Sopra alcune vittorie delle galere di Toscana
Questo testo è completo, ma ancora da rileggere. |
◄ | Pitti, albergo de' Regi | Alcune canzoni in lode del sommo pontefice papa Urbano VIII | ► |
LXVII
SOPRA ALCUNE VITTORIE DELLE GALERE DI TOSCANA
CANZONE PROEMIALE.
Firenze al cui splendore
Ogni bella cittate aspira indarno,
Inclita figlia d’Arno,
Che al Padre cingi d’ogni onore il crine,
5Non conturbare il core,
Se oggi mi prende obblío di tua memoria,
Nè fo sonar la gloria,
Sorta ben salda infra le tue ruine
Mie labbra non sian mute
10Al tuo nome; ventura
Stimo carte vergar de i pregi tuoi;
Emmi in cor la Virtute,
Onde inalzò tue mura
La magnanima man de i prischi Eroi
15Tuoi germi; ora disvia
Il suon dell’arpa mia
Euterpe, e fammi ardente
A dir ne’ salsi regni
De’ tuoi feroci legni.
20Spavento all’Orïente.
Che non si stanca in corso,
Lo scettrato figliuol di Ferdinando,
Anzi s’avanza, e quando
La campagna del mar ponsi in periglio,
25Agli afflitti nocchier porge soccorso,
E cangiando fulgor d’ampi tesori,
Con immortali allori,
Dalla bella Virtù prende consiglio,
Deh che giova sotterra
30Tracciar tante miniere,
E del volubil ôr tante far prede,
Se in arca indi si serra?
Hassi a sporre al volere,
Ed alla man di non ben noto erede?
35Deh no; l’oro è ricchezza,
Che a ragion s’apprezza,
Se il possessore onora,
E quando in opra grande
Nobile man le sponde,
40Egli via più s’indora.
Aperti, o Cosmo altero,
Son per le glorie tue varchi diversi;
Ma pure oggi miei versi
De’ tuoi famosi segni aman la scorta;
45Nè quinci il mio sentiero
Andrò radendo, l’arenosa sponda,
Che per l’onda profonda
Infaticabilmente ardir gli porta;
Eolo mai non dislega
50Spirto così sdegnoso,
Che all’ampie vele osi di fare oltraggio;
E se remo si spiega
Per entro il campo ondoso,
Lenta l’Aquila sembra in suo viaggio;
55Però la terra Argiva,
E l’Africana riva
Ne son tremanti al nome,
E scorgono dolenti
Ognora infide genti,
60O fuggitive, o dome.
Ma se tua bella armata
Peregrinando in mare alza trofei,
Tu non manco per lei
Ben ferma gitti l’áncora nel porto
65Di vita fortunata.
A biasmare il mio detto alcun non mova,
Che manifesta prova
Fa schermo alla giustizia incontra il torto;
Al mondo un cor gentile
70Per uso arde desire
Di fama illustre, e di ben gran possanza;
D’altro lo studio è vile;
Perchè di non morire
Fra’ mortali sciocchezza è la speranza;
75Ora tuo scettro appieno
È grande, tuo terreno
Bacco ama, e Tritolemo,
E per te ricco ondeggia
Il mare, e la tua reggia
80È bella in sull’estremo.
Splendere a te d’intorno
Veggiam lampi di gloria i più vivaci,
E nel regno de’ Traci
Ad ognor se ne carcano tue navi;
85Dunque in van non t’adorno;
Ma, per grazia, d’entrar mi sia concesso
Nel giocondo Permesso,
Onde il coro Febeo volge le chiavi.
D’Etiopia sul lido
Scampò con forte mano
Perseo da fiero mostro alma donzella,
60E della Grecia un grido,
Come d’uom sovrumano,
Pur anco oggidì Perseo alto favella;
Ed io dico, a’ dì nostri
Farian ben mille mostri
65Di donne empia rapina;
Ma da sì fatti scempi,
Cosmo con belli esempi
Fa schermo alla marina.
Ed è ver, che s’ei scopre
70De’ perfidi corsali al fiero sguardo
Suo guerriero stendardo,
Fa loro rimirar cento Meduse;
Oh quale a sue bell’opre
Forma alle mie vigilie dar sapranno,
75S’una volta verranno
In sull’incude dell’Aonie Muse?
Il ciel delle sue lodi,
Oltra l’uman costume,
Senza nubi a mirar sereno puro,
80Sento, che in mille modi
Chiama a se le mie piume;
Ed io saprò dedaleggiar sicuro;
Il re de’ campi eterni
Benigno ognor governi
85Cosmo, tuoi legni ed armi;
E tu giocondo in volto,
Talora a me rivolto
Non disprezzar miei carmi.
LXVIII
I
Sulla terra quaggiù l’uom peregrino,
Da diversa vaghezza
Spronato a ciascun’ora,
Fornisce travïando il suo cammino.
5Chi tesor brama, chi procaccia onori,
Chi di vaga bellezza
Fervido s’innamora;
Altri di chiuso bosco ama gli orrori,
Ed in soggiorno ombroso
10Mena i giorni pensoso.
A questa ultima schiera oggi m’attegno,
E da ciascun m’involo;
Amo gioghi selvaggi,
D’alpestri Numi abbandonato regno,
15Nè fra loro temenza unqua mi prende,
Benchè romito e solo;
Chè da’ villani oltraggi
Le mie ricchezze povertà difende,
Inni tra rime e versi
20Di puro mel cospersi.
Qui già sacrai la cetra, e non indarno,
Italia, a’ guerrier tuoi;
Or lieto a’ vostri vanti
Si rivolge il mio cor, Principi d’Arno,
25Sferza de’vizj, alle virtù conforto,
Norma d’eccelsi eroi;
Per cui gli afflitti erranti
In pelago di guai trovano porto;
Da cui certa mercede
30Proponsi a stabil fede.
Voi dal Tirreno mar lunge spingete
I predatori infidi;
E ne’ golfi sicuri
Dell’Imperio Ottoman voi gli spegnete;
35L’Egéo se ’l sa, che d’Alessandria scerse
Dianzi ululare i lidi,
Quando in ceppi sì duri
Poneste il piè delle gran turbe avverse,
E sotto giogo acerbo
40Il duce lor superbo.
