Sopra le vie del nuovo impero/Il dramma dei tre popoli

Il dramma dei tre popoli, il dominatore, l’indigeno e l’emigrante.

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Il dramma dei tre popoli, il dominatore, l’indigeno e l’emigrante.
Le due giornate del trionfo nazionale La lotta di classe araba
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A Tunisi




Il dramma dei tre popoli,
il dominatore, l’indigeno e l’emigrante.


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Tunisi, 7 Marzo.


La città di Tunisi è ora, specie per noi italiani, un punto molto importante d’osservazione. Vi si agisce un dramma da tre persone straordinarie, straordinarie per lo meno per il fatto che ognuna di esse è un popolo. Intendo parlare dei francesi, degli italiani e degli arabi.

Lo stato per così dire drammatico tra francesi, italiani ed arabi preesisteva, e infatti mi fu dato notarlo sin da quando venni qui la prima volta due o tre anni sono. Allora studiai soprattutto com’erano atteggiati i francesi verso gli italiani e questi verso quelli: gli italiani erano gli invasori del lavoro e della prolificazione, i quali si sovrapponevano ai francesi che prima avevano invasa la Tunisia coi soldati, l'amministrazione e il denaro. I francesi pativano nel [p. 16 modifica]loro impero affricano gli effetti tragici del loro diminuire di popolazione in Europa: avrebbero voluto francesizzare l’Affrica, ma non avevano gente per lavorarla e popolarla. Venivano allora gli italiani, specie dalla prossima esuberante Sicilia, e la lavoravano e popolavano; ma tentando i francesi di assimilarseli, quelli non ne volevano sapere. Perciò in Tunisia il capitale, francese, e il lavoro, italiano, restavano separati e piuttosto ostili l’uno all’altro; o più esattamente, ostile il primo al secondo. Mi saltò agli occhi, durante quel mio primo viaggio, una specie di rassomiglianza tra francesi e italiani in Tunisia e borghesi e proletarii nel resto del mondo: con la differenza che nel resto del mondo erano i proletarii a muover guerra ai borghesi, mentre in Tunisia erano piuttosto i francesi borghesi che avrebbero voluto muover guerra agli italiani proletarii. In realtà i franco-tunisini cercavano di combattere i nostri emigranti economicamente e nella cultura, nella lingua, nelle scuole.

Tornando a Tunisi l’anno scorso, mi apparve il primo profilarsi, tra le due precedenti, della terza dramatis persona: l’arabo, l’indigeno fra i due venuti di fuori, il dominante e l’emigrante. E infatti l’anno scorso s’era qui iniziata quella che i francesi chiamano politica d’associazione. Politica di [p. 17 modifica]associazione dei francesi con gli arabi, dal momento che era riuscita vana ogni loro politica d’assimilazione degli italiani. E nel mio volume dell’Ora di Tripoli mostrai come la sopraddetta politica franco-araba fosse per riuscire di danno al terzo incomodo intromessosi fra i due, all’italiano. In sostanza i francesi s’erano per la prima volta accorti d’avere sotto mano un indigeno col quale, quando si fosse allevato e formato, avrebbero potuto cacciar via l’emigrante. Ed essi avevan trovato i loro uomini nei Giovani Tunisini, alcuni giovani arabi «evoluti» delle classi superiori i quali per il loro popolo non chiedevan di meglio che occupazioni e istruzione, perchè un giorno potesse risorgere. I Giovani Tunisini si presentavano come gli avvocati degli arabi dinanzi ai francesi; potevano diventare anche gli agenti dei francesi presso gli arabi per la politica d’associazione.

Questo era in Tunisia, tra francesi, italiani ed arabi, lo stato drammatico sino a pochi mesi fa. Venne la guerra e scatenò il dramma.

