Simpatie di Majano/VII
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VII.
No, mia signora: qui a Majano non si fa vita contemplativa: la facevano un tempo le monache, intorno alle quali spero di poterle scrivere in seguito qualche cosa di curioso. Ora le monache non ci sono più, e noi ci si adopra in tutto il giorno ad esercitare il corpo in modo da desinare con appetito e dormire con quiete. E questo a Lei, che è donna savia, parrà di certo una nobilissima e importantissima occupazione.
Se qualcuno vuol levarsi il capriccio di rileggere il Decamerone nel proprio luogo dove il Boccaccio ne pose la scena, o di meditare Platone dove il Ficino lo tradusse, non ha che far pochi passi da questa villa privilegiata.
Ma in generale sono preferite passeggiate più lunghe e più serie, e di qui le nostre gambe esercitate vanno agevolmente fino a Monte Senario, a Vallombrosa e sulla cima di Monte Morello. È un monte decaduto quest’ultimo: lo hanno affatto decalvato della folta chioma di abeti che un tempo gli scendeva dal capo per le spalle, così che dell’antico ammanto gli resta appena la memoria nel nome....
Queste sono passeggiate che Lei fa benissimo a risparmiarsi, giacchè su questo punto io non sono niente affatto progressista: la ginnastica, l’alpinismo, il pedestrianismo sono tutte belle cose: ma non so persuadermi ad ammirare questi prodigi nelle signore che ad una condizione, veramente un po’ difficile: alla condizione cioè che questi esercizi non tolgano alla donna una delle sue più preziose bellezze, e cioè un piede piccolo, magretto, ben fatto.... All’uomo il piede serve principalmente per camminare: nella donna è una cosa non meno delicata, nelle sue funzioni estetiche e morali, della mano, delle labbra e degli occhi... Mi diano pur del codino: ma se una signora, per amor delle Alpi o degli Appennini, si riduce a dover poi calzare abitualmente certi scarponi lunghi e larghi quali vediamo scendere ogni giorno quando arrivano i treni diretti dalla Germania o quando passa la valigia inglese delle Indie, il mio parere è che la signora si limiti a moderati esercizi, compatibili con gli eleganti stivaletti e i graziosi scarpini... So che ci sono delle eccezioni, ma so che sono molto rare: nella donna adoro la forza e la grazia quando si trovano riunite; ma dovendo scegliere, prima la grazia e poi la forza... Se incontrerà delle signore che predicano altrimenti, c'è da scommettere che si trovano nel caso della volpe che aveva perduto la coda.
Oltre le passeggiate, c'è per chi sa nuotare, a Majano, un bagno, anzi un pelaghetto... del quale le rinnovo la promessa di scriverle un’altra volta.
Poi, ci sono le bocce... per gli uomini s’intende... Anzi mi viene quasi scrupolo di parlarle di una cosa tanto triviale, di un giuoco da villani, che impolvera e infanga la mano... Si trattasse del volante, del bigliardo, di qualcuno fra quei nuovi giuochi inglesi o americani che si fanno sull’erba soffice e pulita... Ma scrivere a una signora come Lei di quelle volgari pallottole color di terra, che stanno in terra e rotolan per terra?... Basta: mi conforto pensando che l’Algarotti, fior di gentiluomo, ebbe il cuore di scrivere a una signora, per avvertirla che quella sua delicatissima pelle levigata, guardata da vicino cogli occhi della scienza, sarebbe apparsa nella sua realtà mostruosamente ruvida e rugosa, quanto quella d’un rinoceronte invecchiato...
E poi, condoni la mia debolezza: è un gran bel giuoco, per uomini s’intende... Già somiglia molto ai giuochi antichi della palla e del disco, eccellenti per fortificare le costituzioni e per aguzzare l’appetito: vi concorrono tutti i muscoli del corpo e tutta l’attività del cervello: vi si passeggia, vi si corre; vi si mira al bersaglio, vi si lancia il proiettile: c’entrano i principali elementi dell’esercizio militare e dell’artiglieria.
Lei, che la sa lunga, è capace di dirmi: — Alto là; c’è un’ordinanza di Carlo V re di Francia che proibisce ai sudditi quel giuoco perchè vi si abbandonavano con tanto trasporto da trascurare l’esercizio delle armi. E Carlo V fu soprannominato il Savio.
E io le risponderò che anche i savi commettono delle corbellerie: Salomone, il gran Savio, fece quella di prendersi mogli e concubine a centinaia... Il fatto sta che se l’ordinanza di Carlo V fu obbedita, giovò ben poco all’educazione militare dei Francesi, che furono solennemente battuti dagli Inglesi perchè questi erano buoni arcieri, cioè sapevano mirar dritto, il che s’impara col giuoco delle pallottole.
Certo quell’ordinanza non fu obbedita in Provenza, dove, come in tutti i paesi d’Europa bagnati dal Mediterraneo, il giuoco delle bocce si è perpetuato a traverso i secoli; e nel nostro secolo fu così in voga che una società di Provenzali, quarant’anni or sono, aveva stabilito a Parigi un club per il giuoco delle bocce e in questo si esercitava nel giardino delle Tuileries, e ne faceva parte l’insigne Mignet (uno degli storici che è letto anche dalle signore), il che le può provare essere le bocce compatibili colla dignità degli uomini seri.
