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del chiabrera | 55 |
Ecco del nostro mar nell’ampio seno
Cascò d’obbrobrj carca
Aspra turba Ottomana;
E per l’onda Africana
50Pure mirò Tabarca
Stringersi in ceppi musulmani arcieri
Sotto il fischiar di fiorentin nocchieri.
Ninfe marine a Capo Bono udiro
Di falangi perverse,
55Piangendo libertà, lungo martiro:
E nel golfo dell’Idra acerbo scorno
Altra turba sofferse,
E venne afflitta a rallegrar Livorno.
Cose, onde il grido che risuona intorno,
60E per saggi s’apprezza
Meco stesso rammento:
Non ha stabilimento
La mortale grandezza,
E nel mondo quaggiù regna vicenda:
65Convien che altri sormonti, altri discenda.
Cartago era di Libia alta reina,
Poscia rasa le chiome
Serva si fe’ della virtù Latina;
Ed or d’orror miseramente involta
70Solo serba suo nome
Per l’immense ruine ove è sepolta.
L’ordine con Livorno oggi si volta;
Nella stagione antica
Fu piaggia paludosa,
75Dimora travagliosa
Di vil gente mendica,
Ch’estate e verno sosteneva affanni,
Tessendo a’ pesci con la rete inganni:
Ora ampie strade ed indorati tempj,
80Ed afforzate mura,
Ed alte torri, oltra gli umani esempi,
E contra i varchi altrui fosse profonde;
E con Dedalea cura
Immobil mole al tempestar dell’onde.
85Ad onta d’ottoman, da quali sponde
Non s’adducono palme
Per ornar questi porti?
Oh come in viso smorti
Percotonsi le palme
90Del superbo tiranno i servi avari,
In mirar tanto minacciati i mari!
Ed ecco da lontan carco di doglie,
Di Tripoli sul lido
Oggi il ricco Bassà pianger sue spoglie,
95E dir contra Macon bestemmie orrende,
Perchè il popol suo fido
Da’ toscani guerrier non si difende.
Donna del Ciel, cui notte e giorno splende
Di Montenero in cima
100Altar fra’ voti immensi,
A te spargansi incensi;
Che la tua man sublima
Di Cosmo il nome, e tra’ marin perigli
Tu governi, o Beata, i suoi consigli.
LXXVIII
XI
Per me giaceasi appesa
La cetra, onde si gloria
La nobile armonia del gran Tebano:
Ma sul mare alta impresa,
5E novella vittoria
Fa che ben pronto a lei stenda la mano,
E varie corde a risvegliar mi tira,
Soavi lingue dell’Aonia lira.
Begli orti, aurati tetti
10(Ben chiaro oggi si vede)
Non quetano, re d’Arno, i tuoi desiri;
Ma fin de’ tuoi diletti
È d’onor farsi erede,
A cui l’altrui vaghezza indarno aspiri;
15E così di virtù correre i campi,
Che orma a te da vicino altri non stampi.
Ecco all’Egéo d’intorno
Spandono monti e lidi
Gioconde voci ad ascoltar non use.
20Dobbiam dunque in tal giorno
Al suon di tanti gridi
Non rinchiuder le labbra, inclite Muse,
Ma tender archi, e far volare, o Dive,
Per l’Italico ciel saette Argive.
25Correan cerulee strade
D’Ottoman stuoli armati,
Per ira a rimirarsi orridi in faccia,
E con ritorte spade,
Le terga faretrati,
30Già faceano all’Italia aspra minaccia,
Condennando, ebbri di fallace speme,
I nocchier nostri alle miserie estreme.
Udían nostre querele,
E di nostro cordoglio
35Faceano immaginando il cor contento.
Ma popolo crudele
Non sa, che umano orgoglio
Suole aver da vicino il pentimento;
E che nell’alto dal monarca eterno
40I superbi pensier prendonsi a schierno.
Rideano, ed improvviso
Ecco prore Tirrene
Ai venti care e non men care all’onde:
Quinci, sbandito il riso,
45Trasser dure catene
Quegli empj, di Livorno in sulle sponde;
E crebber lagrimando alteri pregi
D’Arno vittorïoso ai Duci egregi.
D’augelli infra le piume,
50Quale è d’aquila il morso,
O qual de’ pesci entro i salati regni
Delfino ha per costume
Far strazio: tale in corso
Del magnanimo Cosmo or sono i legni;
55O qual d’orrida tigre ed unghia e denti
Fra la viltate de’ vellosi armenti.