Sotto il velame/L'altro viaggio/VI

L'altro viaggio - VI

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L'altro viaggio - V L'altro viaggio - VII
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VI.


E la chiama! Il Minotauro è detto “ira bestiale„.1 Esso raffigura l’ira “mala„ in tutte le sue gradazioni:2

                      Quando vide noi sè stesso morse,
               sì come quei cui l’ira dentro fiacca.

Ha dunque l’ira del bizzarro che sè medesimo mordeva. Mordeva sè per non potersi vendicare. L’ira lo fiaccava dentro. Così il Minotauro. Virgilio accende quest’ira. La bestia sembra un toro che si slacci. Vorrebbe offendere; ma non può per la ridondanza dell’ira stessa. Col fatto che l’ha accesa, Virgilio l’ha spenta. Ma l’ira che a principio era quella del bizzarro, all’ultimo è bestiale.

De’ Centauri Nesso ebbe ed ha la voglia sì tosta; e vorrebbe tirar l’arco da lontano, subito; e poi fe’ di sè la vendetta egli stesso.3 Folo fu sì pien d’ira.4 Chirone, che non poteva essere taciuto tra i centauri de’ quali è il più famoso, “nudrì Achille„.5 È un ricordo dell’ira funesta? O Dante sapeva ancora che Chirone volle morire? I dannati che piangono nel bollor vermiglio gli spietati danni, sono certo tali che non si guardarono dall’ira nel punire:6 [p. 348 modifica]concetto noto a Dante.7 Sin quì mi pare che nulla osti a credere che i peccati compresi sotto l’esclamazione,

               O cieca cupidigia, o ira folle,

abbiamo come il nome Ciceroniano di violenza e l’altro Aristotelico di bestialità o ferità, così quello tanto volgare quanto teologico di ira. L’ira di Dio è voluntas vindicandi o puniendi, l’ira degli uomini è cupiditas o libido ulciscendi. Quì abbiamo spietati punitori e inordinati vendicatori. Ma ira può dirsi quella dei suicidi e dei dissipatori? Il Dottore dice seguendo Aristotele, che “tutti i motivi d’ira si riducono a disprezzo (parvipensio)„,8 ed è disprezzo, per esempio, l’oblivione ed esultanza negl’infortuni, il contristare alcuno col ricordargli i suoi guai, il mostrar letizia nelle sue disgrazie, l’impedirgli d’ottenere il suo proposito. Il qual disprezzo mostra Virgilio al Minotauro, esattamente, per farlo montare in furia, per mutare l’ira sua da tal che fiacca, in bestiale. Invero gli grida:9

                                           Forse
               tu credi che qui sia il duca d’Atene,
               che su nel mondo la morte ti porse?

C’è in queste parole “l’impedimento di adempiere la sua volontà„. Ah! vorresti vendicarti? Niente: non potrai. E c’è il ricordo dell’infortunio. E Virgilio grida ancora:

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                                       Partiti, bestia!

E qui c’è la contumelia e l’oblìo del suo essere; chè bestia non è veramente il Minotauro, come riconosce, per maggior ludibrio, il suo insultatore:

                           chè questi non viene
               ammaestrato dalla tua sorella.

Era dunque figlio di donna anch’esso; e questo riconoscimento è col ricordo della sua sventura, alla quale partecipò chi non doveva. E Virgilio conclude:

               Ma vassi per veder le vostre pene.

E questa è l’esultanza nel suo infortunio. Or bene a questa parvipensio accenna Pier della Vigna:10

               L’animo mio, per disdegnoso gusto,
               credendo col morir fuggir disdegno,
               ingiusto fece me contro me giusto.

Ricordandoci che l’ira riflette il bene della giustizia; che l’ira appetisce il male altrui sub ratione di giusta vendetta, che l’ira è per rispetto a quelli rispetto ai quali è la giustizia e l’ingiustizia;11 noi troveremo che in quel terzetto è con perfetta evidenza delineato il concetto di ira. I dissipatori, abbiamo veduto come anche Seneca faccia rei d’ira. La qual ira Dante significa col contrappasso. Chè essi sono dilacerati a brano a brano dalle cagne che sono un’altra forma delle arpie, al modo stesso che quelli dilacerarono le cose loro.12

