “studio„, quello studio che s’iniziava con la grammatica. Dante dice d’aver tolto da lui lo bello stile. Prima Dante ebbe da lui l’arte del dire, poi la via dell’oltremondo. Così Stazio a Virgilio stesso dice:10
Tu prima m’inviasti
verso Parnaso a ber nelle sue grotte,
e poi appresso Dio m’alluminasti.
Facesti come quei che va di notte...
Così poteva dirgli e in parte dice Dante: Da te tolsi lo bello stile; e poi mi conducesti per i due regni del reato e della macchia. E non lo condusse soltanto come imaginato duca; ma veramente gli fornì imagini e idee e colori, dagli infanti del primo limitare agli Elisi della foresta viva. Onde bene a ragione esclama sul primo vederlo:11
Vagliami il lungo studio e il grande amore!
pronunziando, con accortezza di cui nessuno si è accorto, le parole che esprimono l’essenza mistica di quell’ombra: studio e amore. Chè Dante esitò nel tradurre quelle parole di S. Agostino, non est improbandum studium, come noi stessi esiteremmo, se tradurre in “studio„ o in “amore„. Studio e amore assomigliano. Dante lo sapeva: “Per amore io intendo lo studio il quale io mettea per acquistare l’amore di questa donna... È uno studio il quale mena l’uomo all’abito dell’arte e della scienza; e un altro studio, il quale nell’abito acquistato adopera, usando quello; e questo primo è quello, ch’io chiamo qui Amore...„12 Ciò a proposito di quel primo verso dolcissimo,
Amor, che nella mente mi ragiona,
il quale risuona a piè del monte dalla bocca di Casella:13
Lo mio maestro ed io e quella gente
ch’eran con lui, parean sì contenti,
com’a nessun toccasse altro la mente.
Il Maestro poi pare da sè stesso rimorso per il picciol fallo14 di quella sosta. Perchè aveva egli sostato? perchè era stato così fisso e attento? In quella canzone si toccava di lui! Il dolcissimo padre (siano grazie alla fonte romita che ce l’ha detto) si chiama, se si vuole, studio, ma si chiama, se si vuole, amore. E ragionava invero Virgilio più volte della donna di Dante, nella mente di lui, da quando col suo nome lo indusse al viaggio, a quando col suo nome gli fece traversare le fiamme.
Note
- ↑ Inf. III 46 segg.
- ↑ Conv. II 13.
- ↑ Virgilio nel Medio Evo di D. Comparetti 2. ed. Vol. I cap. III.
- ↑ Op. cit. pag. 92, 97.
- ↑ Op. cit. pag. 101.
- ↑ Conv. II 13.
- ↑ V. N. XI 25.
- ↑ De Mon. I, 18; e passim.
- ↑ Purg. XXII 72.
- ↑ Purg. XXII 64 segg.
- ↑ Inf. I 83.
- ↑ Conv. III 12.
- ↑ Purg. II 112 segg.
- ↑ Purg. III 7 segg.