Sessanta novelle popolari montalesi/XXXVI
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NOVELLA XXXVI
- Fiorindo e Chiara Stella
(Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)
Un Re 'gli andeva ugni sempre a caccia, e una volta in nel girar per la campagna s'imbattette con un contadino, che dientro a una selva strolagava di notte le stelle. Dice il Re: - Ohé! che fate vo' costì? - Strolago le stelle. - Per farne che? Vo' nun potete esser capace. Dice il contadino: - Per codesto, capace i' sono, e fo la strologazione, perch'i' hoe la moglie soprapparto, e lei m'ha da parturire un bambino e le stelle prognosticano che lui sarà il Re di Spagna. A un simile discorso il Re si sturbò; lui 'gli era appunto il Re di Spagna in persona, e figlioli masti e' nun n'aveva per su' legittimi eredi; stiede zitto tavìa e in iscambio gli disse a quel contadino: - Gli farò da padrino, se vo' siete contento, alla vostra creatura. Voi nun ve n'arete a pentire. - Oh! faccia lei, se si vole incomidare. Vienga pure a casa con meco, - arrispose il contadino. Nentrava dunque in nella casa del contadino e già la donna aveva parturito un bel mastio, sicché gli si messan tutti d'attorno per ammannirlo alla cirimonia del comparatico, e fatto che gli ebbano ugni cosa, come costuma in simili casi, il Re disse: - Questo figliolo lo voglio io; me l'avete a dare: perché se lui deve esser Re, bisogna che sia aducato per quel mestieri, e voialtri per questo nun potete esser capaci. Io de' figlioli nun n'ho, e tierrò questo per mi' figliolo legittimo. Si sa, gli omini tacciono e le donne discorron di più; il contadino 'gli steva zitto, e nun opponeva difficoltà; ma la su' moglie in scambio si lamentava che gli volessan portar via la creatura a male [304] brighe nata. In ugni mo' poi, doppo un pezzo, di' e ridi', anco lei si persuade, e il Re con quel bambino rifasciato, lassata una bona mancia a' su' genitori, se n'andiede assieme al su' servitore che per insino a lì l'aveva accompagno; ma quando gli arrivorono in mezzo a un bosco folto, addove c'era il mare vicino, disse il Re al servitore: - To', piglia questo coltello e ammazzalo codesto bambino e po' buttalo 'n mare. I' t'aspetto all'osteria e 'ntendo che te mi porti il fegato della creatura morta, perché i' me lo vo' mangiare. Il servitore rimanette nel bosco, e doppo che il Re si fu dilontanato, badava a dire fra sé e sé: - Guà! che be' modi! Rubbare i bambini degli altri per poi ammazzargli. E bisognerà ch'i' l'ammazzi per ubbidienza questo innocente; che s'i' nun gli porto il fegato al padrone, la mi' testa chi me la salva? Alzò dunque il coltello e menò un colpo nel collo della creatura; ma in quel mentre che gli tirava, decco gli comparisce intra i piedi al servitore un agnello, sicché subbito trattiense la mana e pensò di cavare il fegato alla bestia, e il bambino lassarlo nel bosco, ferito a quel mo', e raccomandato alla bontà di Dio; e accosì fece. Vienuto doppo alla presenzia del Re nell'osteria, gli diede a intendere, che lui il bambino l'aveva morto e butto nell'acqua del mare, e per prova gli profferse il fegato. Il Re a quella vista godé insino 'n fondo al core; prese quel fegato, che lui credeva fusse della creatura, e se lo mangiò tutto con gran rabbia, e scramava: - In sul mi' trono tu nun ce lo barbi 'l culo! Ma che vadia pure il Re a casa sua allegro e matto per la contentezza di quell'orrendo delitto! Tanto, quel che si scrive 'n cielo nun si scansa, e 'l su' destino a chi tocca, tocca, e rinusce ugni sempre a quel mo', come il Signore Iddio ha decretato. Torniamo dunque a quella creatura sciaurata lì a diacere dientro un cesto di stipa nel bosco e con la piaga sanguinante nel collo; la piaga imperò non era mortale, perché poi rinsanichì e gli lassò soltanto una ciprigna, che si sentiva a toccarla con le dita. La mattina doppo a levata del sole un signore di quelle parti girandolava a caccia co' su' cani, e quando i cani arrivorono al cesto di stipa, addove il bambino 'gli era stato messo dal servitore, deccoti