Sopra le vie del nuovo impero/Da Trianda, sul monte Smith, lungo i bastioni

Da Trianda, sul monte Smith, lungo i bastioni.

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Da Trianda, sul monte Smith, lungo i bastioni.
Da Brindisi a Rodi Rodi dei turchi
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Da Trianda, sul monte Smith,
lungo i bastioni.


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Rodi, Giugno.

Rodi è di bello e di grande stile. Essa compone la sua bellezza col sole, col cielo, col mare, con le sue coste e con quelle d’Asia. Questi quattro elementi, il sole, il cielo, il mare, le coste: questi quattro elementi di bellezza, parte de’ quali la formano, parte la vestono di spirito e di luce, rendono l’isola paradisiaca. La pupilla che accolse il cielo d’Italia, la pupilla che accolse il cielo di Sicilia, la pupilla che accolse il cielo di Grecia, ancora si meraviglia accogliendo il cielo di Rodi il quale non è chiaro, non è limpido, non è celeste, non è turchino, ma è una chiarìa fulgida generata, diresti, dall’esultanza dell’aria e del sole nel mescolarsi, perchè qui il più puro spirito dell’aria si mescola col più vivo raggio del sole. [p. 84 modifica]

La bellezza di Rodi che gli antichi poeti chiamarono Heliousa, solare, Aethrea, aerea, Telchinis, incantatrice, Macaria, felice, è rappresentata nella leggenda delle sue origini che la faceva figlia di Helios, il sole. Ed io ricordo gli antichi poeti e la leggenda non per triviale erudizioncella, ma perchè chi si trova qui, respira vivi il racconto dell’una e gli epiteti degli altri, vivi li respira nello spirito di quest’aria e di questa luce, vivi li gode con la gioia degli occhi nel colore di questo mare, nel disegno di questa terra e di quella che sta dinanzi, l’Asia. L’isola è veramente macaria, aethrea, è veramente figlia del sole che per amore la trasse dal fondo del mare; e quando si chiama così, è perchè veramente è tale che c’infonde nell’animo quel sentimento d’amore gentile e ardente per cui l’uomo che ama, dice cara alla donna che ama. Vi sono luoghi che hanno appunto una bellezza che dà gioia, luoghi che ci sembrano felici, macarii appunto, perchè il carattere della loro bellezza è tale che si trasforma in felicità dei nostri animi; luoghi insomma che quando si vollero nominare, chi li chiamò Eden, chi Campi Elisi, chi li chiama anche oggi Paradiso Terrestre. Ebbene, Rodi è di questi: è elisia. L’aria costantemente ventilata, la luce, il mare d’un turchino che non si può [p. 85 modifica]dipingere a chi non l’ha visto, la terra sono allo stato elisio: sono di tal leggerezza e grazia e vivezza e purità e colore e forma che pare che tutto nasca da una interna gioia delle cose che si muta, come dissi, in gioia nostra.

Rodi è così sopra il suo lago. Perchè la costa dell’isola dalla baia di Trianda si protende verso l’Asia, e le coste dell’Asia, le due branchie meridionali della Doride che stringono in mezzo l’isoletta di Simi, si protendono verso l’isola avvicinandosi così che sembra vi si saldino sopra, oltre Trianda, e insieme fanno lago. Il quale è una delizia del mondo. Stamani stavo sopra l’estrema punta del Kum Burnu, o capo della Sabbia, striscia di sabbia che s’allunga nel mare e forma l’apice settentrionale dell’isola, un po’ sopra alla città. E una minuscola plaga di deserto ed era quasi il meriggio, e il sovrano di Rodi, Helios, il sole, stava a piombo sulla città e sulla mia nuda testa, ma il fresco vento marino che m’avvolgeva, rendeva piacevole quel posto. E anche se questo non fosse stato, mi rapiva quel lago di mare per la delizia delle sue linee e de’ suoi colori. Occhio umano non vide mai una conca più turchina mossa da maggiore allegrezza. Nè vide mai ramo sì schietto, sottile e leggiero, come quel ramo d’Asia che da Simi e da [p. 86 modifica]Capo Alupo della Doride sale su contornando Rodi e quasi abbracciandola per antico amore. Il monte per la vicinanza ha il colore del monte, il colore dell’argilla e della roccia, ma appare arrubinato da un interno spinto di fuoco, e sopra ha uno spirito di colore misto del turchino del mare e della chiarìa celeste, e sopra ancora, tutta quella plaga di mare, di monte e di cielo, ha lo spirito dell’oro diffuso dai raggi solari. L’occhio vide altrove lo stesso, ma non così. Più in là le montagne d’Asia sono ancora così vicine da vedersi nette attraverso l’aria pura, e già così lontane da trasfigurare nella luce raggiante tra mare e cielo. Il loro colore è divinamente medio fra quello del mare e quello del cielo. Sembra il turchino carico del mare che salga e salendo s’alleggerisca per farsi degno di toccare la leggerezza celeste del cielo. Poichè di lontano le montagne appariscono più leggiere del mare vicino. Sembra la materia che salga per i gradi del colore a diventare spirito. Questo volere umano delle cose sta dinanzi ai nostri occhi a Rodi. Finchè il ramo d’Asia sale su ancora, sempre più tenue verso Marmaritza e si perde, e il lago ritorna mare aperto.