L’italiano che è di passaggio per questa minore e più nuova Marsiglia d’Affrica all’ombra di Cartagine; o peggio, la colonia nostra che vi dimora, dovendo aver prudenza e pazientare per le ragioni nazionali [p. 18 modifica]che i lettori forse capiscono, hanno di che divorarsi ogni giorno l’anima, perocchè la dramatis persona franco-tunisina agisce ora la sua parte furibondamente. Quel risentimento francese contro di noi che i lettori anche troppo conoscono; quel risentimento francese, parigino e marsigliese ad un tempo, vale a dire, che da una parte fa capo alle classi colte ed ai circoli politici di Parigi, da un’altra fa capo agli armatori di Marsiglia; quel risentimento francese contro di noi che esiste, prima di tutto perchè preesisteva nelle formazioni ataviche dello spirito francese, e poi perchè facciamo una guerra e non l’abbiamo perduta ancora, e poi perchè facciamo la guerra per conquistare la Tripolitania; quel risentimento francese contro di noi che in grazia del Carthage e del Manouba potè repentinamente scoppiare; passando da Parigi e da Marsiglia a Tunisi, giunse alla frenesia. Quanto i francesi pensano di noi italiani, ebbe qui a Tunisi ed ha la sua espressione franco-tunisina, vale a dire l’espressione della solita esagerazione coloniale, e d’una colonia straordinariamente predisposta a pensare di noi italiani il peggio possibile. E perciò questa città è, nell’ora che volge, molto importante, anche per i non italiani, per i ricercatori di fatti storici, uguali oggi nella [p. 19 modifica]sostanza a quelli di ieri, sebbene sotto aspetti diversi e con parole mutate. L’odio di popolo contro popolo si mostra ora qui sotto forma tipica. L’odio di popolo contro popolo che in tanti tempi, da nazione a nazione, da città a città, da continente a continente, da stirpe a stirpe, da religione a religione, ha attraversato la terra, ha suscitato guerre e stragi; quest’odio franco-tunisino, non francese, ma della Francia distaccata a Tunisi che ha tutti i sentimenti della metropoli colonialmente ingrossati ed esasperati, ed ha cose e fatti e atti in proprio, affari e tutto sul territorio; quest’odio contro di noi, come già esisteva e agiva, come poi di fiamma che era, repentinamente divampò in incendio, come ora di nuovo si fomenta, ed esso parla e opera, in tutto ha caratteri prototipici.

L’italiano che passa, e la colonia italiana che resta, possono leggere sui giornali francesi di Tunisi periodi come questi: «Se dobbiamo credere ai giornali della penisola, il popolo italiano avrebbe accolto con un entusiasmo grandissimo rasentante il delirio il voto della camera e del senato proclamante la sovranità intera dell’Italia su la Tripolitania e la Cirenaica. A dire il vero, non ci vuol molto per far vibrare la corda patriottica presso i nostri fratelli latini [p. 20 modifica](sottolineato!): basta loro une pantalonnade du dernier mauvais goût. Festeggiare come un fausto avvenimento, stesa la mano, metaforicamente, ben s’intende, sopra territorii non ancora conquistati, è d’un grottesco che aggiungerebbe ancora qualcosa, se fosse possibile, al ridicolo di cui sin dal principio della campagna si sono coperti “ces conquèrants nouveau jeu„. L’articolo, intitolato appunto Pantalonnades, e dove ce n’è per tutti noi, anche pour les beaux yeux de S. M. le roi d’Italie, terminava così: «Ma lasciamo l’Italia cavarsi dal gineprajo come meglio potrà, e noi contentiamoci di restare spettatori del duello in cui essa inevitabilmente soccomberà. Perchè sarebbe temerario far nostra la sua causa tirandoci addosso gli odii dei mussulmani, il che potrebbe essere dannoso per i nostri possedimenti d’Affrica». Il giornale che scrive questo, è socialista, e dicono che sia pagato dai turchi. Così per servire i turchi un giornale socialista incita la borghesia franco-tunisina contro gli italiani che formano due buoni terzi del proletariato operajo della Tunisia. Vedano i lettori la deformazione del socialismo nelle colonie.

