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48 | poesie |
LXIX
II
Allor che l’oceán, regno de’ venti,
Ama di far sue prove,
Da principio commove
Nel profondo un bollor, che appena il senti:
5Poi con onde frementi
Vien spumando sul lito,
Poi l’alte rupi rimugghiando ei bagna;
Al fine empie del ciel l’erma campagna
Di rimbombo infinito.
10Tal già mia cetra mormorò l’onore
Di straniera corona;
Ed or s’avanza e tuona
Tessendo inni di gloria al mio Signore.
Ei del mortal valore
15Trapassa ogni confine;
E se il mio dir sembra all’invidia duro,
Scoppi di fiel; con esso Febo il giuro,
Trapassa ogni confine.
Chi della pace alle stagioni amate
20Conta sue glorie altere?
D’Astrea leggi severe,
Ed all’altrui digiun spiche dorate,
Tante magion sacrate,
Ove ad ognor per Dio
25Di Dedalo novel suda l’ingegno,
E scarpelli e pennelli, onde han sostegno?
Ed onde Euterpe e Clio?
Merto ben singolar; nè solo spende
Fra’ rai di sì bell’arte,
30Ma con opre di Marte
D’intorno sè fulgida lampa accende;
Per cotal guisa ascende
In alto, ove s’ammira
Al ciel vicin su non calcate cime
35Il bel carro di lui, tanto sublime
Più d’un destriero il tira.
E certo è ver, che secondar buon duce
Bene imitando è pregio;
Ma più stimasi egregio
40Chi bene oprando ad imitar conduce.
Qui per me si riduce
All’altrui rimembranza,
Che trito calle il nostro re non corse;
Anzi a placare il mar primiero ei sorse,
45E mostrò sua possanza.
Onde usciano armi? e di qual porto vele
A schermir questi liti?
Non mai nocchieri arditi
Moveano incontro al corseggiar crudele:
50Ora somme querele
Vanno volando intorno,
E piange l’Asia e l’Africane arene,
Rivolgendo in pensier l’aspre catene,
Che minaccia Livorno.
55Che io nelle glorie tue non sia bugiardo,
Flora trïonfantrice,
Braccio di Maina il dice,
Dicelo Porto Quaglio e Longo Sardo.
A ragion, dove guardo,
60Miro in danza allegrarsi
Sovr’Arno di donzelle i bei vestigi,
E vi miro a ragion del buon Dionigi
Le tazze incoronarsi.
Ma fia scarso gioir; nulla non piace
65Senza il coro Febeo;
E perde ogni trofeo
Peregrino valor, s’Euterpe il tace.
O del Tempo rapace
Figlia torbida e fosca
70Obblivïon, non assalir miei versi;
E i nomi in Lete non voler sommersi
Della gran gente Tosca.
LXX
III
Quando il pensiero umano
Misura sua possanza
Caduca e frale, ei sbigottisce e teme;
Ma se di Dio la mano,
5Che ogni potere avanza,
Ei prende a riguardar, cresce la speme.
Ira di mar che freme
Per atroce tempesta,
Ferro orgoglioso che le squadre ancida,
10Non turba e non arresta
Vero ardimento che nel Ciel confida.
Sento quaggiù parlarsi;
Un piccioletto regno
A vasto impero perchè dar battaglia?
15Alpe non può crollarsi;
E di leon disdegno
Non è da risvegliar, perchè t’assaglia. —
Meco non vo’ che vaglia
Sì sconsigliata voce,
20Ed ella Gedeon già non commosse,
Quando scese feroce
Nell’ima valle, e ’l Madïan percosse.
Ei, gran campo raccolto
Di numerose schiere,
25Vegghiava a scampo del natío paese;
E da lunge non molto
Spiegavano bandiere
Gli stuoli pronti alle nemiche offese:
Ed ecco a dir gli prese
30Il re dell’auree stelle:
Troppa gente è con te, parte sen vada;
Crederebbe Israelle
Vittoria aver per la sua propria spada. —
Quivi il fedel campione
35Di gente coraggiosa
Sol trecento guerrier seco ritenne;
Poscia per la stagione