principiorno a scagnare che pareva il finimondo. Il padrone corre là subbito, concredendo che vi [ 305] fosse la liepre al covo, e vede in scambio la creatura che ugnolava dalla fame: - Oh! - scrama, - Iddio e' m'ha provvisto! Appunto i' nun ho figlioli, e anco la mi' moglie sarà contenta di tienersi questo poero dibandonato per suo. Lo piglia dunque pian piano in nelle su' braccia e lo porta con seco a casa, e l'allegrezza di questo caso nun si pole ridire. Quelle du' bone persone l'allevorno la creatura per su' figliolo, sicché diviense grande e vegeto, e loro lo feciano 'struire da de' maestri 'sperti nel leggere e nello scrivere, e gli posan nome Fiorindo; e Fiorindo cresceva a vista d'occhio robusto e virtudioso, che era propio una meraviglia. Aveva Fiorindo in su' i tredici anni e assieme agli altri ragazzi del vicinato si divertiva a ruzzare; un giorno che giocavano a nocino lui perdette per il valsente d'otto quattrini, ma questi otto quattrini per le tasche nun ce gli aveva. Dice a' compagni: - I' vi pagherò domani. - Che! no' si voglion ora, - gli dissan quegli. Dice lui: - Ma con meco i' nun ce gli ho. Lassatem'ire a casa a chiedergli al babbo e alla mamma; loro son ricchi, sapete, e domani i' ve gli porto gli otto quattrini. - Dal babbo e dalla mamma? - arrisposan que' monelli sbeffeggiandolo. - Poero grullo! Nun son mica il tu' babbo e la tu' mamma que' signori che t'hanno rallevo 'n casa. - Come? Che discorsi fate voi? - scramò Fiorindo. Dicon loro: - Eh! dicerto. Ti trovorno in un bosco, lì dibandonato dientro un cesto di stipa con una piaga di coltello in nel collo, e se tu ti tasti e' tu ci trovi tavìa la ciprigna. A simili nove Fiorindo rimanette isbalordito e corre a casa, e volse sapere in che mo' le stevan le cose; e prega e riprega, finalmente gli palesorono tutta la verità. Dice Fiorindo: - Allora, s'i' nun son vostro figliolo vero, i' me ne vo' ire. I' vi ringrazio di tutto 'l bene che vo' m'avete fatto sino a qui, ma i' sono un bastardo e con voi nun ci vo' stare. - Ma senti! per noi te sie 'nostro figliolo. Nun se n'ha altri. Ti si darà quel che tu vòi, ma nun ci lassare disperati e solingoli accosì, - badavano a dirgli que' signori piagnendo. Fiorindo però nun si smosse dal su' pensieri e' n tutti i modi volse che lo riaccompagnasseno in nel bosco, addove l'avevan trovo, e non ci fu versi di persuaderlo del contrario, sicché bisognò bene che que' du' sventurati lo contentassino. [306] Solo lì 'n mezzo al bosco Fiorindo pensava da che parte potessi andare e principiò a fare i passi a caso, e cammina cammina, gli eran vicine le ventiquattro, e di già la stracchezza e la fame gli davano alle gambe; finalmente arrivò a un cancello d'un giardino, che dientro c'era un giardinieri a innaffiare le piante e i fiori, e il giardinieri in nel voltar gli occhi vedde quel ragazzo fermo e con la cera patita. Disse: - Chi siei? Che vo' tu? Arrisponde Fiorindo: - I' sono un poero ragazzo insenza mamma e insenza babbo, e sono stracco morto dal girare e i' ho fame. Che mi piglieressi costì in nel giardino a aitarvi? I' mi contento del mangiare. Al giardinieri gli era garbato dimolto il giovanotto soltanto a vederlo, sicché gli arrispose: - Vieni pure, qui da mangiare nun ce ne manca. Figurati! Il giardino 'gli è del Re di Spagna e i' sono al su' servizio. Accosì Fiorindo nentrò per garzone dal giardinieri del Re. In quel mentre dunque che Fiorindo abitava con quel giardinieri, il Re spesso 'gli andeva a spasseggiare per il giardino, e nell'imbattersi con Fiorindo si vedeva bene che il giovanotto gli garbava. Guà! e' s'addanno le persone che sempre garbano e incontrano! E po' qui 'gli era un destino. Sicché un giorno disse il Re a Fiorindo: - I' ti voglio con meco per camberieri. A Fiorindo nun gli parse vero, fu presto d'accordo e l'alloggiorno dientro proprio al Palazzo reale, vestiva Sua Maestà e steva ugni sempre al su' lato. Ma ora bisogna sapere, che, siccome i' ho già detto, questo Re de' figlioli masti nun n'aveva, bensì una figliola di tredici