Sessanta novelle popolari montalesi/XXXV
Questo testo è incompleto. |
◄ | XXXIV | XXXVI | ► |
NOVELLA XXXV
- Il Mattarugiolo e il Savio
(Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)
La sorte fece nascere du' fratelli, che 'nnanzi che loro fussano grandi erano rimasi insenza il babbo, sicché se ne stevano con la su' mamma sola. Di questi du' fratelli, il maggiore 'gli era un giovanotto savio che gli garbava lavorare e mantieneva tutta la casa, da poero bracciante, veh! ma pure nun gli faceva mancar di niente: quell'altro, il più piccino, 'gli era 'nvece mattarugiolo, un po' scemo di cervello, via! e nun sapeva smovere una pagliucola ammodo; le faceva lui tutte alla rovescia le su' cose. Un giorno il Mattarugiolo va dal Savio; dice: - Quanto mi garbano quelle ragazze di laggiù 'n fondo alla via! Anco loro, se le 'ncontro, mi guardano e ridono. Dice 'l Savio: - Vacci a veglia. - Oh! che ci si fa egli a veglia? - domanda 'l Mattarugiolo. Dice 'l Savio: - Si discorre, s'arraccontan delle novelle, e quando s'è 'nnamorati, alla dama gli si tira dell'occhiate. Il Mattarugiolo, quand'ebb'uto queste 'struzioni, va in nella stalla in dove eran le capre e gli leva a tutte gli occhi, e po' di quest'occhi se ne piena una tascata; la sera poi si mette addosso la meglio giubba e corre a veglia dalle ragazze, e lì a dire buacciolate e a far versacci; sicché tutta la conversazione rideva a crepapancia e lo sbeffavano a bono il Mattarugiolo. Ma lui 'n scambio principia a tirar di quegli occhi di capra in nel grugno alle ragazze, che a quel brutto scherzo si messano a urlare: - Porco lezzone! 'Gnorante che tu nun sie' altro! - e dato di mano a un bastone, te lo legnorno il Mattarugiolo insenza rembolare, e a forza di spintoni lo buttorno fora di casa [ 299] e gli sbacchiorno l'uscio in sulle rene. Il Mattarugiolo, tatto pesto e svergognato, corse a casa piagnendo dal Savio. Dice lui: - Che ha' tu fatto? Chi t'ha egli concio a codesto mo'? Dice il Mattarugiolo: - I' son ito, come tu mi dicesti, a veglia dalle ragazze 'n fondo alla via, e loro m'hanno legnato. Dice 'l Savio: - Ma come? In che mo' ti sie' diportato con loro? - Guà! - arrisponde il Mattarugiolo, - i' gli ho tiro nel grugno dell'occhiate di capra. - Come dell'occhiate di capra? - scramò 'l Savio. - Guà! - dice il Mattarugiolo, - i' ho levo gli occhi alle capre e me ne son pienato una tascata, e a quelle ragazze i' gliegli ho butti 'n faccia. Nun lo dicesti te, ch'i' gli avevo a tirar dell'occhiate? Scramò 'l Savio incattivito: - Oh! birbone, allocco, insenza mitidio! Tu ha' guasto le capre? Te sie' la rovina di questa casa. Sorti di qui, bue, o tu ne buschi daccapo. Passano de' giorni e 'l Savio dovett'ire al mercato per le su' faccende. Dice 'l Savio: - Pròvati a aver giudizio, e provvedi alla casa, se ti rinusce. Quando il Mattarugiolo fu solo, deccoti si sente per la strada un pentolaio: - Pentolaio, donne! Tegami, donne! Chi l'ha rotta la pentola, donne? Pentolini, bastardelle, chi ne vole? A quel bocìo s'affaccia il Mattarugiolo alla finestra: - Ohé! galantomo, aspettate. Scende in sulla porta e dice: - Quanto volete di tutto il cacciucco! - Arrisponde il pentolaio: - Eh! il corbello pieno costerà dieci paoli. Che vi garba comperare ugni cosa? - Sì, - dice il Mattarugiolo, - perché