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Ma nel terzo girone sono i violenti o bestiali contro Dio. Rei d’ira anche questi? Sì: e solo con intendere la violenza o bestialità per ira, si vede un nesso tra i peccatori del terzo e quelli degli altri due gironi. Invero diciamoli senz’altro violenti contro Dio, tali, con l’esempio di Capaneo, che volessero fare forza a Giove. In che Capaneo differisce dai giganti legati? Non si direbbe anzi che violenti fossero più presto coloro che menarono le braccia facendo “paura ai dei„?13 Quando noi invece consideriamo che l’uno era dominato dall’ira, da quel peccato semiferino, e che gli altri, no, mettevano, contro gli dei, con la possa e il mal volere anche l’argomento della mente, e così o fabbricavano una torre o ingegnavano una battaglia coi suoi accorgimenti oltre che co’ suoi èmpiti e assalti; allora comprendiamo. Capaneo è peccator d’ira, e l’ira gli resta a sua pena. Già abbiamo veduto che Seneca parla d’un’ira “veemente e sprezzatrice di dei e d’uomini„.14 Egli riferisce il fatto d’un Capaneo vero, fatto che mi pare impossibile non fosse conosciuto dal nostro. “Gaio Cesare... adirato col cielo, perchè i tuoni disturbavano i pantomimi... e perchè la sua festa era atterrita da fulmini (invero poco ben diretti!), sfidò a battaglia Giove, e senza quartiere, pronuziando quel verso Omerico: O tu me o io te. Quanta demenza! Egli credè o che nemmeno Giove poteva nuocere a lui o che esso persino a Giove poteva nuocere!„.15 E codesta di Caligola è ira. Ira, per altro, che sembrerebbe avere un che di grande. Ma no, dice l’autore: non è grandezza quella, [p. 351 modifica]è gonfiezza. “Tutti quelli cui l’animo malvagio e truce solleva sui pensieri proprii dell’uomo, credono di spirare un che d’alto e di subblime: del resto non c’è nulla di saldo sotto, ed è inchino a rovinare ciò che crebbe senza fondamento. L’ira non ha dove fondarsi... È ventosa e vana...„16 E aggiunge, come ho già riferito: “C’è una grande differenza tra un animo sublime e uno superbo„. È chiaro come Virgilio possa chiamar “superbia„ quella di Capaneo, anche a non ammettere che Dante usi oltre le mura di Dite questa parola a indicare l’aversio da Dio che è in tutti e tre i cerchietti e non è nei cerchi dell’incontinenza, che men Dio offende; salvo che già un poco si mostra nello Stige, dove è la preparazione alla malizia o ingiustizia; l’aversio da Dio o il peccato generale che si scinde in tre e poi si spicciola in molti.

S’intende, dunque, meglio che quella di Capaneo sia ira (ira superba se si vuole) di quello che sia violenza, se il suo peccato ha da assomigliare a quelli degli altri due gironi. La cosa è più chiara se ragioniamo anche degli altri peccatori contro le cose di Dio, natura ed arte. Come violenti, al mo’ di Capaneo, oltre i sodomiti, gli usurieri? Bestiali sono i sodomiti (Dante lo imparava dal filosofo), come i sanguinari: ma perchè bestiali anche gli usurieri? Violenti siano questi ultimi perchè forzarono il danaro a fruttare senza lavoro: violenti forse anche gli altri, perchè forzarono la natura a dare quel che non può e non deve? No: la malizia del loro abito o atto è nel proposito d’impedire la generazione; e non di averla, [p. 352 modifica]stolidamente, per altre vie; ma sia. E allora di costoro, usurieri e sodomiti, la forza in che assomiglia a quella dei predoni e dei tiranni? Non si trova, mi pare, un sostrato uguale a tutte queste diverse reità; se non si dice che ira è il peccato di tutti, tiranni, suicidi, sodomiti, usurieri.

Dante dichiara la propria ragione di Caorsa, facendo dire a Virgilio:17

               Da queste due,

cioè dalla natura accomodata da Dio alle necessità umane, e dall’arte degli uomini stessi,

               Da queste due, se tu ti rechi a mente
               lo Genesi dal principio, conviene
               prender sua vita ed avanzar la gente.
               
               E perchè l’usuriere altra via tiene,
               per sè natura, e per la sua seguace
               dispregia; perchè in altro pon la spene.

Ora dispregiare la natura in sè e nell’arte è dispregiare Dio, perchè la natura prende il suo corso dall’intelletto e dall’arte di Dio; è come dispregiare Dio naturante e artefice.

Invero18

               puossi far forza nella Deitade
               col cor negando e bestemmiando quella
               e spregiando natura e sua bontade;
               
               e però lo minor giron suggella
               del segno suo e Soddoma e Caorsa
               e chi spregiando Dio col cor favella.

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Dunque si fa forza contro Dio negando o bestemmiando o spregiando la deità, la natura, la bontà di Dio. Chiaramente, con l’accenno alla bontà di Dio, è richiamato lo Genesi, anche se Dante non si fosse fatto ammonir da Virgilio a recarselo a mente. Chè nello Genesi è detto:19 “Prese dunque il signore Dio l’uomo e lo pose nel paradiso deliziano, perchè operasse e lo custodisse„. E questo precetto di operare veniva dalla bontà di Dio che fece l’uomo simile a sè, intelligente e operante. “E l’operare non sarebbe stato faticoso, come dopo il peccato, ma giocondo per lo sperimento della virtù naturale„.20

Come ora un uomo spregerebbe in tal precetto la bontà di Dio? come, rispetto a ciò, farebbe forza in Dio? Non, mi pare, col solo non operare; ma in qualche modo analogo al modo di Capaneo, che come spregi Dio, si vede, mi pare, senz’altro. Ebbene, Capaneo mostra il disdegno che ha di Dio e il poco pregio che fa di lui, dicendo che s’egli lo saettasse ancor laggiù, come fece lassù21

               non ne potrebbe aver vendetta allegra.