anni e che si chiamava Chiara Stella; una bellezza da nun si credere, manierata, gentilina, con una faccia di sole, sempre piena d'allegria. Vo' capite quel che 'gli accadette; i giovani 'gli è troppo facile che s'innamorino al solo vedersi, massime poi se s'intendono tra di loro. Fiorindo preparava tutte le mattine un mazzettino con un po' di geranio, un po' di dittamo, delle rose, delle viole ammammole, e che so io, e quando Chiara Stella sortiva per il giardino in compagnia della camberiera, lui glielo deva; discorsi infra di loro nun ne feciano, ma con gli occhi parlavan più meglio che con la bocca; insomma, finirno col volersi un ben dell'anima, e lutti se n'erano accorti all'infora del Re. Già, i babbi e i mariti campati sempre in sul fidati, [ 307] e però ènno ciechi a bono. Ma in nelle Corti degl'invidiosi ce n'è a dovizia, e tutti gli altri servitori gli astiavano all'arrabbiata Fiorindo, perché il Re se lo tieneva ugni mumento d'attorno e si confidava con lui su' tutte le cose. Cominciorno dunque a fargli la spia, e a riportare al Re che Fiorindo s'ardiva di fare all'amore con la Principessa su' figliola. - Che! - arrispondeva quel Re mammalucco. - Questo poi nun lo posso credere, che la mi' figliola sia tanto isciaurata da mettersi a discorrere con un camberieri. Ma la badaron tanto quegli astiosi Chiara Stella, che una sera la fecian trovare assieme con Fiorindo in nel mentre che loro, insenza sospetto, parlavano alla ristretta. A quella vista il Re impermalito che lo tradissano in salla su' fede, subbito pensò al gastigo, e diede ordine che Chiara Stella fusse dilontanata dal palazzo e mandata dal fratello del Re, che pur lui era Re del Portogallo, e gli scrisse che si compiacessi di tienerla ben custodita. Sì, sì, tienetegli anco 'n prigione sotto terra gl'innamorati, che tanto loro il modo di darsi le novità e' lo trovano! Cominciorono dunque a scriversi tra Fiorindo e Chiara Stella, ma una di queste lettere capitò in nelle mani d'un servitore che la diede al Re. Dice il Re: - 'Gli è una lettera di Chiara Stella! - e gli viense a lui tanta rabbia, che l'amore per Fiorindo e' lo trasmutò in barbarità. Lo fa chiamare e gli dà una lettera sigillata da portarla al Re del Portogallo, e c'era dientro scritto, che 'l currieri dovess'essere impiccato nella settimana. Oh! badate la bella sorte degl'innamorati! Fiorindo arriva alla città del Re del Portogallo, e' ncontra appunto Chiara Stella che in certi chiostri spasseggiava con la su' guardiana. Quando si veddano, che feste che allegrie! Fiorindo gli sporse la lettera di su' padre, ma Chiara Stella n'ebbe sospetto, e insenza cancugnare l'aperse e ci legge quella po' po' di birbonata. Figuratevi, che pena! Imperò il giudizio nun lo perdiede. Lei scriveva come su' padre, sicché strappò quella brutta lettera e ne scrisse un'altra, in dove ci diceva: "La mi' brama è di sposare Chiara Stella a un valoroso cavaglieri. Fatela tra una settimana giocare alla giostra, e chi la vince sia sua." A male brighe che il Re del Portogallo gli ebbe in nelle mane questa lettera falsa, subbito bandì la giostra per tutto il Regno, e ci corsano baroni e cavaglieli di [308] cartello. In quel mentre Chiara Stella fece che Fiorindo anco lui addimandasse di giocare la giostra; ma al primo combattimento nun ce lo volsano, perché dissano che nun era cavaglieri di nascita; sicché dunque Chiara Stella, con uno de' su' gioielli, perché lei era figliola di Re, lo nominò cavaglieri e lo mandò alla giostra; e ci si diportò tanto bene e da virtudioso, che vincette tutti e bisognò dargli per isposa Chiara Stella. E' gli eran lì per fare le nozze, quando comparse un corrieri con una lettera crociata di nero, e ci diceva, che il Re di Spagna 'gli era morto e che su' erede alla corona chiamavano Chiara Stella. Che bella combinazione! Tanto, quel che è scritto lassù mio si scancella, nun c'è modo di scansarlo! E le stelle dissano il vero, perché Fiorindo diviense Re di Spagna.
Fiorindo e Chiara Stella! Chi vuol la libertà, vadia per ella.