Sole d'estate/Nozze d'oro
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NOZZE D’ORO
Il signor Poldino ricordava di aver sentito dire da sua madre che se uno, entrando per la prima volta in una chiesa, domanda fervidamente una grazia, questa gli viene concessa.
Di grazie, il signor Poldino, non ne aveva mai chieste, né in chiesa né fuori, poiché tutto e sempre gli era stato accordato dalla fortuna: benessere morale e materiale, onori, una moglie amata e fedele, figli e nipoti bravi e tutti ben sistemati; e infine anni ed anni di salute e di tranquillità di coscienza.
Adesso ne contava ottanta, come a dire ottanta perle di una stessa collana, intatta e di sempre maggior valore, da lasciarsi in eredità di esempio ai discendenti: ma aveva bisogno di una grazia.
*
Quale, però, la chiesa che egli non conoscesse, nella città e dintorni? Tutte, le conosceva, se non come penetrato credente, come amatore di monumenti antichi e moderni: da venti anni a questa parte, anzi, dopo che si era completamente ritirato a vita privata, non faceva altro che girare di chiesa in chiesa, ascoltando messe solenni, prediche, musiche; studiando colonne, tombe, vetrate e vòlte: e gli pareva di averle, queste chiese, una per una, come certi santi, sulla palma della sua mano. Ma da qualche tempo non usciva quasi più di casa, e adesso ricordava di aver sentito un giorno la moglie parlare di una chiesetta, una specie di oratorio, che certe suore facevano costruire a fianco del loro convento, in un parco di loro proprietà. Questa chiesetta doveva essere già finita, e non troppo distante dal quartiere dove egli abitava: ad ogni modo era bene informarsi con maggior precisione dalla moglie.
La moglie era a letto, gravemente malata di cuore; i dottori dicevano che poteva morire da un momento all’altro. Per questa ragione il signor Poldino, pure fingendo con lei di non essere preoccupato e di proseguire nel suo solito tenore di vita, non usciva più di casa, e di giorno in giorno si sentiva anche lui mancare il cuore come quello della sua compagna. Sempre per parere dei dottori, ella veniva lasciata tranquilla nella sua grande camera ariosa, vigilata da una suora bianca che pareva fabbricata con la neve. Ma il signor Poldino, fermo in permanenza nella sala attigua, ne sentiva ogni respiro, ogni ansito: e quando ne aveva il permesso dai medici, nei momenti di tregua del male, andava a sedersi accanto al grande letto dove la moglie, sollevata sui guanciali, piccola e scarna, tutta occhi e con le sopracciglia ancora nere, sembrava una bambina d’un tratto invecchiatasi per un fenomeno crudele della natura.
E si guardavano, senza parlare; oppure, a un cenno di lei, parlava solo lui, raccontando di essere andato a spasso, di aver mangiato e bevuto bene, o di aver letto un bel libro. Tutte bugie, che però, come piccole rammendature, fermavano per un poco l’inesorabile logorarsi della vita dei due vecchi sposi.
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Quel giorno, appunto, i dottori avevano dato al signor Poldino il permesso di fare un po’ di compagnia alla moglie. Egli dunque lasciò l’angolo della stanza dove passava i giorni e spesso anche le notti, ed entrò nella camera nuziale. Sì, proprio nuziale, poiché ancora era quella: e quello il talamo, dove fino a pochi mesi prima egli aveva, per circa mezzo secolo, passato la notte con la sua compagna; quello lo specchio di Murano, che li aveva riflessi al ritorno dallo sposalizio, nitido e fermo ancora come la loro fedeltà. E ancora una volta li riflette, ella appoggiata ai guanciali, sul cui candore il candore dei suoi capelli increspati segna come un festone di trina; egli seduto accanto al letto, col braccio teso sul lenzuolo, verso la mano di lei.
Disse, sottovoce, quasi comunicandole un segreto:
— Oggi va proprio bene. Il professore così assicura, e molto mi ha confortato. Abbiamo anche fatto una bella passeggiatina.
