Sole d'estate/Lo spirito della madre
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LO SPIRITO DELLA MADRE
Perché le inalazioni salso-jodiche a secco riescano più efficaci, durante la loro azione è bene chiacchierare, anzi possibilmente cantare, e meglio ancora, con perfetta licenza del vicino di cura, sbadigliare senza riguardi. E sbadigliava, pur con molto riguardo e mettendosi il dorso della mano sulla bocca, la giovane sposa Lula: sbadigli involontari e nervosi erano però i suoi, provocati dal torbido malessere fisico e morale che la riempiva, fin dentro l’anima, di una nebbia più acre ancora di quella delle esalazioni dell’jodio.
Tossiva, nello stesso tempo, e questo giovava alla sua gola corrosa dal lungo pianto e, più che dal pianto, dalle lagrime rientrate e ingoiate in silenzio, per la morte della sua mamma.
La mamma era morta di una malattia di cuore, della quale soffriva da anni: ma Lula credeva di averla uccisa lei, scappando di casa col figlio del padrone, che mai e poi mai l’avrebbe sposata. Per otto giorni i due ragazzi, lei quindici, lui diciassette anni, avevano trovato da nascondersi in modo che neppure la polizia, sguinzagliata sulle loro orme, era riuscita a pescarli: in quegli otto giorni la madre di Lula era morta e il padrone aveva lanciato una specie di bando, con ordine ai due colombi di tornare a casa per sposarsi.
E tornati essi a casa, aveva perentoriamente ingiunto a Lula di non spargere neppure una lagrima; anzitutto perché a lui non garbava la gente triste, e poi perché i morti anch’essi non vogliono che si pianga per loro, onde il dolore dei vivi non li disturbi nella loro eterna pace.
*
— Sì, mamma, — gemeva fra sé Lula, agucchiando veloce un suo piccolo lavoro di lana, mentre il vapore che si addensava intorno, il rombo del motore e la luce crepuscolare che svaniva dai vetri appannati, le davano l’angosciosa impressione di un imminente uragano; — tu pure lo dicevi: appena morti, si rientra nella gloria di Dio: non bisogna quindi lamentarsi, perché la pena dei vivi richiama al mondo le anime beate, che ne soffrono, e così non possono confortare i loro cari, come quando sono lasciate da essi in pace. Eppure, mamma, eppure....
Eppure essa non poteva non soffrire, specialmente in quei giorni di lontananza dalla sua grande casa patriarcale, in questa dimora estranea, sebbene bella e lieta, fra gente di una razza ben diversa dalla sua; e alla solita preoccupazione si era aggiunto il senso d’inquietudine e quasi di terrore della sua incipiente maternità.
Intanto la sala si pienava di gente. Chi erano? Fantasmi. L’uscio a bussola girava silenzioso come una ruota fantastica, e di volta in volta ne sbucava una figura che, nella nebbia ancora diafana dell’inalazione, cercava cautamente un posto dove sedersi. Il tavolino centrale, coi suoi mazzi di carte e le scatole dei dadi, era già tutto occupato da persone il colore delle quali a poco a poco si spegneva in una nota grigia vaporosa. E adesso, poiché non ci si vedeva più, ai commenti ed alle esclamazioni dei giocatori di dadi succedeva un silenzio quasi imbarazzato: a scuoterlo si alzò d’un tratto una voce di tenore, in sordina. Era Rodolfo, che da una lontananza iperborea, dalla fredda altezza di una soffitta, vedeva il fumo dei comignoli di Parigi, infiammato dal riflesso della sua poesia: a un certo punto, però, irritata dal pizzicorino dell’inalazione, la voce si fece rauca, si spense in uno strido d’alcione ferito. Tutti applaudirono e risero: ma bastò questo perché Lula sollevasse fino agli occhi la cuffietta di lana infilzata nei ferri; e le sue lagrime vi caddero dentro come le goccie della nebbia notturna in un nido ancora vuoto.
*
Poi una voce di donna fece una proposta, che a dire il vero non stonava in quell’ambiente nebuloso.
— Si fa il tavolino?
