Sessanta novelle popolari montalesi/XXXIV
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NOVELLA XXXIV
La Scatola che bastona (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)
Ci fu una volta un contadino che nun aveva punta voglia di lavorare; 'gli era propio un briganzone scioperato e carico di figlioli; n'avea sei, figuratevi! E fortuna che il padrone addove lui stava a podere gli voleva piuttosto bene, sicché col fattore, che per ordine del padrone gli deva il campamento, il contadino chiedi oggi, chiedi domani, ci aveva fatto un gran debito, un debito di trecento scudi; ma alla fine il fattore gli disse: - Mi pare assai. Io della robba nun ve ne do più. Dice il contadino: - Guà! si morirà tutti di fame, se lei nun ci soccorre. Arrispose il fattore: - Lavorate. Che v'ho a campar sempre a ufo? E 'gli è inutile che vo' corrite dal padrone; tanto anco lui 'gli è del mi' medesimo sentimento. Quest'anno nun avete nemmanco seminato il podere. Il contadino quando sentiede la ramanzina, scambio di mettersi in sulla fatica, pensò meglio d'andarsene fora a cercar di pane; e chi gli faceva la carità lo trovò. Ma lui il pane se lo mangiava tutto per sé insenza darne un briciolo a' su' figlioli, che, poverini! sbasivano dall'appetito. Il padrone che da tanto tempo nun vedeva più il su' contadino, perché lui ci si divertiva, va dal fattore per sapere addove quello s'era fitto: - Che n'è egli di Giorgio? Dice il fattore: - I' l'ho rimbrontolato, perché lui nun lavorava il podere e nun era bravo a altro che a far de' debiti. Sa ella? e' n'ha con meco uno di trecento scudi! E lui, siccome nun gli bo volsuto dar più robba a griccia per il campamento, se ne ito fora a cercar di pane e nun è anco ritorno. I su' figlioli son là che [294] ugnolano dallo stento. Dice il padrone: - Nun mi garba il vostro operato. Badate di ricercarlo il mi' Giorgio, e a' su' figlioli dategli da mangiare. Giorgio infrattanto in nel girandolare per quelle campagne 'gli era arrivo a una villa; picchia e domanda la limosina d'un po' di pane, e viense la signora del posto che gli domandò dell'essere suo. Giorgio, insenza vergogna, gli arraccontò chi era e che della voglia di lavorare lui nun n'aveva punta, ma gli sarebbe garbata dimolto la vita del signore. Dice la signora: - Tu mi vai a genio, guarda! e sono intenzionata d'aitarti. Sali su con meco e ti farò un bel regalo, e se te avrà' giudizio, per fare il signore a tu' piacimento nun ti mancherà propio nulla. Giorgio credeva che la signora volessi regalargli un sacchetto di monete, ma lei in scambio gli diede una bella scatola serrata, e gli disse: - Tieni: quando ti bisogna qualunque cosa, batti con le nocca delle dita sul coperchio di questa scatola e lei si aprirà, e te sentirai una voce che dice: "Comandi!" e appariranno du' omini pronti a servirti. Chiedigli a loro tutto, perché loro ti porteranno tutto quello che vòi. La scatola Giorgio la pigliò, ma gli parse una burla, e con quella sotto il braccio riviense a casa sua, addove i su' figlioli gli corsano incontro urlando: - Babbo, s'ha fame, s'ha fame! Dateci qualcosa da mangiare. Dice Giorgio: - Aspettate un po'. Una signora m'ha dato un arnese, e deccolo qui, che 'gli è propio bono per contentarci d'ugni cosa. Lassatemelo provare. Mette dunque la scatola in sul tavolino e ci picchia sopra con le nocche delle dita, e subbito si sente una voce: - Comandi! - e sguiscian fora du' omoni, ma grandi spropositati, che parevano du' servitori. Dice Giorgio, doppo che si fu rimettuto dalla prima paura: - I' comando che ammannite un bel desinare. In un mumento la tavola viense apparecchiata; vino, pan di panetto, pietanze d'ugni sorta, frutta e pasticci, ce n'era d'avanzo: insomma, una tavola da Re. Giorgio e i su' figlioli nun mangiorno, che! diluviorno; dientro il corpo nun gli ci rientrava più nulla; e doppo le frutta, beverno anco il caffè col su' rumme miscolato. Con questa vita, lo credo! diventorno tutti 'n pochi giorni grassi e tondi come tanti maiali, e allora sì che stavano 'n panciolle a far l'arte di Michelazzo! [ 295] Il fattore, in nel vedere Giorgio e la su' famiglia a quel modo rinsignoriti, nun sapeva in dove sbatter la testa per cognoscere il ricavo di tante ma' ricchezze; li desinari, li cene, li mobili lussuosi, li vestuari puliti d'ugni sorta. Dice: - Com'è egli ita, Giorgio, questa faccenda? Arrisponde lui: - Eh! ho trovo il tesoro. Ora i' me ne 'nfistio di lavorare, e che vo' mi diate il campamento nun me ne importa più nulla. Dice il fattore: - Ma si pole vedere questo tesoro che tu ha' trovo? - Sicuro, che si pole vedere! - scramò Giorgio. - Deccolo qui dientro in questa scatola. Basta ch'i' chieda e i' son servito di tutto punto. - Tu sie' matto! - disse il fattore. - Te mi vo' dare a intendere delle buscherate. Dice Giorgio: - Che! i' nun son matto: matto siete voi che nun credete nemmanco a' vostr'occhi. Ma i' v'invito voi e il padrone per domani a