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Ma il demonio era già forse penetrato nella sala e vagava nella nebbia ormai fittissima, perché d’un tratto Lula si sentì come sollevata da una mano formidabile che la tirò su, in piedi, rigida e folle. Con una voce strana, che neppur lei riconosceva per sua, supplicò:

— Chiamate la mia mamma.

Si rimise a sedere, chiuse gli occhi e piegò la testa, nascondendola col braccio, come fanno con l’ala gli uccelli quando stanno per addormentarsi. Una pietosa signora domandò:

— Come si chiamava, la sua mamma?

Ma ella, già pentita e vergognosa, non osò più aprir bocca.

E il gioco proseguì egualmente, cullato dal rullìo del motore, che piano piano si affievoliva.

Lula teneva sempre la testa piegata sul petto, e sentiva il suo cuore pulsare più forte della macchina: le pareva, il suo cuore, un grappolo d’uva nera, che una mano schiacciasse facendone gocciare sangue. Eppure quest’impressione le dava un senso arioso, di