Rodi si conosce a Trianda, sul monte Smith, lungo i bastioni.

La strada di Trianda che fa cornice alla [p. 87 modifica]città dalla parte d’occidente, ora salendo tra rocce e mare, ora discendendo e correndo piana poco sopra il livello dell’onda, non è vinta nella sua nudità naturale da nessuna di quelle di simil genere che la ricchezza e l’eleganza resero celebri in Europa. Quella nudità piace all’europeo che ha ancora qualche freschezza d’animo, perchè dà visione d’altri luoghi simili, quali dovevano essere prima che fossero sopraffatti dal gusto civile. Finché la strada giunge a Trianda sulla baia dello stesso nome, all’ombra del monte Fileremo, un folto di selve, di campi, d’orti e di giardini, tra i quali si nascondono piccole ville bianche che per certa loro aggraziata semplicità e per i pavimenti a mosaico dinanzi alle porte risvegliano i nostri ricordi classici e fanno pensare che tali piacessero agli abitatori dell’antica stirpe. L’indole della terra ha resistito al turco. Il rigoglio della vegetazione in quella bella valle tra il monte e il mare dà la prima idea della feracità dell’isola. Quando uno de’ primi giorni tornai da Trianda a Rodi, tramontava il sole. Sull’alta strada, alla mia destra, i cumuli di massi parevano precipitar dalle rocce, giù alla mia sinistra il mare sonava. Il lago spaziava vasto. L’arco della costa asiatica era diventato vasto. Il fuoco del sole stava [p. 88 modifica]su capo Alupo e su Io scoglio di Simi. Appariva ai miei occhi tutta l’immensità dell’Asia che allunga quel braccio a circondare Rodi, e il sole tramontava per me sull’immensità dell’Asia. Così mi apparve come non mai altrove la solennità di quel rito della natura, cotidiano ed eterno. In tale unione con l’Asia, in tale possibilità di congiungersi con l’Asia per il ponte del mare e del cielo, sicchè d’entrambe sia lo spettacolo naturale, sta la bellezza di Rodi, la sua grazia, la sua delizia, il suo incanto, e sta la sua grandiosità.

Un inglese, uno di quei vegeti sardanapali estetici dell’impero che cercano le alture sui cinque continenti, uno di quelli che nella nostra Firenze cercano le torri per abitazione, edificò una palazzetta sul monte che da lui prende il nome; e così sulle nomenclature dell’isola greca sovrasta questa nomenclatura anglo-sassone: monte Smith. Quando si è sul monte Smith, ci sentiamo su uno dei culmini sovrani del mondo. Di lassù si spazia dall’occidente all’oriente, dal mezzogiorno al settentrione. Si spazia su tutto ciò che sta sotto, la baia di Trianda e tutta la città che scende per la balza al mare, Neokorio, la città nuova, la città de’ Cavalieri, la città turca, la città israelita; e si spazia su tutto ciò che sta [p. 89 modifica]lontano, il lago del mare tra Kum Burnu e il capo Alupo, e il mare aperto, quello che sale verso Marmaritza e si distende ad oriente fino a Cipro e alla Fenicia; e si spazierebbe per le regioni d'Asia, se a tanto bastasse lo sguardo. Mentre il pensiero si propaga più ansioso dove l'occhio non arriva, due vele rosse passano per il mare turchino, e allora distratti dall'incanto della immensità vedete ciò che è piccolo, vedere i particolari, e nascono le cose delicate. Vedete Simi tra le branchie, e la costa che è ora di viola chiaro, e il mare turchino che ha del viola; e Neokorio che è bianco e rosso tra la molta selva, e gli orti e i giardini che digradano al mare, e i porti, il Mandraki, o delle Galere, e l'Agoras, e i bastioni de’ Cavalieri e i torrioni e i minareti e le palme e i cento e cento mulini delle ali bianche che girano, girano, girano nell'isola ardente e ventosa. Tutto si anima d'un movimento delicato. E ad un tratto balza il vostro cuore italiano, perchè la bella isola è vostra e allora dovunque vedete sventolare bandiere. Avete visto le corazzate dinanzi ai porti e vedete sventolare dovunque, giù al mare, giù per la città, su in alto per tutte le pendici da mare a mare. Qui sullo stesso monte Smith ecco una bandiera e un'altra laggiù più basso, [p. 90 modifica]e un’altra più lontana e un’altra più lontana ancora, e un’altra alle vostre spalle e un’altra ancora! Sono le linee de’ nostri soldati che campeggiano sulla città conquistata e tengono sempre le trincee e le ridotte per conservare l’animo guerresco. Qui sul monte Smith sta un battaglione del 4.° bersaglieri, e laggiù a destra sulle pendici orientali dello stesso monte, ecco la ridotta Firenze dove stanno gli artiglieri toscani del maggiore Nobili e del capitano Archivolti; donde poi si distendono andando sempre verso oriente altri due battaglioni di bersaglieri, finché toccano la ridotta San Marco del 57.° fanteria, il reggimento veneto del colonnello Vanzo, che è attendato su campi di floridi ulivi e all’ombra di giganteschi platani, presso fontane e cisterne. Dove io fui e quattro fucilieri veneti mi raccontarono della battaglia delle Due Palme e i quattro sbalzi sul terreno scoperto, le buche, la strage delle loro baionette, celebrando il loro colonnello ed il generale Ameglio. E laggiù, verso l’interno dell’isola, le ultime due bandiere che appena si vedono, sono delle compagnie di alpini del capitano Trivulzio e del maggiore Rho. I quali dopo la vittoria fanno alla maniera romana una strada, sino ad Aphandos, scavandola di balzo in balzo e di burrone in burrone nella roccia viva, e la sera tornano [p. 91 modifica]all’accampamento e si riposano sotto gigantesche querci, entro e intorno a cinte di macigni coperte di rovi e di terra, in forma di anfiteatro e con qualche apparenza d’antichi ruderi.