Oh lui ben lasso, oh lui dolente a morte,
Che in region remote
Non più vedrassi intorno
L’alma beltà della gentil consorte!
45Ella in pensar, piena di ghiaccio il core,
Umida ambe le gote,
Alto piangeva un giorno
Il tardo ritornar del suo Signore;
E così la nudrice
50Parlava all’infelice:
Perchè t’affliggi invan? l’angoscia affrena;
A che tanti martiri?
Deh fa ch’io tra’ bei rai
La cara fronte tua miri serena;
55Distrugge i rei cristian, però non riede
Il Signor che desiri;
Ma comparte oggi mai
Tra’ suoi forti guerrier le fatte prede,
E serba a tue bellezze
60Le più scelte ricchezze.
Così dicea, nè divinava come
Egli era infra catene
Là ’ve con spessi accenti
Mandasi al ciel di Ferdinando il nome:
65O verdi poggi di Firenze egregia,
O belle aure Tirrene,
Ed o rivi lucenti,
Sì caro nume a gran ragion si pregia;
O lieti, a gran ragione
70Gli tessete corone.
Che più bramar dalla bontà superna
Tra sue grazie divine,
Salvo che giù nel mondo
Sia giustizia e pietate in chi governa?
75Io non apprezzo soggiogato impero,
Benchè d’ampio confine,
Se chi ne regge il pondo
È di tesor, non di virtute altero:
Ambizïone è rea;
80Vero valor ci bea.
LXIX
II
Allor che l’oceán, regno de’ venti,
Ama di far sue prove,
Da principio commove
Nel profondo un bollor, che appena il senti:
5Poi con onde frementi
Vien spumando sul lito,
Poi l’alte rupi rimugghiando ei bagna;
Al fine empie del ciel l’erma campagna
Di rimbombo infinito.
10Tal già mia cetra mormorò l’onore
Di straniera corona;
Ed or s’avanza e tuona
Tessendo inni di gloria al mio Signore.
Ei del mortal valore
15Trapassa ogni confine;
E se il mio dir sembra all’invidia duro,
Scoppi di fiel; con esso Febo il giuro,
Trapassa ogni confine.
Chi della pace alle stagioni amate
20Conta sue glorie altere?
D’Astrea leggi severe,
Ed all’altrui digiun spiche dorate,
Tante magion sacrate,
Ove ad ognor per Dio
25Di Dedalo novel suda l’ingegno,
E scarpelli e pennelli, onde han sostegno?
Ed onde Euterpe e Clio?
Merto ben singolar; nè solo spende
Fra’ rai di sì bell’arte,
30Ma con opre di Marte
D’intorno sè fulgida lampa accende;
Per cotal guisa ascende
In alto, ove s’ammira
Al ciel vicin su non calcate cime
35Il bel carro di lui, tanto sublime
Più d’un destriero il tira.
E certo è ver, che secondar buon duce
Bene imitando è pregio;
Ma più stimasi egregio
40Chi bene oprando ad imitar conduce.
Qui per me si riduce
All’altrui rimembranza,
Che trito calle il nostro re non corse;
Anzi a placare il mar primiero ei sorse,
45E mostrò sua possanza.
Onde usciano armi? e di qual porto vele
A schermir questi liti?
Non mai nocchieri arditi
Moveano incontro al corseggiar crudele:
50Ora somme querele
Vanno volando intorno,
E piange l’Asia e l’Africane arene,
Rivolgendo in pensier l’aspre catene,
Che minaccia Livorno.
55Che io nelle glorie tue non sia bugiardo,
Flora trïonfantrice,
Braccio di Maina il dice,
Dicelo Porto Quaglio e Longo Sardo.
A ragion, dove guardo,
60Miro in danza allegrarsi
Sovr’Arno di donzelle i bei vestigi,
E vi miro a ragion del buon Dionigi
Le tazze incoronarsi.
Ma fia scarso gioir; nulla non piace
65Senza il coro Febeo;
E perde ogni trofeo
Peregrino valor, s’Euterpe il tace.
O del Tempo rapace
Figlia torbida e fosca
70Obblivïon, non assalir miei versi;
E i nomi in Lete non voler sommersi
Della gran gente Tosca.
LXX
III
Quando il pensiero umano
Misura sua possanza
Caduca e frale, ei sbigottisce e teme;
Ma se di Dio la mano,
5Che ogni potere avanza,
Ei prende a riguardar, cresce la speme.
Ira di mar che freme
Per atroce tempesta,
Ferro orgoglioso che le squadre ancida,
10Non turba e non arresta
Vero ardimento che nel Ciel confida.
Sento quaggiù parlarsi;
Un piccioletto regno
A vasto impero perchè dar battaglia?
15Alpe non può crollarsi;
E di leon disdegno
Non è da risvegliar, perchè t’assaglia. —
Meco non vo’ che vaglia
Sì sconsigliata voce,
20Ed ella Gedeon già non commosse,
Quando scese feroce
Nell’ima valle, e ’l Madïan percosse.
Ei, gran campo raccolto
Di numerose schiere,
25Vegghiava a scampo del natío paese;
E da lunge non molto
Spiegavano bandiere
Gli stuoli pronti alle nemiche offese:
Ed ecco a dir gli prese
30Il re dell’auree stelle:
Troppa gente è con te, parte sen vada;
Crederebbe Israelle
Vittoria aver per la sua propria spada. —
Quivi il fedel campione
35Di gente coraggiosa
Sol trecento guerrier seco ritenne;
Poscia per la stagione
Dell’aria tenebrosa
Le squadre avverse ad assalir sen venne;
60Poco il furor sostenne
La nemica falange;
Ei gli sparse e disperse in un momento.
Febo, ch’esce dal Gange,
Le nebbie intorno a sè strugge più lento.
65Così gli empj sen vanno,
Se sorge il gran Tonante,
Della cui destra ogni vittoria è dono:
Il Trace è gran tiranno;
Ma sue forze cotante
70Nè di diaspro nè d’acciar non sono.
Forse indarno ragiono?
Ah no, che oggi sospira
Algier de’ legni suoi l’aspra ventura,
E Prevesa rimira
75De’ bronzi tonator nude sue mura.