vienire a desinare da me; vo' resterete contenti, nun vi dubitate. Anco il padrone 'gli era incuriosito di questa novità, e però assiem con il fattore andette il giorno doppo a casa del su' contadino per istarci a desinare: ma all'ora solita che si mangia nun si vedeva nulla ammannito; in cucina spento il foco, la tavola insenza tovaglia e insenz'apparecchio, di pietanze e di vino nemmanco l'ombra; sicché il padrone cominciava a bufonchiare che il contadino avessi volsuto canzonarlo; il contadino però a grugno tosto nun se n'addeva, e quando gli parse picchiò le nocche delle dita sul coperchio della su' scatola e subbito la voce disse: - Comandi! - e apparirno i du' omoni. Scrama il padrone: - Ohé! Giorgio, che te ha' messo su servitori? Nun s'ha da andar tanto per le lunghe; Giorgio gli diede al padrone e al fattore un desinare isbalorditoio, che se non creporno dal troppo mangiare e bere, vole dire che propio loro aveano il buzzo lastico. Quando furno al caffè, che nun bastò per levargli i fumi del vino, dice il padrone: - Vedi, Giorgio: questa scatola me la poteresti regalare o almanco vendere. Mi farebbe comido. Del bene te sai quanto i' te n'ho fatto ne' tempi passi e quanto i' te n'ho volsuto; e però sarebbe giusto che te mi ricompensassi con questa scatola. E poi te nun ci perdi niente; te la po' sempre addoperare a tu' piacimento, e 'n casa mia sarà più meglio custodita. Giorgio dapprima stiede forte in sul no, ma tra fattore e padrone lo 'mbrogliorno tanto, [296] che finalmente gli rinuscì cavargliela dalle mane la scatola, e lui gliela vendette al padrone in iscambio del su' debito di trecento scudi e del podere, e con patto espresso che gli fusse 'mprestata tutte le volte che lui n'aveva di bisogno. Poero allocco!
Chi del suo si dispotesta, Gli andrebbe dato un maglio in sulla testa.
A Giorgio nun ci fu versi di rivederla mai la scatola, e siccome lui della voglia di lavorare nun n'aveva e i su' figlioli gli eran male avvezzi, abbeneché il podere fosse divento suo, in pochi mesi arritornò più pitocco di prima e pieno di debiti 'nsino a' capelli, e per campare gli conviense richiedere daccapo la limosina. Deccotelo dunque Giorgio a girandolare per quelle campagne, e un giorno fece capo alla villa di quella signora che gli aveva regalo la scatola. Quando lei lo vedde a quel mo' straccio, subbito gli domandò: - Che n'ha' tu fatta della mi' scatola? Giorgio si mettiede a raccontargli quel che era successo per filo e per segno, e che il padrone nun gli tieneva la parola di prestargli la scatola tutte le volte che lui n'aveva bisogno. Dice la signora: - Il tu' merito sarebbe ch'i' ti mandassi via come un cane, perché te nun sapesti fare l'obbligo tuo e custodire a dovere il mi' regalo; in ugni mo', per questa volta ti perdono, e ti darò un'altra scatola. Ma bada, questa non la battere colle nocche in sul coperchio, ma va' a casa del padrone e cerca di barattargliela con la tu' prima e che lui non si accorga dello scambio. Deccola qui; 'gli è di fora simile a quell'altra. Giorgio ringraziò per bene la bona signora e doppo se n'andiede diviato dal su' padrone, e con delle scuse lui tanto almanaccò, che gli rinuscì il baratto di niscosto e il su' padrone nun s'accorgette propio di nulla; poi riviense a casa con la su' scatola ricuperata, fece i su' fagotti e assieme a' figlioli fuggì tanto lontano, che di lui nun ne seppano più né puzzo né bruciaticcio. Infrattanto il padrone per una gran festa volse fare un invito di signore e signori, d'amichi e cognoscenti, e con l'idea di sbalordirgli con una sorpresa da ricavarci un onore smenso. Al giorno fissato la gente pianava tutta la casa del padrone; ma [ 297] sona mezzodì, sona il tocco, sonan le due, nun si vedeva nimo a ammannire la mensa, e tutti quasimente si struggevano dalla fame. - Ma che sia un celia? - dicevano infra di loro quelle persone, e il padrone in un canto se la rideva, perché lui sapeva che la scatola miracolosa poteva in un momento apparecchiare da Re. Quando gli parse il tempo, il padrone sbatté le nocche delle dita in sul coperchio della scatola; ma in scambio della solita voce: "Comandi!" sbucorno fora du' ominacci con un bastone per uno che cominciorno a menar giù a refe nero; chi si sbatacchiava di qui, chi si sbatacchiava di là, le signore con le gambe all'eria, tutti macoli e pesti, e urli che pareva il giorno del giudizio; il padrone n'ebbe più di tutti e il fracascìo delle botte nun ismesse insin che a lui nun gli viense in capo di riserrare la scatola con una manata. Figuratevi, se doppo quella gente 'gli era più morta che viva! E' l'ebbano il bel desinare! e al padrone gli toccò anco di be' rimbrontoli e maladizioni; sicché lui che capì subbito d'addove gli vieniva il malanno, corse infurito alla casa di Giorgio per far le su' vendette. Sì! 'gli era più lì Giorgio a aspettarlo! Gli conviense tienersi le busse e la vergogna, e ripentirsi troppo tardi del su' mal operato.