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del chiabrera 51

     E con varj colori
     Empiesse di stupor le ciglia e i cori.
85Ei mortal d’immortali
     Tante corone il nome suo fe’ degno,
     Che d’onor vola per le vie supreme;
     E l’ammirabil’ali
     Cosi spiegò del singolare ingegno,
     90Che d’appressarsi a lui spense ogni speme;
     Lucida stella d’Arno,
     Cui nube attorno si rivolge indarno.
Qual uman pregio altero
     Di foltissima nebbia non coperse
     95Del Vatican nell’ammirabil Tempio,
     Ove il saggio pensiero
     Immaginando a tanto colmo egli erse,
     Che d’invitto saper lascionne esempio?
     Con si fatti artifici
     100Figurava i supremi alti giudíci.
Tra folgeri, tra lampi
     Gonfiasi eterea tromba, e sorgon pronte
     Al primo suon le ravvivate membra;
     E negli aerei campi,
     105Almo a veder! con ineffabil fronte
     L’Onnipotente giudicarle sembra;
     Ed a’ seggi superni
     Altri n’assegna, altri agli abissi inferni.
Chi gli occhi ivi tien fisi,
     110Scorge i fianchi anelar, batter i polsi:
     Cotanto può l’inimitabil destra;
     E dai dipinti visi
     In altrui spira, onde s’allegra e duolsi:
     Si dell’anima altrui fassi maestra;
     115Non pennel, non pittura;
     Dono del Ciel, per avanzar natura.
S’ei giù dagli antri foschi
     Risorgesse del Sole ai raggi lieti,
     E sentisse il tenor di tante glorie,
     120Certo, o gran re de’ Toschi,
     Farebbe sfavillare ampie pareti,
     Dipingendo il fulgor di tue vittorie;
     E così nobil palme
     D’ogni intorno a mirar trarrebbe l’alme.
125Io che farò, che a torto
     Cigno mi chiamo, e de’ cantori egregi
     Sul Parnaso la via quasi ho smarrita?
     Sol posso aver conforto,
     Che in celebrarli, i vostri alteri pregi
     130All’intelletto altrui pongono aita;
     Quasi velate antenne,
     Che a nave non son peso, anzi son penne.
Cor mio, non veniam meno;
     Fatti franco per via: lento cursore
     135Passo passo trapassa Alpe selvosa;
     Ma che Anfitrite in seno
     Raccolga armata di più fier valore,
     O più lieve in solcare onda spumosa,
     Che ove legno Toscano
     140Ara i gran stagni, è l’affermarlo invano: .
Bei golfi Tarentini,
     Capo Colonne, e voi montagne Etnée,
     Che udite di Cariddi i fier latrati,
     Quali spalmati pini
     145Sen giro mai per le campagne Egée
     Le brame ad appagar d’aspri pirati,
     Come dianzi sen giro
     I remi rei che di Biserta usciro?
Guardò reale stuolo,
     150Dell’Iberia sul mar somma possanza,
     La costor fuga a solo scampo intesa;
     Ne persegui lor volo.
     Perchè di ben finir senza speranza
     Sembra sciocchezza cominciare impresa;
     155Non posaro pertanto
     I legni armati del Signor ch’io canto.
Nuvolo orrido e scuro,
     Che a’ fieri soffj d’Aquilon sen vada,
     O trascorso di stella in ciel ben chiaro,
     160A rimirarsi furo
     Sul largo pian della Nettunia strada;
     In un momento i predator domaro,
     Ma vergogna sommerse
     Ogni fanal che la Vittoria scerse.
165Deh dove corro? obblío
     L’uso del mondo? Ei dall’invidia oppresso,
     Altri esaltarsi volentier non ode;
     Febo, ma che poss’io,
     Se tu mi mandi dal gentil Permesso,
     170Perchè di Ferdinando alzi la lode;
     E s’ei con man cortese
     D’un’amorosa fiamma il cor m’accese?
Oh chi tra’ monti ombrosi
     Colà m’asside, celebrata sponda,
     175Ove Fiesole bella il pian rimira?
     Ove son prati erbosi,
     Ove trascorre limpidissima onda,
     Ove d’ogni stagion Zefiro spira,
     Ed ove oscuro velo
     180Nube non stende ad oltraggiarne il cielo.
Quivi in speco remoto
     Dall’altrui ciglia in solitario chiostro,
     Atropo e Cloto, oh mi filate gli anni;
     Ed io con cor divoto
     185Farò belle ghirlande al Signor nostro.
     A che tante vaghezze e tanti affanni?
     Virtute al ciel ne mena,
     Tesor quaggiuso n’accompagna appena.

LXXIV

Quando si espugnò Bona in Barberia, si feciono schiavi mille quattrocento sessanta Turchi.

VII

Per la trascorsa etade,
     Arno, tuoi figli illustri il crine adorni
     85Tra vaghi rami d’immortali allori,
     In sul depor le spade,
     Trionfando al piacer sacraro i giorni,
     In cui vestendo acciar fur vincitori,
     E nell’altrui memoria
     90Ben fondaro i trofei della lor gloria.
Quinci, non men che il vento,
     Corre drappel di barbari destrieri,
     Empiendo di stupore il popol folto;
     Lodato accorgimento;
     95Che tuffare in obblío suoi fatti alteri
     Apparisce pensier di core stolto:
     E tra’ grandi è concesso
     Onorar la virtute anco in sè stesse.