bisogna ch'i' provvegga alla casa. E 'nsenz'altri discorsi sale il Mattarugiolo in cammera e dalla cassa piglia una muneta di dieci paoli, che c'era dientro, e poi la dà al pentolaio come valsente del su' corbello di cocci; doppo acciaccinato si mette a addesargli tutti 'n fila nella cucina. Deccoti torna 'l Savio dal mercato e vede lì quella mercanzia: pareva una bottega. Dice: - Chi gli ha porti tutti questi cocci? - Guà! - arrisponde il Mattarugiolo, - i' gli ho compri io per provvedere alla casa. Addimanda 'l Savio: - E chi t'ha egli dato i quattrini? Dice il Mattarugiolo: - Guà! i' gli ho presi dalla cassa. I' ho preso quel coso tondo luccichente che c'era dientro. Il Savio stiede 'n sull'undici once di picchiarlo a bono il Mattarugiolo, quando sentette quella brutta [300] notizia. - Oh! poero me! - scrama. - I' nun avevo che quella moneta d'avanzo! Si vede propio che te mi vo' rovinar con le tu' mattìe, Doppo del tempo al Savio gli bisognò dilontanarsi da casa e 'gli era verno, sicché prima d'andarsene chiama il Mattarugiolo e gli fa una bella predica: - Bada! nun fare al solito. Tieni la testa con teco e guarda la casa. Abbi 'l tu' pensieri alla mamma, poera donna! Lei è vecchia e patisce freddo. Dunque arriscaldala, custodiscila, e che non gli manchi nulla. Ha' tu 'nteso? Nun esser tanto allocco. - Nun ti dubitare, - disse il Mattarugiolo, - che alla mamma ci penso io. Quando dunque 'l Savio se ne fu ito via, il Mattarugiolo s'accorgette che la su' mamma sbatteva i denti dal gran freddo che lei aveva. Lo credo, guà! faceva in que' giorni un asprore che 'l vino diacciava ne' bicchieri. - Mamma! - dice 'l Mattarugiolo, - vo' ate freddo, i' lo veggo. Ma aspettate un po' ch'i' vi scaldo subbito ben bene. Piglia delle fascine 'l Mattarugiolo e arroventisce il forno, poi ci accomida dientro una sieda e ci mette lì accoccolata per forza quella poera sciaurata di vecchia, sicché in un attimo 'gli era stecchita e mostrava tutti i denti: ma 'l Mattarugiolo allegro sbatteva le mane: - Vo' ridete, eh! mamma. Che bel caldo che c'è costì, nun è egli vero? Vi garb'egli il mi' trovato? In quel mentre, deccoti arritorna 'l Savio: - Addov'è la mamma? Che n'ha' tu fatto? L'ha' tu custodita e scaldata com'i' ti dissi? - Eccome! - dice il Mattarugiolo. - Vieni a vedi s'i' ho ubbidito a tu' mo' E 'n quel frattempo te lo mena dinanzi al forno. A quello spettacolo il Savio mancò poco che nun cascassi morto per le terre dal gran dispiacere; dapprima rimanette come ismemoriato, e poi a un tratto scramò: - Oh! assassino, mammalucco, imbecille! Tu ha' morto tu' madre! E lì a urlare e a strapparsi i capelli per la disperazione; poi, datosi un picchio in nel capo, disse: - Ma no, l'imbecille son io, ch'i' t'ho lasso la mamma a custodire; la colpa 'gli è tutta mia. Ma qui nun ci si pole più stare. Se la giustizia scopre questo delitto, ci fanno tagliar la testa a tutt'addua insenza misericordia. Via, via! bisogna fuggir lontano e lesti. Mattarugiolo, smòviti; piglia l'uscio e vienimi rieto. Il Mattarugiolo, mezzo sbalordito da quegli urli e da [ 301] quelle sgridate, più giucco che mai leva 'n faria le 'mposte dell'uscio da' gangheri, se le butta 'n ispalla e corri ch'i' ti corro in su' passi del fratello. Camminato che ebbano un pezzo, s'era