Ora Capaneo è un punito da Dio, e uno che chiama vendetta la punizione che riceve o è per ricevere, e uno che minaccia ancor resistenza contro la vendetta. E questo è appunto il caso degli usurieri, se ci rechiamo a mente lo Genesi dal principio. L’uomo peccò, e Dio lo scacciò dal paradiso, dicendogli: “Maledetta la terra nell’opera tua! Nelle fatiche mangerai [p. 354 modifica]da quella tutti i giorni della tua vita! Spine e triboli ella a te germinerà, e mangerai l’erbe della terra! Nel sudore del tuo volto ti ciberai del tuo pane, finchè tornerai nella terra dalla quale fosti preso; perchè polvere sei e in polvere tornerai!„. Ecco dunque il precetto di bontà divenire intimazione di pena: ecco che per il fatto di dovere operare ogni uomo è nella condizione di Capaneo: di punito. Ed ecco che gli usurieri ricusando di operare e di mangiar nelle fatiche e di cibarsi nel sudore del lor volto, sono ribelli, per così dire, a Dio, come Capaneo. E ciò è tanto più evidente, in quanto Capaneo si ribella stolidamente a una pena che è proprio compresa in quella maledizione: “tornerai nella terra dalla quale fosti preso!„ Oh! Capaneo è sotterra, negli abissi, ed esclama “qual fui vivo tal son morto„. Ma questo dispetto è la sua pena maggiore. Sei morto, o Capaneo! Sotterra sei!

E come gli usurieri, sono nella condizione di puniti anche i peccatori di Soddoma. Oltre quel precetto di operare, dalla bontà di Dio l’uomo ne aveva avuto un altro: questo: “Crescete e moltiplicate e riempite la terra e sommettetela e dominate...„ Ciò disse il Signore, dopo aver creato l’uomo a imagine e somiglianza sua, a imagine di Dio, e averli creati maschio e femmina; e nel benedirli. Ora questo precetto di bontà diventò intimazione di pena. “Moltiplicherò le tue doglie e i tuoi concepimenti: nel dolore partorirai i figli...„. Ed è pena la libidine nella quale si genera; libidine che non ci sarebbe stata, se non ci fosse stata la colpa. Solo la procreazione dei figli appartiene alla gloria del connubio e non [p. 355 modifica]alla pena del peccato.22 Ebbene anche i sodomiti sono ribelli a una pena, e, come gli usurieri, percepiscono solo come segno della giustizia ciò che è pur prova della bontà di Dio; segno della pena, cioè della vendetta. Così, dunque, a Dio che dice, Morrai, e, Moltiplicherai, e, Lavorerai; si risponde, No.

Questa è la nota comune nella reità del terzo girone; e con questa s’intende come colui che si lecca il naso, abbia parentela con l’eroe che assise Tebe. E la nota comune non si ricava solamente dalla menzione dello Genesi; ma da tutto il concepimento della Comedia. Chè lo inferno è corso tutto da quel fiume dei molti nomi che sgorga dal peccato originale; e Lucifero è in fondo, e nel penultimo cerchietto è il serpe infernale, cioè Lucifero divenuto Gerione, cioè la superbia diabolica divenuta invidia; e nel terzultimo cerchietto echeggia distintamente il primo dramma umano; e nei cerchi della incontinenza sono puniti i vizi delle parti dell’anima, cioè dell’ira e della libidine,23 e quali “nel paradiso prima non erano viziose„, e servivano invece di comandare.

Note

  1. Inf. XII 33.
  2. ib. 16 segg.
  3. ib. 63, 66, 69.
  4. ib. 72.
  5. ib. 71
  6. De off. I 25, 89: Cavenda tamen est maxime ira in puniendo, cum qua nemo tenebit mediocritatem.
  7. Huius iudicium omnem severitatem abhorrens et semper citra medium plectens... Epist. V.
  8. Summa 1a 2ae 47, 2.
  9. Inf. XII 16 segg.
  10. Inf. XIII 70 segg.
  11. Summa, passim: 2a 2ae 153, 4; 1a 2ae 46, 6, 7; 47, 1 et al.
  12. Vedi più sopra a pag. 344.
  13. Inf. XXXI 95 seg.
  14. De ira I 2, 1.
  15. ib. 20, 8.
  16. De ira I 20, 1 e 2.
  17. Inf. XI 106 seg.
  18. ib. 46 segg.
  19. Gen. II.
  20. Summa 1a 102, 3. Il passo è di S. Agostino. Vedi «Minerva oscura» 70 e segg.
  21. Inf. XIV 51 segg.
  22. Aur. Aug. De civ. D. XIV 21, 22 e segg. Nelle parole di Iacopo Rusticucci «La fiera moglie etc.» è adombrata, secondo me, la ribellione della femmina stessa alla pena divina di partorire con dolore.
  23. De civ. D. XIV 19. Basterebbe questa citazione a far ricredenti gli avversari che possano essere persuasi.