Sessanta novelle popolari montalesi/XLVII
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NOVELLA XLVII
I cinque Ladri (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)
C'era un paese tutto pieno d'artieri, e in una casa ci abitavano sole tre ragazze sarte, ma belle, e nun avevan nissuno, né babbo, né mamma, né fratelli; il campamento loro lo cavavano dal su' lavoro, ugni sempre lì accannite con le forbici e con l'ago. Nun erano ricche queste tre ragazze, ma nemmanco povere, e si chiamavano accosì: la prima Tieresa, la mezzana Assunta e la più piccola Caterina. Un giorno che loro stavano 'n sulla terrazza a cucire viense a passar di sotto per la strada un bel giovanotto, ben vestito com'un gran signore, e si mettiede a discorrire, a dimandargli quel che facevano, e 'nsomma finì a forza di chiacchiere col nentrare 'n casa; e tutti e' giorni questo giovanotto ritornava alla medesim'ora a conversazione 'n sulla terrazza. Dice: - I' son ricco, sapete; a me nun mi manca nulla; de' quattrini e' n'ho a palate; mi manca soltanto di prender moglie per nun arritrovarmi sempre solo. Decco, se una di voialtre fusse contenta di diventare mi' legittima sposa, i la menerei con meco e nun avrebbe più bisogno di lavorare. Arrisposan le ragazze: - Ma che gli pare a lei! No' siemo avvezze a campare 'n sulle braccia; s'ha il mestieri e nun ci si merita questa degnazione. Nun ci si rinuscirebbe a far da signora. Dice il giovanotto: - Ma se a me mi garbate, voi a questo nun ci avete a pensare. 'Gnamo! Chi vol esser la mi' sposa? Decidetevi 'n tra di voi, e domani i' viengo per la risposta. Il mi' nome è Tonino. Dunque, il giorno doppo, compari sce [387] Tonino daccapo a sentire l'idea delle ragazze e seppe che d'accordo loro avevan concluso, che la maggiore fusse la trascelta per il matrimonio; sicché fissato lo sposalizio, passata che fu una settimana per ammannire il corredo della Tieresa, la mattina arriva Tonino 'n carrozza assieme a quattr'altri su' fratelli minori, con vestuari da festa, catene d'oro, anelli pieni di pietre preziose e il cappello a banda 'n sul cocuzzolo del capo, e finita la cirimonia, loro fecian montare la Tieresa in nella vettura, e detto addio alle du' sorelle, se n'andorno per il su' destino. Cammina cammina, pareva che la strada per arrivare all'abitazione di Tonino fusse dimolto lunga; ma quando cominciò a farsi buio, la carrozza si mettiede per un bosco folto, e a un tratto disse Tonino alla Tieresa: - Lo sa' te chi son io? Dice la Tieresa: - Sicuro che lo so. Vo' siete Tonino, il mi' sposo. Dice Tonino: - Eh! per questo 'gli è giusto. Ma i sono un capo-ladro, e i mi' fratelli èn tutti ladri, e no' si va a rubbare e assassinare tutte le sere. - Oh! birboni! - scrama la Tieresa. - Rimenatemi a casa mia. Nun ci vo' vienire con voi. Vo' m'avete tradito. Dice Tonino: - Eh! ora te ci siei e bisogna che te ci stia; e bada di portarti bene e di far l'ubbidienza, se ti preme la tu' vita. Figuratevi le disperazioni di quella poera donna! Ma nun c'era più rimedio. Doppo del tempo la carrozza si fermò a una casetta 'n mezzo alla macchia, e quella 'gli era la casetta degli assassini; scesano e la Tieresa la messan dientro, e Tonino gli disse: - L'obbligo tuo è di tienere il quartieri ravviato, di farci da mangiare, e badare che ugni cosa sia ben addesata per le stanze. Nun c'è da dormire. La notte no' si va fora, e te devi serrar la porta, e a male brighe si ritorna subbito aprirla. E nun ci fare