Diffonde Etruria gridi,
Gridi che vanno al cielo,
Al ciel seren per nostre glorie e lieto;
Così nei cori infidi
80Spandi temenza e gelo,
Gran Ferdinando, per divin decreto:
Mal volentier m’accheto;
Nocchier, che i remi piega
In bella calma, empie di gaudio il petto;
85E cantor che dispiega
Consigli di virtù, prende diletto.
Popolo sciocco e cieco,
Che militar trofei
Speri da turba in guerreggiar maestra,
90Quali squadre ebbe seco
Sanson tra’ Filistei,
Quando innalzò la formidabil destra?
Ei da spelonca alpestra
S’espose in larga piaggia
95A spade, ad aste di suo strazio vaghe,
Quasi fera selvaggia
Data in teatro a popolari piaghe.
Ma sparsi in pezzi i nodi,
Onde si trasse avvinto,
100D’acerba guerra suscitò tempesta;
Per sì miseri modi
All’esercito vinto
La forza di sua man fe’ manifesta:
E sull’ora funesta
105Per lui non s’armò gente,
Nè di faretra egli avventò quadrella;
Ma vibrò solamente
D’un estinto asinel frale mascella.
Al fin chi lo soccorse
110Dentro Gaza, là dove
Le gravissime porte egli divelse,
E rapido sen’ corse,
(Incredibili prove!)
E le portò sulle montagne eccelse?
115Dio fu, Dio, che lo scelse,
E di fulgidi rai
Si chiaro il fece ed illustrollo allora:
Nè perirà giammai
Chi s’arma, e del gran Dio le leggi adora.
LXXI
VI
La ghirlanda fiorita,
Ch’io tesso in riva di Castalia ombrosa,
Ti giungerà gradita,
Rodi diletta al Sol, Rodi famosa:
5Chè la splendida gloria,
Di cui tu miri adorno
Oggi il nome Toscano,
Ti promette vittoria;
Onde si spezzi un giorno
10L’aspro giogo Ottomano.
O lieta oltre misura,
E del Signor chiarissima virtute,
Che ciascun di procura
Al periglio de’ suoi scampo e salute.
15Turbo di Lete inferno
Dunque non fia che opprima
Del nostro Re la fama:
Sì con desire eterno
Di sì gran merto in cima
20Ei stabilirsi brama;
Oggi nell’onde Argive
Fu forte a soggiogar tanti guerrieri,
Tante altronde cattive
Già menò turbe de’ ladroni arcieri
25Scorti non fur mai tardi
Sulle spalmate prore
Suoi duci a grande assalto,
E suoi grandi stendardi
Spandono tal terrore,
30Che fanno i cor di smalto.
Stefano santo, a cui
Consecrate già far, sì le difende,
Che alla possanza altrui
Fansi ad ognor le belle vele orrende;
35Ne pur sul mare in guerra,
Arno, d’ingiusti Regi
Ei fa l’ingiurie vane,
Anzi dà palme in terra,
Onde t’innalzi e pregi;
40E lo san dir le Chiane.
Quivi tronchi e mal vivi
Lasciaro i tanto fier l’egra speranza;
Quivi trionfi, quivi
A’ tuoi scettri si crebbe alta possanza.
45Però frondi gentili,
Onde l’Arabia è verde,
Ornino i sacri altari;
Il Ciel guarda gli umili,
E gli alteri disperde:
50In Sennaär s’impari.
Oda ciascun: Parnaso
Per alta verità fassi giocondo;
Poichè l’orribil caso
Vider le genti, e fu sommerso il mondo,
55Lasciato ogni alto monte
Elle dell’ampio Eufrate
Posaro in sulla riva;
E con terribil fronte
E con voci spietate
Nembrotte il ciel feriva.
Ecco all’uman diletto
Esposto, egli diceva, almo terreno;
Qui per nostro ricetto
Torre innalziamo infino al ciel sereno;
Chè se mai più rinversa
La destra onnipotente
Pioggia di nembi oscuri,
E vorrà mai sommersa
Tutta la mortal gente,
Quinci sarem sicuri.
Ma di qual meraviglia
Ingombrerassi ogni futura prole,
Faticando le ciglia
In rimirar non comparabil mole?
O di Noè gran seme,
Ammirabile farsi
E lodato desio;
E dee la nostra speme
Pur solo in noi fondarst.
L’uomo a sè stesso è Dio. —
Ei favellava ancora,
Che sorsero gli spirti al Ciel nemici,
Ed ergeano ad ognora
Gli eccelsi abbominevoli edifici;
Quando il Rettor superno
Dall’alto a guardar prese
Sovra il lavor degli empi;
E ne fe’ tal governo,
Che le superbe imprese
Fur di sciocchezza esempi.
LXXII
V
Sen riede a noi dalle remote sponde
Della Fenicia Argiva,
E di dove Neréo rinfrange l’onde
Pur di Lajazzo all’arenosa riva,
5Del nostro re la bella armata, e riede
Carca d’alme perverse
In ogni tempo avverse
Allo splendor della Cristiana Fede;
E reca bronzi, che temprar fa Marte
10In più mortal fucina,
Quando di membra lacerate e sparte
Ingombrar le campagne egli destina.
Nè molto andrà che de’ metalli stessi
Un fulminar feroce
15Udranno in Asia, di spavento oppressi,
Ed in Libia ogni porto ed ogni foce;
Ma se brama il convito i vin spumanti,
Dolcezza alma di cori,
E se i guerrier sudori
20Su Pindarica cetra amano i canti;
Flora gentile, Arno reale, il plettro
Oggi in man vi recate,
E di quell’arpa non men sparsa d’elettro,
Di che si ricchi e si superbi andate.
25Che direm not? l’umane cose in terra
Il caso le governa?
Bestemmia: i cieli, e ciò che in lor si serra,
Regge il saper della Possanza eterna;
Quinci apparvero qui spiriti accesi
30Verso i buon Citaristi,
Onde i miglior fur visti
Farsi il Parnaso lor questi paesi.
A ragione in Val d’Arno e paschi e nidi
Godono i Cigni egregi,
35Poichè han da sollevar musici gridi,
Lodando i Duci, e di Firenze i Regi.
