Pitti, albergo de' Regi
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LXV
PER LE DAME
Che ballarono mascherate nella vegghia delle Grazie.
Pitti, albergo de’ Regi,
Per le stagion festose,
Quai nelle notte ombrose
Furo i maggior tuoi pregi?
Quando udisti d’Orfeo note dogliose
Per la città di Dite?
O quando il piè d’argento
In te degnò mostrar l’alma Anfitrite:
O quando a bel concento
Di tamburi guerrieri
Fur tanti Duci alteri
D’infinito ornamento?
No, ch’io ti vidi in seno
Mar, che assorbe ogui fiume;
Sol, che oscura ogni lume,
Ti vidi in sen non meno;
Ma s’invidia destarsi ha per costume
Ver l’altrui sommo vanto,
Ella si desta in vano,
Quando di Pindo si rinforza il canto;
Dunque l’arco Tebano
Arma, Euterpe celeste,
E l’invidiosa peste
Sia spoglia di tua mano;
Allor che il Sol depone
I rai dell’aurea fronte,
Di famiglie più conte
Sedeano alte corone;
Loreno, onde il Giordano, onde l’Oronte
Di libertà fur lieti;
Austria, che al suo valore
Vede inchinarsi l’una e l’altra Teti;
Medici, il cui splendore
10Su nell’Olimpo ascende,
E stelle ivi raccende
Di non più visto ardore.
Ed ecco nobil squadra
Di beltà femminile,
15Per sembianti gentile,
Per abiti leggiadra:
Di varj fior, quanti ne serba Aprile,
Splendean le ricche vesti,
Che con mani ingegnose
20Ivi novella Aracne avea conteste.
Le guance erano ascose,
Non per altrui celarsi,
Ma per altrui mostrarsi
Via più meravigliose.
25Or chi degli occhi i rai,
Onde Amore tentava
Allor, ch’ei più beava,
Chi potrà dir giammai?
Chi la neve del piè, ch’ora s’alzava,
30Ora radeva il suolo,
Ma nol lasciava impresso
Sì, che non era passo, anzi era volo?
E chi l’orgoglio espresso,
Col dar volta, e fuggirsi?
35Chi l’atto del pentirsi,
Con inchinar dimesso?
Quinci gran meraviglia,
Nel gorgon di Perseo
Abbominato e reo
40Sassificò le ciglia;
O di quante alme vinte alzò trofeo
Per quei Soli notturni
Amore, e quanti accenti
Trasse fuori de i cor più taciturni?
45Vidi io ne’ più dolenti
Scherzi, sorrisi e giochi,
Piaghe, tormenti, e fochi
Vidi io ne i più contenti.
Cor mio, soverchio ardito
50Oggi innalzi l’antenne;
Mira, che ne fai penne
Per pelago infinito:
L’ancora salda, che Parnaso dienne,
Afferri umida arena
55Dentro porto sicuro,
Mentre che ci fa calma aura serena.
È vile il pregio e scuro
Di qualunque altro piede;
A risco di mia fede,
60Odalo Apollo, il giuro.
Sento ben debil voce,
E una Fama, che canta
Per l’antica Atalanta,
Come in corso veloce;
65Ma che sa dir? velocità cotanta,
Come sciocca ed avara
È nell’obblío caduta:
Bella Virtute i nomi altrui rischiara,
Nè Parnaso rifiuta
70Ornare alme ben nate;
Ma per altrui viltate
Sempre ogni Musa è muta.