Ma Lei, che ha veduto i bellissimi discoboli della scultura greca, è capace di preferire ai giuocatori di bocce i moderni discoboli, cioè i giuocatori di ruzzola.... No, per carità: gli antichi maneggiavano dischi di bronzo e i nostri fanno ruzzolare dischi di formaggio; almeno le bocce sono di legno sodo e quando l’una picchia l’altra, risuonano come pistolettate: non pretendo statue per un giuocatore di pallottole: ma se Ella guarda le incisioni romanesche del Pinelli, vedrà che c’è dell’artistico anche in un giuoco di bocce....
Intendiamoci: c’è modo e modo di giuocare colle bocce: qui in Toscana prevale un giuoco bastardo, che è quello di far correre enormi pallottole, troppo grandi per essere maneggiate con vigore, sopra un liscio rettangolo di terra battuta, dove sono proibite perfino le bestemmie: giuocano alle bocce come ai birilli o al bigliardo....
Ben altrimenti si giuoca altrove: e cioè su qualunque terreno più svariato di ostacoli e di pendenze, molle o sodo, battuto o ghiaioso, per cui ad ogni colpo si cambia di problema e c’è tutto il campo ad esercitare l’accorgimento, lo spirito di osservazione, combinandone i resultati colle regole matematiche della direzione e dell’impulso. Sul pulito pallaio dei Toscani è il freddo manovrare di piazza d’arme, invece che la grande manovra in vera campagna.
Qui a Majano il campo delle pallottole è circoscritto, perchè si vuol restare in casa propria colla domestica libertà: ma il terreno è disposto e variato in modo da togliere ogni monotonia alle più lunghe partite.
Qui si combattono con passione vere battaglie fisiche e morali; ciascuno ha il suo modo di giuocare, come ciascuno ha il suo stile: ma i tipi spiccati sono due: l’astuto e il forte.
Quegli si affida alla prudenza e all’abilità; è lento in tutti i suoi movimenti, fecondo di svariate combinazioni: prima di decidersi al colpo, studia il terreno, misura replicatamente coll’occhio le distanze, calcola l’effetto dell’impulso e del peso di piombo che fa da timone, tiene conto degli ostacoli che la palla incontrerà nel suo viaggio, degli attriti, dei sassolini, dell’elasticità del terreno... finalmente lascia andare il proiettile senza slancio, con dolce fermezza; e ne segue le evoluzioni, curioso di verificare se l’effetto corrisponde esattamente alle sue previsioni... La pallottola se ne va frattanto per vie tortuose, descrive le più strane curve rispetto al punto di mira; sale e scende, riprende l’aire quando già sembra ferma, si aiuta coi rimbalzi urtando nelle proprie consorelle che fanno siepe al pallino; va a picchiare in un muro o in una siepe.... Contro ogni previsione dei meno accorti eccola lì accoccolata accanto al suo piccolo sposo, quasi baciandolo.
Il forte lavora invece secondo la pura arte del bombardiere: fra il suo occhio e il punto di mira non vuole ostacoli, la sua pallottola, scoccata con vigore dai muscoli della mano, deve descrivere un’esatta parabola attraverso l’aere, come la bomba quando esce dal mortaio, per cader di piombo a prender posto vicino al pallino o scacciare di botto le avversarie, se il posto è preso. E però egli prende la rincorsa di qualche passo: in un attimo s’arresta, mira e lascia andare.... Se a questa scuola non è educato, il forte lavora in linea retta facendo strisciare la palla sul terreno: e lì davvero la sicurezza del colpo dipende dalla forza dell’impulso, perchè si devono spazzare successivamente tutti i piccoli ostacoli...
S’intende che gli eclettici, i giuocatori perfetti, lavorano in tutti i modi secondo i casi, e scelgono l’uno o l’altro secondo le probabilità...
In quegli istanti che corrono fra il colpo e l’effetto, come palpitano i cuori, quale tumulto di ambiziose speranze, di angosciosi timori! E quando l’effetto strappa l’applauso ai compagni, l’autore reprimendo nobilmente il movimento dell’orgoglio va a collocarsi, modestamente trionfante, vicino alla sua pallottola vittoriosa per sorvegliare l’andamento dei colpi successivi, aiutare l’alleato di consiglio e di coraggio, misurare le distanze a corpo d’occhio o collo scrupoloso soccorso delle canne e dei fuscelli... Perchè, siamo tutti galantuomini, ma la tentazione di appropriarsi la vittoria ad ogni costo è viva... I famosi bollettini ufficiali in tempo di guerra informino... E nel vecchio linguaggio francese bouleur significava ingannatore... Quindi, se in molti casi si può giudicare all’ingrosso, à boule vue, in genere conviene misurare, piuttosto che cedere alle sentenze o alle scommesse degli spettatori...
Finito il giuoco, ci si lava le mani in acqua limpida e fresca, e si può allora stringere pulitamente anche le mani profumate delle signore...
Del resto, il giuoco delle pallottole esiste da secoli anche a Majano: ci fu nel quattrocento un poeta Meo da Majano; un poetuzzo se vuole, ma un paesello non può mica avere un Dante per secolo. Non si conosce di lui che un sonetto colla sua brava coda e colla risposta d’un anonimo: in esso si bisticcia di occupazioni villerecce, di congegni per dar la caccia agli uccelletti: ma il buon Meo dice pure che a tempo avanzato si occupava a giuocare alle pallottole.
Il corrispondente di Meo prega l’amico che gli mandi in dono un balestro da tordi: e gli promette in compenso
Amor grande e cortesia di bocca:
su di che me le professo
Devot.mo servitore.