Non conterò la cantatrice schiera,
Nè pur dironne il nome;
Chè pria l’arene, e pria per primavera
40Potrei d’un bosco numerar le chiome:
Ben afferm’io che sì gentil famiglia
È de’ regni ornamento;
E che al Febeo concento
L’Aquila su nel ciel china le ciglia;
45E sì dal sonno vinta abbassa l’ali,
Che pur quegli abbandona,
Onde è ministra, fulmini immortali,
Perchè Giove quaggiù spesso non tuona.
Che più? le Parche, ove la bella Clio
50Tempra l’Aonia cetra,
I puri velli han di filar desío,
E lungo stame nostra vita impetra;
E Lete al suono dell’amabil arco
Tranquilla i gorghi suoi,
55Tal ch’indi i sommi eroi
Ne’ golfi dell’obblío trovano il varco,
Almo tragitto! e fan soggiorno al fine,
Scorti dalla virtute,
Infra le stelle d’or, magion divine,
60Ove trombe per lor mai non son mute.
O quaggiù fra’ mortali alma diletta,
Pregio de’ tuoi sublime,
Gran Ferdinando, colassù t’aspetta
Seggio ben scelto infra le sedie prime.
65In tanto vivi lungamente, e godi;
Tu di virtute altero,
Tu singolar d’Impero
Italia non avrai scarsa di lodi.
Io certamente, o re, via più che d’oro,
70Bramoso di tua gloria,
Nudrirò di Parnaso un verde alloro,
Per sempre coronar la tua memoria.
LXXIII
VI
Se gir per l’aria voti
Non dovesser miei preghi, io certamente
Con calde voci al Ciel vorrei voltarmi,
Perchè il gran Buonarroti
Lasciasse l’ombre, e tra la viva gente
Oggi tornasse ad illustrare i marmi;
E con varj colori
Empiesse di stupor le ciglia e i cori.
85Ei mortal d’immortali
Tante corone il nome suo fe’ degno,
Che d’onor vola per le vie supreme;
E l’ammirabil’ali
Cosi spiegò del singolare ingegno,
90Che d’appressarsi a lui spense ogni speme;
Lucida stella d’Arno,
Cui nube attorno si rivolge indarno.
Qual uman pregio altero
Di foltissima nebbia non coperse
95Del Vatican nell’ammirabil Tempio,
Ove il saggio pensiero
Immaginando a tanto colmo egli erse,
Che d’invitto saper lascionne esempio?
Con si fatti artifici
100Figurava i supremi alti giudíci.
Tra folgeri, tra lampi
Gonfiasi eterea tromba, e sorgon pronte
Al primo suon le ravvivate membra;
E negli aerei campi,
105Almo a veder! con ineffabil fronte
L’Onnipotente giudicarle sembra;
Ed a’ seggi superni
Altri n’assegna, altri agli abissi inferni.
Chi gli occhi ivi tien fisi,
110Scorge i fianchi anelar, batter i polsi:
Cotanto può l’inimitabil destra;
E dai dipinti visi
In altrui spira, onde s’allegra e duolsi:
Si dell’anima altrui fassi maestra;
115Non pennel, non pittura;
Dono del Ciel, per avanzar natura.
S’ei giù dagli antri foschi
Risorgesse del Sole ai raggi lieti,
E sentisse il tenor di tante glorie,
120Certo, o gran re de’ Toschi,
Farebbe sfavillare ampie pareti,
Dipingendo il fulgor di tue vittorie;
E così nobil palme
D’ogni intorno a mirar trarrebbe l’alme.
125Io che farò, che a torto
Cigno mi chiamo, e de’ cantori egregi
Sul Parnaso la via quasi ho smarrita?
Sol posso aver conforto,
Che in celebrarli, i vostri alteri pregi
130All’intelletto altrui pongono aita;
Quasi velate antenne,
Che a nave non son peso, anzi son penne.
Cor mio, non veniam meno;
Fatti franco per via: lento cursore
135Passo passo trapassa Alpe selvosa;
Ma che Anfitrite in seno
Raccolga armata di più fier valore,
O più lieve in solcare onda spumosa,
Che ove legno Toscano
140Ara i gran stagni, è l’affermarlo invano: .
Bei golfi Tarentini,
Capo Colonne, e voi montagne Etnée,
Che udite di Cariddi i fier latrati,
Quali spalmati pini
145Sen giro mai per le campagne Egée
Le brame ad appagar d’aspri pirati,
Come dianzi sen giro
I remi rei che di Biserta usciro?
Guardò reale stuolo,
150Dell’Iberia sul mar somma possanza,
La costor fuga a solo scampo intesa;
Ne persegui lor volo.
Perchè di ben finir senza speranza
Sembra sciocchezza cominciare impresa;
155Non posaro pertanto
I legni armati del Signor ch’io canto.
Nuvolo orrido e scuro,
Che a’ fieri soffj d’Aquilon sen vada,
O trascorso di stella in ciel ben chiaro,
160A rimirarsi furo
Sul largo pian della Nettunia strada;
In un momento i predator domaro,
Ma vergogna sommerse
Ogni fanal che la Vittoria scerse.
165Deh dove corro? obblío
L’uso del mondo? Ei dall’invidia oppresso,
Altri esaltarsi volentier non ode;
Febo, ma che poss’io,
Se tu mi mandi dal gentil Permesso,
170Perchè di Ferdinando alzi la lode;
E s’ei con man cortese
D’un’amorosa fiamma il cor m’accese?
Oh chi tra’ monti ombrosi
Colà m’asside, celebrata sponda,
175Ove Fiesole bella il pian rimira?
Ove son prati erbosi,
Ove trascorre limpidissima onda,
Ove d’ogni stagion Zefiro spira,
Ed ove oscuro velo
180Nube non stende ad oltraggiarne il cielo.
Quivi in speco remoto
Dall’altrui ciglia in solitario chiostro,
Atropo e Cloto, oh mi filate gli anni;
Ed io con cor divoto
185Farò belle ghirlande al Signor nostro.
A che tante vaghezze e tanti affanni?
Virtute al ciel ne mena,
Tesor quaggiuso n’accompagna appena.
LXXIV
VII
Per la trascorsa etade,
Arno, tuoi figli illustri il crine adorni
85Tra vaghi rami d’immortali allori,
In sul depor le spade,
Trionfando al piacer sacraro i giorni,
In cui vestendo acciar fur vincitori,
E nell’altrui memoria
90Ben fondaro i trofei della lor gloria.