Ma i lettori crederanno che così nemica nostra sia soltanto la prosa dei giornali. S’ingannano. È anche la prosa ufficiale, con [p. 21 modifica]più garbo, ben s’intende, ma è anche la suprema prosa officiale. Il capo del protettorato, rappresentante del governo francese in Tunisia, le Résident Général, monsieur Alapetite, tornando di Parigi fece gli scorsi giorni un giro per il centro e il mezzogiorno tunisino. Parlò. Aveva promesso prima che avrebbe detto una parola di pace, e, si afferma, avrebbe dovuto dirla per istruzioni ricevute a Parigi; ma ecco quali furono, certo in omaggio al sentimento locale, i fiori della sua eloquenza per gli italiani: «Gli italiani sono in casa nostra, non lo dimentichino, e questo imponga loro qualche dovere. Si tengano per sè la fierezza che loro ispirano i fatti d’arme del loro esercito raccontati dai giornali del loro paese, e non urtino i sentimenti altrui». E poco dopo, il residente generale non pago ancora, nel fare la debita rèclame al soggiorno invernale della Tunisia, tornava sulla ferita e aggiungeva: «Ed ora che spiegazioni sono state scambiate, ora che assicurazioni sono state date, non debbono più i forestieri aver paura di venir qui, nè immaginarsi di correre lungo le coste della Sardegna, di correre quei rischi che avanti il 1830 rendevano paurose le coste barbaresche. La Tunisia non fu mai meglio preparata a ricevere i suoi ospiti, nè la [p. 22 modifica]stagione fu mai più favorevole». Del resto, il giornale in cui qualche giorno fa si potevano leggere i periodi che ho riportato più sopra, il Courrier de Tunisie, ha pratica, a quanto si afferma, con la reggenza; molta pratica coi turchi e qualcuna con la reggenza.

La guerra getta contro l’italiano l’altro nemico, l’indigeno, il quale o sonnecchia, o quando si leva, delira. La Turchia, sin dal principio della guerra si dette cura di sommuovere i correligionarii di Tunisi; giunsero qui ufficiali turchi con lettere del sultano per il bey; gli ufficiali turchi che di qui continuamente passarono per portarsi alla frontiera, agitarono e s’intesero con i Giovani Tunisini; gli stessi giornali francesi con il loro linguaggio antitaliano, parte inconsideratamente, parte sapendo quello che facevano, aggiunsero esca al fuoco. Il 7 Novembre una moltitudine d’arabi s’era raccolta al Djellas, un cimitero presso la città, perchè era corsa la voce che il municipio voleva espropriarne una parte in favore d’un privato. Già infanatichiti gli arabi e vicini a delirare, erano accorsi a difendere il cimitero per la pietà de’ loro morti, quando improvvisamente, per la pietà della religione comune, gli spiriti si volsero, o meglio furon volti, contro gli italiani che combattevano i turchi in Tripolitania. Italiani e arabi, [p. 23 modifica]o fossero i primi questi, o fossero quelli, vennero alle mani, e il 7 e l’8 Novembre si versò sangue. E il 10 Febbraio all’improvviso gli arabi obbedendo come un uomo solo a un ordine ricevuto boicottarono i tranvai, perchè la compagnia si serve, e con predilezione, anche di personale italiano, e a tutt’oggi non un arabo, tale è l’ordinamento che in segreto s’è fatto di loro, non un arabo ha rotto il boicottaggio. E durante tutto il tempo s’è avuto qualche arabo ucciso da italiani, qualche italiano ucciso da arabi. Di tanto in tanto si sparge la voce che il tal giorno gli arabi si leveranno e faranno strage, la strage santa, degli italiani. L’ultimo giorno che doveva esser sacro al sangue, fu quello del Mouled, la Nascita del Profeta, Venerdì scorso. Il giorno passò senza sangue. Ai primi della settimana un italiano sparò contro un fanciullo arabo. Quando qualcosa di simile accade, quando un colpo di rivoltella, o un colpo di coltello fugge via di mano a un criminale, si sente un brivido correr per le vene; sembra che quella debba essere la piccola occasione dell’avvenimento terribile, secondo quanto tante volte è accaduto nella storia.