Accettato, con unanime allegro entusiasmo. Stridettero le sedie smosse: riprese la voce:
— C’è un medium, fra di voi?
— Io, signorina. — Era la voce calda e commossa di Rodolfo: alla quale si rispose con certi sogghigni cagneschi: ad ogni modo fu accettata l’offerta, e il silenzio che ne seguì fu appena violato da lievi trilli di riso, quando un’altra voce disse:
— Mi raccomando la mano di Mimì.
Lula si era sollevata dalla sua pena, e con curiosità infantile aguzzava gli occhi per distinguere qualche cosa. Capiva che si giocava «agli spiriti» ed era contenta di questa novità. Non ci credeva, lei, no, che gli spiriti dei morti possano ritornare nel mondo per semplice divertimento di gente sfaccendata: eppure un certo brivido le tremò fra scapula e scapula, quando Rodolfo, con voce sommessa e convinta, annunziò:
— Si chiama Napoleone.
Non c’era da scherzare: ma Napoleone, evidentemente stanco di essere chiamato da tutti gli spiritisti del mondo, non risponde: risponde invece Cagliostro, che nonostante il lungo suo martirio di sepolto e murato vivo nella buca della rocca di San Leo, dice di essere nell’inferno. Non è però questa notizia che impressiona gli astanti: è un’avvertenza benevola, che arriva fino a Lula e la fa ripiombare nella sua pena.
Dice il dannato: — Appena andato via io, chiudete il passaggio, poiché può venire un demonio e farvi del male.
*
Ma il demonio era già forse penetrato nella sala e vagava nella nebbia ormai fittissima, perché d’un tratto Lula si sentì come sollevata da una mano formidabile che la tirò su, in piedi, rigida e folle. Con una voce strana, che neppur lei riconosceva per sua, supplicò:
— Chiamate la mia mamma.
Si rimise a sedere, chiuse gli occhi e piegò la testa, nascondendola col braccio, come fanno con l’ala gli uccelli quando stanno per addormentarsi. Una pietosa signora domandò:
— Come si chiamava, la sua mamma?
Ma ella, già pentita e vergognosa, non osò più aprir bocca.
E il gioco proseguì egualmente, cullato dal rullìo del motore, che piano piano si affievoliva.
Lula teneva sempre la testa piegata sul petto, e sentiva il suo cuore pulsare più forte della macchina: le pareva, il suo cuore, un grappolo d’uva nera, che una mano schiacciasse facendone gocciare sangue. Eppure quest’impressione le dava un senso arioso, di respiro, come se quello fosse il cattivo sangue del suo dolore e la liberasse finalmente dal suo male. E le sembrava di veder la vigna del suo podere, tutta pesante di uva già matura; e che una voce la chiamasse per vendemmiare.
— La mamma! La mamma!
Questa volta il brivido era profondo; le saliva dalle viscere, le percorreva ogni vena, la chiudeva in una rete incandescente. E d’un tratto ella sentì di nuovo la voce della madre, ma dentro di sé, e le parve che lo spirito evocato fosse venuto a raggiungerla, per non lasciarla mai più.
Riaprì gli occhi. Il motore s’era fermato, la nebbia si dileguava: già si rivedevano, intorno al tavolo, note di colore: rossi, verdi, lilla; e la perla di un orecchino pareva una stella fra le nubi.
Ella non seppe mai spiegarsene il perché, neppure quando qualcuno le disse che forse davvero lo spirito della madre era in quel momento penetrato in lei per animare la sua creatura; ma sentì una gioia indicibile sollevarla tutta. Pensò che fra pochi giorni sarebbe tornata a casa, guarita; e tutto le apparve bello e luminoso. Tutto: l’altissimo pioppo che, come una sentinella corazzata d’acciaio, vigila giorno e notte la bianca fattoria; le galline che più svelte delle scimmie saltano sul gelso per passarvi la notte, il puledrino baio che introduce la testa sotto il braccio del padrone, per essere accarezzato, mentre il cane geloso gli sbatte la coda dura sulla zampa, il fazzoletto rosa svolazzante al collo del marito, il sole che tramonta sul fienile come sopra la cupola di una chiesa.