I bastioni de’ Cavalieri serrano ancora tutta quanta la vecchia città da oriente ad occidente, dalle alture al mare. Ieri sera soltanto ne percorsi gran parte passando per porta D’Amboyse. Che cosa siano questi bastioni che incassano la città tra il mare e le alture; che cosa sia questa triplice cintura di pietra quattro volte secolare; che cosa sia questa enorme congerie dell’opera dell’uomo, dell’opera della natura, dell’opera distruttiva del tempo, non è facile rappresentare. In certi punti è ancora viva, ancora di ieri, la presenza de’ difensori; balzano all’assalto; la stessa solitudine e il silenzio li resuscitano. In certi altri punti la distruzione è furiosa, non sai se dei nemici, o del tempo; sono frane che precipitano nel profondo de’ fossi, sbranamenti nel basso delle mura che giù nel profondo spalancano caverne e le bocche di gallerie cieche. I bastioni tagliano la città da un lato e la campagna da un altro. Camminate sull’alto spalto, e alla vostra destra sale in costa la campagna, con piccole ville e floridissime selve d’alberi fruttiferi, di pini, di palme, [p. 92 modifica]d’ali bianche di mulini giranti. Abbassate gli occhi giù alla vostra sinistra e vedete un caos di catapecchie che la parassita umanità addossò alle mura de’ bastioni, ammucchiò nei fossi. Ma da per tutto, intorno alle catapecchie, tra queste e quelle, tra il fitto delle catapecchie, da per tutto, è un fitto d’orti chiusi, di frutteti, d’alberi giganteschi che giungono con le rame sino a voi; un folto di limoni, di aranci, di fichidindia, di fichi, di gelsi, di melagrani, di banani, di terebinti, di palme, d’una opulentissima vegetazione. Volgete gli occhi per la distesa della città, e da per tutto esce il verde, fino al mare. Ciuffi di verde e palme. Palme e minareti, una fila di minareti fino al mare. Minareti e la grazia di Rodi, i mulini. I mulini di Rodi che girano in faccia ai tre continenti, l’Asia, l’Europa e l’Affrica dove avvennero tante mutazioni di cose umane, ora come quando l’uomo aveva forse soltanto questa vela di terra per macinarsi il suo grano e non aveva ancora la sua vela di mare per navigare. Tramonta il sole, e diresti che questo grandioso rito della natura e la piccola faccenda umana, la macinazione per forza di vento, siano ugualmente eterne ed immutabili.

In certi punti i fossi de’ bastioni sono profondi come baratri, e guardando in giù dalle [p. 93 modifica]feritoie metton paura; hanno pareti e fondi di rocce e sembrano letti di vasti torrenti montani aridi.

Si ripassa da un’altra porta e si guardano in su le mura e le torri. La pietra dei bastioni attraverso i secoli non s’è annerita, ha serbato il suo colore dorandosi leggermente. La vecchia città di Rodi è chiusa da questa cintura d’oro, come l’isola dal mare turchino.