aspettare, insennonò, poer'a te. C'è poi un vecchio, nostro cognoscente, che ugni tanto porta una cesta di cotone. Nun lo pigliare se nun è di bona qualità; e te con questo cotone tu ha' da rinvoltare la nostre gioie, che ènno per gli armadi e i cassettoni. Nun ti smenticare di nulla. Per la prima e la seconda notte le cose camminorno per il su' verso e la Tieresa fu sempre pronta a aprir l'uscio, quando gli assassini arritornavano a casa carichi di robba rubbata; ma la terza notte, stracca [388] morta dalle fatiche e dal gran piagnere, la Tieresa s'addormì com'un pioppo, sicché que' birboni gli ebbano a sbatacchiar l'uscio e a sbergolare per un pezzo prima che lei si scionnassi per fargli nentrare. Che ti vo' vedere! Il Capo-ladro 'nviperito la voleva di riffa subbito scannare la su' moglie; ma per quel momento gli rinuscì al più piccino de' fratelli d'abbonirlo. Innunnistante, doppo tre o quattr'altre sere, siccome la Tieresa si riappioppò daccapo, il Capo-ladro, insenza tanti discorsi, co' una coltellata la distese morta per le terre, e po' la buttò in nella stanza degli ammazzati. Dice il più piccino: - E ora, che si fa egli? S'era trovo una donna per le faccende di casa e per aprirci il uscio la notte, e te per la tu' rabbia l'ha' finita. Deccoci un'altra volta soli. - Eh! lo so io il ripiego, - arrispose Tonino. - I' vo a pigliare la mezzana e la meno con meco diviato. Difatto Tonino la mattina 'n carrozza 'gli arriva alla casa delle ragazze, che gli feciano una grand'accoglienza: - Che fa la Tieresa? Sta bene, è contenta, è allegra? Dice Tonino: - Altro se lei è contenta! Anzi vole la compagnia dell'Assunta per aitarla. Lei ha dimolte faccende; siemo 'n cinque a esser serviti, e ora, siccome c'è la festa, sta lì accanita a ammannire ugni cosa. Dunque vienite, perché lei v'aspetta a grolia. Con questo 'nganno l'Assunta fu persuasa, e preso le su' robbe e detto addio alla Caterina, ascendere in nella vettura con Tonino, e via; ma quando fu al solito bosco, gli disse Tonino: - Te lo sai ch'i' son io? Dice l'Assunta: - Senti che domanda? Vo' siete il mi' cognato, che mi mena dalla mi' sorella Tieresa vostra moglie. Dice Tonino: - E' pol anco essere. Ma i' sono un capo-ladro, e ladri ènno tutti que' mi' quattro fratelli che stanno con meco. E abbi giudizio, che insennonò ti tocca a te pure la sorte della Tieresa, se te nun m'ubbidisci. La Tieresa i' l'ho morta. A questa nova l'Assunta principiò a urlare e piagnere, e voleva in ugni mo' arritornare a casa sua; ma fu inutile, perché Tonino nun gli diede retta e la condusse per forza alla su' palazzina in mezzo alla macchia; e lì, anco a lei gli comandorno di tienere il quartieri ravviato, d'ammannire da mangiare e stare sveglia la notte per aprir l'uscio, quando i ladri tornavano carichi del rubbato. E [389] per le prime volte gli rinuscì all'Assunta questa vitaccia; ma poi stracca, una sera s'addormì per bene e nun potiede libberarsi dall'esser morta come la Tieresa e po' butta dientro la stanza degli ammazzati. Dice il più piccino de' fratelli: - A questo mo' delle donne qui nun ce n'allèfica. Deccoci daccapo insenza chi ci serva, Tonino, per la tu' maladetta furia. Dice Tonino: - Che ti sgomenti? I' vo a pigliare l'ultima di queste ragazze, e la donna i' l'ho subbito ritrova. Tonino dunque andiede a cercare della Caterina e gli disse, che le su' sorelle bramavano d'averla con seco: alla Caterina nun gli parse vero questo 'nvito, perché lei s'era annoiata