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del chiabrera | 57 |
Di così fatto onor saggio s’accorse
Giovanni1 il franco, che del Mincio all’onde
35Lasciò col suo morir l’Italia mesta;
Poi per quell’orme ognun de’ suoi sen corse:
E Cosmo di Livorno in sulle sponde
Oggi l’Etruria a suon d’acciar tien desta,
E con purpuree croci
40Manda in battaglia i Cavalier feroci.
Or chi di verde allor non cerca rami
A far ghirlande? e chi d’Aonii canti
Agli spirti guerrier non dà tributo?
Chi può l’armi tacer d’un Inghirami?
45O la fervida man d’un Sozzifanti?
O l’intrepido cor d’un Montacuto?
O biondo Apollo, o Dive,
Di ciascun taccia chi di lor non scrive.
Certo nel petto mio sembra, che avvampi
50Ardor di Febo: o Calabrese arena,
Che a te non corra, io me frenar non basto:
E non men dell’Egeo trascorro i campi,
Ove le turche braccia aspra catena
Costrinse al fin dopo mortal contrasto;
55E sol miro dolente
Schiatti, che bronzo fea tonare ardente.
Potrei de’ fregj, onde Parnaso adorna
L’altrui virtude, oggi abbellir miei versi.
Bacco in mente mi vien sul lido Eoo;
60E so, che svelte rimirò sue corna
Dopo lung’arte negli assalti avversi
Sotto l’Erculea man vinto Acheloo;
E che campagne arate
Dieder non spiche, ma falangi armate2.
65Rammento l’Idra, e i fieri incontri e crudi,
Se mai la turba delle teste orrende
Il germe fier d’Anfitrïone assalta:
Questi son delle Muse egregj studi
Chè ogni vigilia a gran ragion si spende,
70Allor che merto di valor s’esalta;
Ma quando alto ei lampeggia,
Par che ornamento fuor di sè non chieggia.
- ↑ Allude a Giovanni Medici, generale italiano, celebre per la sua intrepidezza nel principio del secolo XVI. Discendeva da Lorenzo il vecchio, fratello di Cosimo, padre della patria. Fu padre di Cosimo, il quale, mancato il ramo primogenito de’ Medici, fu primo granduca di Toscana. Questo Generale prestò i suoi servigi ai papi Leone X e Clemente VII suoi parenti; alla Repubblica Fiorentina contro il Duca d’Urbino: nella guerra tra i Francesi e gl’Imperiali in Lombardia, or sotto gli uni, or sotto gli altri, ma sempre tenendo le parti del Pontefice. Morì presso Mantova d’un colpo di falconetto, inseguendo il capitano Fronsperg, quello stesso che poi saccheggiò Roma. suoi soldati gli erano così affezionati, che tutti vestirono a lutto; nè più avendo dismesso il color nero, furono chiamati le così dette Bande nere, famose in quella guerra per ferocia e valore.
- ↑ Allude a Giasone.
LXXXI
ALCUNE CANZONI IN LODE DEL SOMMO PONTEFICE
PAPA URBANO VIII
Per lo giorno della sua creazione.
I
Scuoto la cetra, pregio d’Apolline,
Che alto risuona; vo’ che rimbombino
Permesso, Ippocrene, Elicona,
Seggi scelti delle Ninfe Ascree.
5Ecco l’Aurora, madre di Mennone,
Sferza le ruote fuor dell’oceano,
E seco ritornano l’ore,
Care tanto di Quirino a i colli.
Sesto d’Agosto, dolci luciferi,
10Sesto d’Agosto, dolcissimi Esperi,
Sorgete dal chiuso orizzonte
Tutti sparsi di faville d’oro.
Apransi rose, volino zefiri,
L’acque scherzando cantino Tetide;
15Ma nembi, d’Arturo ministri,
Quinci lunge dian timore a i Traci.
Questo, che amato giorno rivolgesi,
Fece Monarca sacro dell’anime
Urbano, di Flora superba
20Astro sempre senza nubi chiaro.
Atti festosi, note di gloria,
Dio celebrando, spandano gli uomini;
Ed egli col ciglio adorato
Guardi il Tebro, guardi l’alma Roma.
LXXXII
II
Strofe.
Qual sulla cetera,
Per cui trionfasi
Del hassu Tartaro,
Bella Callïope,
5Oggi degli uomini
Hassi a cantar?
Antistrofe.
Fra scettri nobili,
A cui s’inchinano
Gentili spiriti,
10L’almo, che adorasi
In val di Tevere,
È senza par.
Epodo.
Quando del mondo il Redentore eterno
Al cielo ascese,
15Allor cortese
A Pietro suo fedel diello in governo,
Perchè sul Vaticano
A’ successori indi venisse in mano.