Quinci, non men che il vento,
Corre drappel di barbari destrieri,
Empiendo di stupore il popol folto;
Lodato accorgimento;
95Che tuffare in obblío suoi fatti alteri
Apparisce pensier di core stolto:
E tra’ grandi è concesso
Onorar la virtute anco in sè stesse.
Con qual dunque corona,
100Bella Flora, nel sen delle tue mura
Farassi onore eterno al dì presente,
In cui l’orribil Bona
Dentro nembo di pianto il ciglio oscura
Per gli aspri assalti di tua nobil gente?
105Certo in Dedalei marmi
Déi le prove scolpir di sì belle armi.
E se feroce in guerra
Cosmo ara il mare, ed orgogliosi liti
Fa tremar di suo nome in strani modi;
110E noi lunge da terra
Varchiamo, Euterpe, e trascorriamo arditi
Il profondo oceán delle sue lodi:
Ma non verso l’aurora,
Sol verso Libia oggi volgiam la prora.
115Deh sarpa, e lascia il porto;
Né ti punga pensier che si prepari
L’arida Invidia a suscitar tempesta.
Hanno gli eroi conforto,
Se imperversando, a renderli più chiari,
120L’acerbissimo mostro il calle infesta;
Virtù non combattuta
Trova la Fama o taciturna o muta.
Già Greco stuolo invitto
Trascorse d’oceán lunghi vïaggi,
125Di che il mondo ascoltando anco s’ammira,
E per l’alto tragitto,
Nel più sublime ciel tra’ vaghi raggi,
La celebrata nave oggi si mira;
E ben lunge da Lete
130Se ne vola Giason tra l’aure liete.
Ei prese a scherno l’onde,
Soverchiò l’invincibili percosse
Di quei mai sempre formidabil scogli;
Corse barbare sponde,
135Ed in risco mortal nulla si mosse
Di straniero tiranno a’ crudi orgogli;
E spense in gran Teatro
Forti guerrier per incantato aratro.
È ver; ma per tal via
140Chi trasse l’orme dell’Achéo guerriero?
La cagion dell’oprar corona l’opra.
Se ’l vero non s’obblía,
Del tesor sì famoso il vello altero
Ad ogn’altro desire andò di sopra;
145E ricchezza, possente
Sul cor del vulgo, gl’ingombrò la mente.
Il Signor de’ miei versi
All’onorate vele aura non spande,
Male adescato da vaghezze avare;
150Ma stima ben dispersi
I tributi raccolti, ond’egli è grande,
A far sicure l’ampie vie del mare;
E perchè allegri il seno
Varchino i nocchier nostri il gran Tirreno.
155Quinci ei gonfia la tromba,
Onde a Nettun nel grembo ogni orgoglioso,
Palpitando d’orror, cangia sembiante;
E con bronzi rimbomba,
Tal che scuote le sponde al mar spumoso
160Dalle foci d’Oronte al vasto Atlante;
Ed ivi empionsi i Tempi,
Schermo pregando a’ paventati scempi.
Ma fia che d’Elle il varco
Un dì s’allarghi all’animoso volo
165Delle navi a ragion tanto temute:
E già d’angoscia carco
Il popolo di Bona innalza il duolo,
Ne sa, lasso, tener le labbra mute;
E fa stridendo auguri
170Dell’aspettato mal su i dì futuri.
Sferzisi il carro aurato
Dell’acceso Flegonte, e di Piróo
Al desiato dì giungansi l’ali;
Che io tra’ bei lauri ornato
175Ardo di saettar sul lito Eóo
D’Apollinea faretra inni immortali;
E far per piaga eterna
Fremere Invidia nella valle inferna.
LXXV
VIII
Fia che altri forse
Vada cantando
Per entro il suo pensiero
L’età che corse
5Nel mondo, quando
Saturno ebbe l’impero.
Allor non d’oro inghirlandato i crini
Alcun regnante apparse;
Nè cupido cosparse
10Sul riverito scettro Indi rubini;
Nè depredaro
Strane pendici
Le mansuete genti;
Ma si stimaro
15Ricchi e felici
Pur con greggie ed armenti.
Allor donzella
Per ôr superba
Non impiagava un core;
20Ma pastorella
Scalza infra l’erba
Tendea l’arco d’amore;
Nè di Parnaso il popolo, ingegnoso
Fabbricator di carmi,
25Cantò gli assalti e l’armi
Del fiero Marte a verginelle odioso;
Anzi tra’ venti
Su verde riva,
Là ’ve l’onda scendea,
30Disse i tormenti,
Di che gioiva
Titiro e Galatea.
Sì fatta etade
Altrui diletti.
35Vario è l’umano ingegno:
Cantar beltade
Fra rozzi tetti
Me moverebbe a sdegno:
Me palme a celebrar di Duci invitti
40Nobil vaghezza accende;
E a gir dove risplende
Di marmi e d’ôr l’incomparabil Pitti;
Altera sede,
Ove è ben noto
45Cosmo in armi possente;
Caro alla Fede,
D’Astrea divoto,
E pur sempre clemente.
Rettor superno,
50Cui trema il mondo,
Cui l’alto Olimpo adora,
Col guardo eterno
Rendi giocondo
Via più suo scettro ognora:
55Ne sol fassi per me calda preghiera
A tua bontà divina;
Nè solo a te s’inchina
Perciò d’Arno real l’ampia riviera:
Ma quanto inonda
60Tra spume avvolta
L’Italïana Teti,
Ed ogni sponda,
Ove s’ascolta
Di Dio gli alti decreti.
65Alma cortese
Ver chi le giova
Larga esser suol d’onore;
Ma qual s’intese
Nel mondo prova
70D’altrui giovar maggiore
Che spalmar selve, e stancar schiere armate,
E dispensar tesori,
Togliendo a’ rei furori
Le braccia de’ cristiani incatenate?
75Certo fra’ mali,
Che altrui gioire
Han di guastar virtute,
Gli egri mortali
Non san soffrire
80Peggio che servitute.