a quel modo sola, e voleva portarsi rieto tutti i su' attrazzi; ma Tonino gli disse: - Che ne vo' tu fare? Vendi ugni cosa, che addove te vieni nun ci manca nulla, e della robba ce n'è a dovizia e più bella della tua. La Caterina, per dargli retta, vendiede ugni su' possesso, la casa, la mobiglia, i vestuari, e quasimente, quando lei montò in carrozza con Tonino, se nun era 'n camicia ci mancava poco. Il viaggio fu fatto con grand'allegria, perché la Caterina, un po' mattaccina e sderta, rideva e schiassava sempre; ma quando furno al solito bosco, Tonino a un tratto gli disse: - Te lo sai chi son io? - Oh! - arrisponde la Caterina: - vo' me l'ate detto voi da un pezzo. Vo' siete Tonino mi' cognato. Dice Tonino: - Sì; ma son anco un capo-ladro, e gli altri mi' fratelli ènno ladri come me. No' si campa e si diventa ricchi con l'andare a rubbare la notte, e chi ci s'oppone s'ammazza diviato. - O birbone venduto! - scrama la Caterina. - Questo è un bel tradimento! E delle mi' sorelle che n'ate vo' fatto? Dice Tonino: - Le tu' sorelle i' l'ho morte, perché nun badavano all'uscio la notte, quando no' si torna carichi del rubbato; dunque anco te sta' attenta, se ti preme la tu' vita. No' s'ha bisogno d'una donna che ci tienga il quartieri ravviato, tutte le nostre robbe custodite, ci ammannisca da mangiare, e apra l'uscio quando no' si picchia, oppuramente si fischia da lontano. Nun c'è da dormire; sveglia di giorno e sveglia di notte e sempre lesta all'ubbidienza. In nel sentire quest'antifona gli girava a bono alla Caterina; ma siccome lei era più furba delle su' sorelle, pensò tra sé: "I' ci sono, e oramai e' mi [390] conviene di starci a questi ferri", sicché disse forte: - Vo' vederete che di me nun ci sarà ma' da lamentarsi. Arrivi che furno alla casetta de' ladri, la Caterina prendette il su' posto, ugni sempre attenta che que' cinque nun mancassin di nulla; faceva brodi di pollo e per sé mangiava le cosce, tieneva pulito le stanze come uno specchio, ravviato gli armadi della biancheria, e con il cotone del solito vecchio ben rinvolto e nette le gioie per le scatole addove quelle stevano riposte; fedele, la notte badava d'aprir l'uscio a male brighe che lei sentiva i ladri di ritorno, e dormiva soltanto accosì di straforo in nell'ore di giorno che aveva un po' di riposo. Que' cinque gli eran tutti contenti e 'n fra di loro scramavano: - Ma che bona ragazza che s'è trovo! Dice una volta il Capo-ladro alla Caterina: - Te sie' sderta e ubbidiente, e no' si sta insenza pensieri. Brava la mi' Caterina! Ora, tieni. Questo è un vasetto d'unguento, custodiscilo; perché noi si potrebbe vienire a casa con qualche braccio rotto o la testa sfracasciata. Se no' si picchia, anco gli altri e' picchian noi; e chi ne busca son sua: ma con questo unguento, basta ugnerci il male e subbito si guarisce. È un unguento miracoloso. Dice la Caterina: - Sì, sì, date qua; i' vi medicherò a garbo, se occorre, nun vi dubitate. Il mi' dovere lo so fare. E accosì que' ladri stevano insenza sospetti e se n'andavano alle loro 'ntraprese, sicuri di ritrovare la casa in ordine e chi gli aspettava a ugni ora di notte e di giorno. Una sera che la Caterina era mezzo appisolata su una sieda, sente tutt'a un tratto dire fora dall'uscio a bassa voce: - Apri, apri. Lei lesta va a aprir e nentrano i ladri con un giovanotto morto 'n sulle spalle; lo portano in nella solita stanza degli ammazzati e lo buttano lì in sul mucchio; poi co' su' stioppi