fatto notte scura in mezzo a una macchia, sicché 'l Savio si fermò e nel voltarsi vedde il Mattarugiolo con quell'imposte addosso: - Oh! poero a me! - scrama. - Propio tu nun ne fa' una a garbo! Dice il Mattarugiolo: - Tu nun me l'ha' detto te, "piglia l'uscio e vienimi rieto"? - Sì ch'i' te l'ho detto, - arrisponde il Savio; - ma ho volsuto dire, nusci di casa, allocco! In quel mentre però che loro contrastavano si sente a un tratto de' rumori e delle voci, e 'l Savio 'mpaurito dice più piano: - Zitto! ci son gli assassini. Su su, montiamo 'n vetta a questa quercia e niscondiamoci, insennonò ci ammazzano. Subbito lui s'arrampica per il tronco e s'accomida alla meglio tra' rami in nel folto del fogliame; il Mattarugiolo gli andette rieto e si portò con seco anco le du' imposte. Figuratevi che fatica! Deccoti doppo un po' gli assassini appariscono, che sarà stato in verso la mezzanotte, accesan de' lumi, stesano una tovaglia e lì prima ci contorno dimolti quattrini rubbati, e da ultimo si mettiedano a mangiare e a bere, perché gli avevan posto ne' sacchi e ne' pianeri d'ugni cosa, prosciutti, salami, fiaschi di bon vino, e insomma d'ugni ben di Dio. In su 'l più bello che quelli ringongheggiavano a bono, dice il Mattarugiolo al Savio: - Mi scappa da pisciare. - Nun la fare, sai! - dice 'l Savio sottovoce. - Nun la fare, ché se gli assassini ci scoprono, no' siem morti. Ma il Mattarugiolo nun gli diede retta: - I' nun posso tienerla. Mi scappa. E giù, la lassa andare. Gli assassini, che stevan sotto alla quercia, in nel sentirsi tutti ammollare, si rivoltorno 'n su per vedere quel che era. Dice il capo-ladro: - Dicerto, dientro a' rami c'è qualche uccellaccio. Ma domani a levata di sole i' lo pago io con una trombonata. E si rimettono a mangiare. Di lì a un po' dice il Mattarugiolo: - Savio, i' nun la tiengo, la mi scappa. I' ho voglia di cacare. - Ma che propio sie' scemo insenza rimedio? - gli sussurrò il Savio. - Nun la fare, sai! ché ci scannano di sicuro. Il Mattarugiolo però nun gli diede punta retta, si calò i calzoni e giù. Ma 'l capo-ladro disse a' su' compagni, che principiavano a [302] scommoversi: - Nun vi confondete: 'gli è quel medesimo uccellaccio che fa queste porcherìe. Ma domani a male brighe giorno tu l'arai il tu' avere! Una botta e finita. E seguitano la cena. Tutto a un tratto dice il Mattarugiolo: - I' nun le reggo più! Le mi scappan dalle mani! Ènno troppo pese! E nun badando punto alle disperazioni del Savio, dà la via alle 'inposte dell'uscio, che ruzzolorno a precipizio a traverso le rame della quercia. A quel fracascìo repentino gli assassini s'arrizzorno spauriti, concredendo che la quercia gli cascass'in sul capo, e telorno più presto del vento dibandonando lì per le terre quattrini e robbe. Quando al Savio lo spavento gli fu passato, che già il sole vieniva fora, scese dalla quercia per vedere quel che era successo. Dimolti fiaschi di vino quelle 'mposte gli avevano tutti rotti in tricioli, ma il resto era sano, sicché tra lui e il Mattarugiolo radunorno nella tovaglia il mangiare, il bere e i quattrini, e con il carico addosso ripresan la strada per tornarsene a casa. Addove arrivi, a quel modo ricchi nun patirno più la fame, comprorno de' poderi, e se la godettano allegri e contenti a quel Dio.