E scuoteva la testa, ammiccando. Ella lo fissava, con gli occhi azzurri, lontani, che a lui sembravano sempre quelli della loro giovinezza; ma teneva le labbra chiuse, bianche, immobili. Egli le prese la mano, la tenne nella sua: e ne sentiva le ossa sottili come quelle di un uccellino morto. Riprese:
— Sì, sono uscito; ho fatto un giretto, qui nei dintorni. Continuano a costruire; sempre palazzi, e sempre nuovi negozi: ogni porta una bottega. Toh, hanno aperto, qui nell’angolo, anche una macelleria per carne equina; e bisogna vedere che insegna: sembra quella di un gioielliere. Sono poi andato giù, fino alla piazza nuova: volevo anche vedere quella chiesetta delle suore, della quale tu mi parlavi: però non sono riuscito a trovarla.
Gli occhi di lei si ravvivarono, per un attimo; la sua mano si sollevò, verso la suora; e, dopo essere accorsa con un silenzioso volo di colomba, la suora rispose per lei:
— La chiesetta? Dalla piazza non si vede: bisogna svoltare più su, lungo il muro del parco delle suore: è dietro, a destra.
— Ah, ho capito: grazie.
La suora fece un lieve inchino; poi se ne andò: anzi, profittando della presenza del signor Poldino, si allontanò dalla camera.
*
La camera, poiché il sole era già tramontato, si riempiva come di un chiarore di ceri accesi. Dalla finestra spalancata si vedeva la grande terrazza di un palazzo di fronte, piena di fiori come un giardino pensile sospeso sul cielo rosso. Gli occhi della malata, adesso, guardavano lassù, ed anche il signor Poldino non poteva fare a meno di guardarci. E pensava che forse quella era l’ora buona per recarsi alla chiesetta — l’ora del vespero, quando la Madre del Signore meglio raccoglie le preghiere degli uomini. Ma si sentiva stanco, per tutte quelle ultime notti, e gli ultimi giorni passati in ansia continua; inoltre si stava tanto bene lì, appoggiato al letto come alla prora di una barca navigante in un luminoso golfo di pace: lì, accanto alla sua compagna, unite le mani, come sempre nella loro lunga felicità.
Però la preghiera è più esaudita se si fa con spirito di sacrifizio. Quando dunque la terrazza di fronte apparve tutta d’oro e di rubino, come un altare all’ora del vespero, egli si alzò e andò nella chiesetta. Il viaggio fu alquanto difficile, perché giù era quasi notte e la strada, lungo il muro del parco, diventava tortuosa, con buche e scaglioni che facevano inciampare il signor Poldino. Ma ecco finalmente la chiesetta: la porta, anzi, era spalancata, e in fondo si vedeva l’altare, che rassomigliava davvero alla terrazza di fronte alla finestra della malata.
Egli sedette sulla prima panca che gli capitò: avrebbe voluto inginocchiarsi ma non poteva: sentiva un grave malessere, un mancamento di respiro; e nello stesso tempo una gioia mai provata. Recitò con fervore l’Avemmaria, cercando di rievocare la voce stessa dell’Angelo annunziatore, poi domandò la grazia.
— Fra giorni sono cinquant’anni che io e Mariolina ci siamo sposati. Vergine Santa, Madre di Dio, Sposa di tutti gli uomini che soffrono, concedimi di celebrare le nozze d’oro assieme con la mia diletta. Amen.
*
Quando la suora infermiera, non vedendo uscire dalla camera il signor Poldino, vi rientrò silenziosa, vide la finestra ancora aperta, e sullo sfondo viola, su una colonnina della terrazza, una lucerna d’argento: era la luna nuova.
I due vecchi sposi stavano lì, con le mani strette, gli occhi aperti verso il cielo: e prima di chiamare i famigliari, la suora chiuse loro questi occhi, che adesso si guardavano nell’eternità, lieti per la grazia ricevuta.