La colonia italiana, tolti i pochi assassini che qui come altrove fanno parte per se stessi, tace; ha prudenza, come dissi, [p. 24 modifica]pazienta e tace. Prima due cose faceva questa colonia piena d’amore per la patria così vicina, eppure lontana: gioiva per le vittorie della patria, come ne gioiscono gli emigranti della remota America, e come ne gioiscono i fratelli di Trento e di Trieste. Anche qui i nostri emigranti che hanno nell’anima e nella loro sorte antica qualcosa d’irredento, gioivano e si inorgoglivano sentendosi fatti più grandi nella patria che vinceva e conquistava; s’inorgoglivano quasi non sentendosi più emigranti sin dal momento in cui la patria aveva cominciato a guadagnarsi con le armi un’altra fortuna mercè la quale avrebbe potuto in avvenire non aver più figli emigranti; e ingenuamente mostravano la loro gioja, il loro orgoglio, il sentimento della condizione mutata e della nuova grandezza. Era qui come in Italia, come in ogni regione della terra dove sono italiani, l’epifania della gioja nazionale per la vittoria nazionale, la prima epifania italiana da che mondo è mondo, o da più di venti secoli, se si vuol tener conto dell’Italia romana. E un’altra cosa faceva la colonia italiana di Tunisi: stava attenta alla frontiera che non passasse contrabbando di guerra. Mai patria ebbe figli più vigilanti alla frontiera. Gli italiani di Tunisi, fuori di sè dall’amor patrio, giorno e notte persero gli occhi sulla [p. 25 modifica]frontiera che separa la Tunisia dalla Tripolitania, e giorno e notte oppressero gli uomini del governo e il loro console, perchè vigilassero e impedissero.

Non si trovò a Tunisi, come non si trovò a Parigi, nè in tutta la Francia un cuore delicato il quale comprendesse la bellezza di questo sentimento dei figliuoli d’un popolo che per la prima volta nasceva alla gioja della vittoria. E un tale sentimento invelenì i franco-tunisini e gli arabi.

Allora, quando s’accorse che di qui da Tunisi un nuovo contrattempo grave sarebbe potuto sorgere per la patria, la nostra colonia si tacque; le classi popolari obbedirono alle maggiori, queste al console il quale intendeva il volere di Roma esposta al conflitto delle potenze europee, con la guerra da condurre a termine. La colonia si tacque, represse la sua gioja, non rispose nè all’ingiurie de’ giornali francesi, nè alle ostilità degli arabi. Fra il dominatore e l’indigeno che lo tormentano, ora l’emigrante italiano soffre in silenzio. E dà esempio di coscienza nazionale, degno d’esser celebrato nella presente unione di tutta la famiglia italiana. Fa, reprimendo la sua italianità, il dover suo in questa terra straniera, come lo fanno i nostri soldati combattendo agli avamposti per aumentare l’Italia.

[p. 26 modifica]Questo è il dramma franco-arabo-italiano che da qualche mese si agisce a Tunisi. Bisogna rendere giustizia al governo della metropoli riconoscendo che esso da Parigi impone agli uomini che ha qui, d’impedire a ogni costo, con la persuasione e con la forza, la catastrofe. La civiltà d’Europa non permette una strage d’italiani in Affrica. Senza aggiungere che Parigi si rende ben conto che ridurre noi e i nostri agli estremi nè risponde ai fini della sua politica generale nel mondo, nè gioverebbe affatto all’avvenire della sua colonia affricana.

Nè dal canto nostro noi dobbiamo accagionare a Parigi tutto ciò che succede a Tunisi. Perchè Tunisi, come dissi, è l’esagerazione coloniale di Parigi.