Ed io pur vidi
Freschi Aquiloni
Gonfiar vele Tirrene;
E forti e fidi
85Toschi Campioni
Scior barbare catene;
Onde dell’Asia e della Libia i mari
Lascian popoli folti,
E tornano disciolti
90Ad adorar presso i paterni altari.
Algier l’afferma,
Biscari insieme,
Che n’han bassa la fronte;
Ne men Chierma
95Col mar che freme
D’intorno a Negroponte.
Ad ampia gloria
Ben lungo canto
Melpomene apparecchia;
100Breve memoria
Di lungo vanto
Chiede ben dotta orecchia.
Or dove dunque volgeremo i passi?
Là ’ve prudenza chiama.
105Piume rinforza, o Fama,
A’ tuoi gran piè di camminar non lassi,
Ed al gran tergo:
Poi tra le sfere
Va de’ superni chiostri,
110Ove hanno albergo
L’anime altere
De’ gran Medici nostri.
Forma tai note
Tra gli almi eroi,
115Già tanto illustri in terra;
Di’ che il nipote
Nei sentier suoi
Dall’orme lor non erra;
Che i raggi, onde rifulge alto Loreno,
120Intentamente ei mira,
E che il guardo non gira
Dai lampi, onde rifulge Austria non meno:
Mai sempre avverso
Alle bevande,
125Con che Circe avvelena;
E sordo inverso
Al suon che spande
Qual più scaltra Sirena.
LXXVI
IX
Secondimi bel vento,
Or che a’ lidi lontani
Tra’ golfi Caramani
L’ardita prora io giro.
5È ver l’alto lamento
Su l’estrane contrade?
E le Toscane spade
Alto colà feriro?
Memorabile ardir! non sbigottiro
10Dell’Ottomano Impero,
Ove correr dovean tanto sentiero?
Ma per ogni tragitto
Tra’ più fieri disdegni
Potran sì nobil legni
15Schernire ogni periglio,
Posciachè, Cosmo invitto,
Lor disleghi le sarte,
E nei campi di Marte
Sen van col tuo consiglio;
20Tu da buon segno non rivolgi il ciglio,
Nè tenti impresa, dove
Contra indegni ladron non sian tue prove.
Per qual Egéo profondo
Dunque non fian securi,
25Se tu con lor procuri
Sol del gran Dio l’onore?
Dio pose in stato il mondo,
Ei la terra corregge;
Ed egli anco dà legge
30Del mare al fier furore:
Noto è per sè; pure allegriamo il core
Con alta rimembranza,
Certo argomento d’immortal possanza.
Chi potrà non stupire,
35Sul pelago Eritreo
Allor che ’l vulgo Ebreo
Mirabil varco aperse?
Seppe, strano ad udire!
Seppe il fondo asciugarsi,
40E pur quasi arginarsi
Per Israel sofferse;
Ma l’empie torme a lui seguir converse
Nell’onda appena entraro,
Che tutte disperando il piè fermaro.
45Ove troppo orgoglioso
Ebbe l’Egitto in grembo,
Fiero ed orrido nembo
Quell’oceán trascorse;
Rimbombante spumoso
50Tra’ gorghi intenebrati
Di Menfi i duci armati,
E Faraone assorse.
Qual tuono allor d’alte querele sorse?
Altri grida, altri geme;
55Al fin tutti sommerge il mar che freme
Sull’Arabiche arene
Lieto Israel sel mira,
E l’opra eccelsa ammira,
Ed a cantarne prende.
60Così tra’ rischi e pene
E tra’ villani oltraggi
Fa lieto aspri vïaggi
Chi Dio scôrge e difende.
Saettator d’inferno arco non tende,
65Che a piagar sia possente,
Se la forza del Ciel non gliel consente.
Quinci in lieta ventura
Vêr li campi marini
Fur del gran Cosmo i pini
70Alle Cilicie foci;
E d’Agriman le mura
Posero in ampio ardore,
Ed alte poppe e prore
Soggiogaro a lor voci;
75All’apparir delle parpuree Croci
Gittaro a terra i brandi
Le colà più stimate anime grandi.
Certo per l’Orïente
Durerà fresco il pianto;
80Nè di sì nobil vanto
Trïonferà l’obblio:
L’esterrefatta gente,
Che in Agriman fa nido,
Alza funereo grido
85Sul duolo acerbo e rio;
Ed a’ suoi parla: Omai s’altri ha desio
Salvarsi il patrio tetto,
Di vile sonno non ingombri il petto.
Con navi sì spalmate
90Eolo che avverso spiri,
O Nettun che s’adiri,
In van per noi contrasta;
E d’ampie torri armate
È vana ogni difesa
95Là dove fa contesa
Spada Toscana ed asta.
Ob quale a noi di pianto, oh qual sovrasta
Nembo d’aspre querele
Sposti al furor dell’invincibil vele!
100Fallace uman conforto,
Fallace; ahi lassi, quando
Cadde il gran Ferdinando1,
Liete fur nostre ciglia;
Ed ecco oggi è risorto,
105Di cui vera virtute
Sul fior di gioventate
A più temer consiglia.
Arno a’ secoli nostri arma famiglia,
Per cui dall’Asia un volo
110Prende letizia, e l’abbandona in duolo.
LXXVII
X
Certo è che al nascer mio, non come ignoto
Le Muse mi lattaro,
Perchè al nome di lor fossi devoto;
Onde, benchè vêr me l’oro mirassi
5Di se medesmo avaro,
Non mai lungi da lor mossi i miei passi:
Così tra selve, e sopra aerei sassi,
E per solinghi liti
A’ mormorii correnti
10Di silvestri torrenti
Trassi i miei dì romiti;
E discendendo dalle cime alpine
Cercai le più riposte onde marine.
Spesso m’apparve Euterpe, e dolcemente
15Sostenne i pensier miei
Contra i dispregi della volgar gente;
E sorridendo m’affermò che aita
Pur finalmente avrei
Nei duri incontri della mortal vita.
20Sciocchezza estrema, colà dove invita
Sovrammortal possanza
A ben sperare un core,
S’egli perde vigore,
Ne sa nudrir speranza.
25Io raccolsi quei detti, e prestai fede,
E di felicità son fatto erede.
Cosmo rivolse in me sua man cortese,
Ed alzando mio stato,
Meraviglioso a’ popoli mi rese.
30Però consagro a’ pregi suoi mia lira;
Chè verso un core ingrato
Ogni bell’alma e tutto il ciel s’adira.
Dunque, vergine Clio, lieta rimira
De’ miei cotanti prieghi
35A’ cupidi fervori;
E de’ tuoi gran tesori
Gemma non mi si nieghi:
Scegli la più gentil che abbia Elicona,
Onde io cresca fulgor di sua corona.
40Che se quaggiuso in terra animi amici
Empionsi di diletti,
Ascoltando de’ suoi guerre felici,
Lunghissimo gioir non verrà meno
Degl’Italici al petto,
45Se io tesso istoria di valor Tirreno.
Ecco del nostro mar nell’ampio seno
Cascò d’obbrobrj carca
Aspra turba Ottomana;
E per l’onda Africana
50Pure mirò Tabarca
Stringersi in ceppi musulmani arcieri
Sotto il fischiar di fiorentin nocchieri.
Ninfe marine a Capo Bono udiro
Di falangi perverse,
55Piangendo libertà, lungo martiro:
E nel golfo dell’Idra acerbo scorno
Altra turba sofferse,
E venne afflitta a rallegrar Livorno.
Cose, onde il grido che risuona intorno,
60E per saggi s’apprezza
Meco stesso rammento:
Non ha stabilimento
La mortale grandezza,
E nel mondo quaggiù regna vicenda:
65Convien che altri sormonti, altri discenda.
Cartago era di Libia alta reina,
Poscia rasa le chiome
Serva si fe’ della virtù Latina;
Ed or d’orror miseramente involta
70Solo serba suo nome
Per l’immense ruine ove è sepolta.
L’ordine con Livorno oggi si volta;
Nella stagione antica
Fu piaggia paludosa,
75Dimora travagliosa
Di vil gente mendica,
Ch’estate e verno sosteneva affanni,
Tessendo a’ pesci con la rete inganni:
Ora ampie strade ed indorati tempj,
80Ed afforzate mura,
Ed alte torri, oltra gli umani esempi,
E contra i varchi altrui fosse profonde;
E con Dedalea cura
Immobil mole al tempestar dell’onde.
85Ad onta d’ottoman, da quali sponde
Non s’adducono palme
Per ornar questi porti?
Oh come in viso smorti
Percotonsi le palme
90Del superbo tiranno i servi avari,
In mirar tanto minacciati i mari!
Ed ecco da lontan carco di doglie,
Di Tripoli sul lido
Oggi il ricco Bassà pianger sue spoglie,
95E dir contra Macon bestemmie orrende,
Perchè il popol suo fido
Da’ toscani guerrier non si difende.
Donna del Ciel, cui notte e giorno splende
Di Montenero in cima
100Altar fra’ voti immensi,
A te spargansi incensi;
Che la tua man sublima
Di Cosmo il nome, e tra’ marin perigli
Tu governi, o Beata, i suoi consigli.
LXXVIII
XI
Per me giaceasi appesa
La cetra, onde si gloria
La nobile armonia del gran Tebano:
Ma sul mare alta impresa,
5E novella vittoria
Fa che ben pronto a lei stenda la mano,
E varie corde a risvegliar mi tira,
Soavi lingue dell’Aonia lira.
Begli orti, aurati tetti
10(Ben chiaro oggi si vede)
Non quetano, re d’Arno, i tuoi desiri;
Ma fin de’ tuoi diletti
È d’onor farsi erede,
A cui l’altrui vaghezza indarno aspiri;
15E così di virtù correre i campi,
Che orma a te da vicino altri non stampi.
Ecco all’Egéo d’intorno
Spandono monti e lidi
Gioconde voci ad ascoltar non use.
20Dobbiam dunque in tal giorno
Al suon di tanti gridi
Non rinchiuder le labbra, inclite Muse,
Ma tender archi, e far volare, o Dive,
Per l’Italico ciel saette Argive.
25Correan cerulee strade
D’Ottoman stuoli armati,
Per ira a rimirarsi orridi in faccia,
E con ritorte spade,
Le terga faretrati,
30Già faceano all’Italia aspra minaccia,
Condennando, ebbri di fallace speme,
I nocchier nostri alle miserie estreme.
Udían nostre querele,
E di nostro cordoglio
35Faceano immaginando il cor contento.
Ma popolo crudele
Non sa, che umano orgoglio
Suole aver da vicino il pentimento;
E che nell’alto dal monarca eterno
40I superbi pensier prendonsi a schierno.
Rideano, ed improvviso
Ecco prore Tirrene
Ai venti care e non men care all’onde:
Quinci, sbandito il riso,
45Trasser dure catene
Quegli empj, di Livorno in sulle sponde;
E crebber lagrimando alteri pregi
D’Arno vittorïoso ai Duci egregi.
D’augelli infra le piume,
50Quale è d’aquila il morso,
O qual de’ pesci entro i salati regni
Delfino ha per costume
Far strazio: tale in corso
Del magnanimo Cosmo or sono i legni;
55O qual d’orrida tigre ed unghia e denti
Fra la viltate de’ vellosi armenti.
Di piaghe alcun non dica;
Che bella rimembranza
D’un trofeo raddolcisce anco la morte;
60Ed è parola antica,
Che col sangue s’avanza
Chi nell’armi desía nome di forte;
E sa ciascun, che i cavalier sublimi
Son tra gli assalti a trovar morte i primi.
LXXIX
XII
Se allor che fan ritorno
Co’ Traci incatenati
Le belle di Firenze armate prore,
Dovesse alzar Livorno
5Tronchi di spoglie ornati
Per vero testimon d’alto valore,
Già foran di trofei carchi suoi lidi;
Ch’estate mai non riede
Senza mirare afflitti i mari infidi
10Da celebrarsi prede.
Dianzi udiro le sponde
Di Corsica guerriera
Cavi bronzi avventar fulmini e lampi
E rosseggiaro l’onde
15Per battaglia aspra e fiera,
E furo di Nettun funesti i campi.
I Gianizzeri fier sul gran momento
Arser d’alta virtute,
Che non si combattea lana ed armento,
20Ma la lor servitute.
Qual crudi orsi vellosi
Vibrano l’unghia e ’l dente,
E contra il cacciator cercan difesa,
Tale i tanto famosi
25Campion dell’Oriente
Nel periglio sovran fecer contesa
Ma nulla fu; poichè feroci esempi
Lasciaro infra’ nemici,
Caddero al fin: gli scellerati e gli empi
30Son mai sempre infelici.
Allor gl’incliti legni
Volgean le vele ardite
Il gran Livorno a rallegrar non tardi
E negli umidi regni
35Le figlie d’Anfitrite
Verso loro tenean cupidi i guardi.
Cosparso di coralli, alteri fregi,
Suonava il buon Tritone,
Ma Proteo alzava canti, e crescea pregi
40Di Cosmo alle corone.
Dicea Forza Ottomana,
Per cui giacquer disperse,
Strano a pensar! tante province altere
La discordia cristiana
45Fu che il varco t’aperse
A cotanto splendor, non tuo potere;
Discordia, mostro fier del tetro inferno,
Che foco orribil spira;
Ministra rea del correttor superno,
50Allor ch’egli s’adira.
Ma se giammai sapranno
Pigliar nobil consiglio
I Re d’Europa, ove il gran Dio s’adora,
Maomettan Tiranno,
55Vedransi in gran periglio
I ricchi regni, onde esce fuor l’Aurora:
Che non faranno allor cotanti stuoli,
Carchi di tante glorie,
Se oggi di Cosmo gli stendardi soli
60Han cotante vittorie?
Mentre ei lieto dicea,
Apparve i crespi crini
Di bianche perle inghirlandata Dori;
E l’alma Galatea
65Su’ frenati Delfini
Movea pensosa de’ passati amori;
E prese immantenente a’ cari modi2
Dell’armonie soavi,
S’inviaro a Livorno, e davan lodi
70All’onorate navi.
LXXX
XIII
Cosmo, sì lungo stuol lieto in sembianza,
Che a’ tuoi piedi s’atterra oggi dal seno,
Perchè franco lo fai, letizia spande.
Ei dee ben conservar la rimembranza
5Di questo giorno, e tu di lui non meno,
Che quante volte in terra anima grande
Felicità comparte,
D’assimigliarsi a Dio ritrova l’arte.
Sforza dunque, o mio re, l’alto pensiero,
10Onde gli scettri tuoi splendono chiari:
So che di torri e che di mura eccelse
E forte quel che tu governi impero;
O guardi l’Alpi, o pur difenda i mari:
So che suoi pidi in lui Cerere scelse,
15E che le genti industri
Son di Minerva nelle scuole illustri.
Ma contrastati se ne van repente
Tai pregj al vento: ecco la terra Argiva
Langue tra’ ceppi, e di catene è carca;
20E dell’aspro Quirin l’inclita gente,
Quando di palme eterne alma fioriva,
Calpestando superba ogni monarca,
Trionfo tanto e vinse,
Perchè la spada infaticabil cinse.
25Dannata vista, e di mirarsi indegna,
Gioventù, che di gemme orni le dita,
Che increspi il crine, e che di nardo odori!
Ell’hassi da mirar sotto l’insegna,
Che scuotendo cimier minacci ardita.
30Che dallo sguardo fier versi furori,
E che d’onor ben vaga
Esponga il petto a memorabil piaga.
Di così fatto onor saggio s’accorse
Giovanni3 il franco, che del Mincio all’onde
35Lasciò col suo morir l’Italia mesta;
Poi per quell’orme ognun de’ suoi sen corse:
E Cosmo di Livorno in sulle sponde
Oggi l’Etruria a suon d’acciar tien desta,
E con purpuree croci
40Manda in battaglia i Cavalier feroci.
Or chi di verde allor non cerca rami
A far ghirlande? e chi d’Aonii canti
Agli spirti guerrier non dà tributo?
Chi può l’armi tacer d’un Inghirami?
45O la fervida man d’un Sozzifanti?
O l’intrepido cor d’un Montacuto?
O biondo Apollo, o Dive,
Di ciascun taccia chi di lor non scrive.
Certo nel petto mio sembra, che avvampi
50Ardor di Febo: o Calabrese arena,
Che a te non corra, io me frenar non basto:
E non men dell’Egeo trascorro i campi,
Ove le turche braccia aspra catena
Costrinse al fin dopo mortal contrasto;
55E sol miro dolente
Schiatti, che bronzo fea tonare ardente.
Potrei de’ fregj, onde Parnaso adorna
L’altrui virtude, oggi abbellir miei versi.
Bacco in mente mi vien sul lido Eoo;
60E so, che svelte rimirò sue corna
Dopo lung’arte negli assalti avversi
Sotto l’Erculea man vinto Acheloo;
E che campagne arate
Dieder non spiche, ma falangi armate4.
65Rammento l’Idra, e i fieri incontri e crudi,
Se mai la turba delle teste orrende
Il germe fier d’Anfitrïone assalta:
Questi son delle Muse egregj studi
Chè ogni vigilia a gran ragion si spende,
70Allor che merto di valor s’esalta;
Ma quando alto ei lampeggia,
Par che ornamento fuor di sè non chieggia.
Note
- ↑ Ferdinando I, padre di Cosmo II, morì nel 1608.
- ↑ Prese a’ cari modi. Elegante locuzione, e vuol dire: rapite all’udire i cari modi.
- ↑ Allude a Giovanni Medici, generale italiano, celebre per la sua intrepidezza nel principio del secolo XVI. Discendeva da Lorenzo il vecchio, fratello di Cosimo, padre della patria. Fu padre di Cosimo, il quale, mancato il ramo primogenito de’ Medici, fu primo granduca di Toscana. Questo Generale prestò i suoi servigi ai papi Leone X e Clemente VII suoi parenti; alla Repubblica Fiorentina contro il Duca d’Urbino: nella guerra tra i Francesi e gl’Imperiali in Lombardia, or sotto gli uni, or sotto gli altri, ma sempre tenendo le parti del Pontefice. Morì presso Mantova d’un colpo di falconetto, inseguendo il capitano Fronsperg, quello stesso che poi saccheggiò Roma. suoi soldati gli erano così affezionati, che tutti vestirono a lutto; nè più avendo dismesso il color nero, furono chiamati le così dette Bande nere, famose in quella guerra per ferocia e valore.
- ↑ Allude a Giasone.