a armacollo se ne vanno daccapo per la campagna. Doppo un po' che la Caterina era rimasa sola, deccoti dalla stanza degli ammazzati comincia un ugnolìo come di persona che si rammarica: - Ohi! ohi! Subbito la Caterina s'alza e corre a vedere, e s'accorge che l'ultimo messo da' ladri tra' morti nun era morto, bensì pieno d'ammacchi e di piaghe, e quasimente svienuto. Lei lo piglia 'n braccio con gran fatica e lo porta 'n sul letto; lo spoglia, gli lava le piaghe e gliel'ugne per bene con [ 391] quell'unguento de' ladri, e lo ravvoltola in un lenzolo, perché stessi caldo; sicché il giovanotto soccallò gli occhi dapprima e alla fine rinsanichito e svelto si mettiede a guardare d'attorno, e disse alla Caterina: - Chi siete voi? La Caterina gliela raccontò tutta la su' storia a quel giovanotto, e perché lei si ritrovava assieme a que' ladri 'n mezzo al bosco, e il giovanotto, sentito 'l discorso, disse: - E i' sono il figliolo del Re di questi paesi. I ladri, per rubbarmi, m'assaltorno in istrada e credettano d'avermi ammazzato. Ma come farò io a libberarmi dalle su' mane? Dice la Caterina: - Bisogna aspettare la bon'occasione e aver prudenza, insennonò, se siete scoperto, ci si rimette la vita tutt'addua. Lassatene il pensieri a me. Per fortuna i ladri nun s'avveddan di nulla, e il figliolo del Re la Caterina lo tieneva niscosto e lo custodiva, e quand'eran soli passavano 'l tempo chiacchierando, e finirno con innamorarsi cotti, sicché una volta disse il figliolo del Re alla Caterina: - Il mi' obbligo, quand'anco nun ci fuss'altro, 'gli è quello di sposarvi, doppo tanto bene che m'avete fatto. Io la vita la devo a voi soltanto. Dunque cerchiamo come si pole scappare al sicuro di qui dientro, e i' vi menerò nel mi' palazzo dalla Regina mi' mamma, perché il babbo non l'ho più. Lui è morto. 'Gli accadde che i ladri ebbano a star fora per dimolti giorni, e in quel frattempo viense alla casetta il vecchio con la su' cesta del cotone. La Caterina, doppo averlo rinfrescato, gli disse: - Se vo' volete guadagnare una bella somma, vo' dovete aitarmi a fuggire di qui assieme con un giovanotto e menarci tutt'addua alla città reale. Dice il vecchio: - Come? Se si riscontrano i ladri per la strada, nun c'è scampo per nissun di noi; siem tutti morti. - Il modo ve lo 'nsegno io, - disse la Caterina, - per rinuscire nella 'ntrapresa. Ci si nisconde tra 'l cotone della cesta, e se mai si riscontrano i ladri, e vo' gli darete a credere che io nun l'ho volsuto il cotone, perché cattivo, e che vo' ate 'mprumesso di barattarmelo. 'Gnamo! se c'è del pericolo, c'è anco 'l caso di diventar ricco per voi. Il vecchio la cancugnò un bel pezzo, perché, a dirla stietta, lui aveva una gran paura; ma finalmente tirato dall'ingordigia della mancia fu d'accordo, e fece accomidare la Caterina e il figliolo del Re giù sdraiati 'n fondo alla cesta, e po' gli ricoperse [392] tutti con le balle del cotone, e, serrato l'uscio della casetta, s'avviò 'n verso la città reale: ma propio 'n sul confino dei bosco deccoti i cinque ladri che vienivan correndo come tanti cavalli scavezzati. Urla il Capo-ladro: - Ferma, vecchio. Addove te ne vai? Perché l'ha te riporto addietro il cotone? Il vecchio fece le viste d'essere innocente; ma però dientro gli sbatteva 'l core e n'avea, con vo' rispetto, al culo quanto una palla di gallonzoli; in ugni mo' arrispose franco: - Che donna vo' ate trovo, genti mia! 'Gli è una grazia quella! Insin che vo' la tienete, i vostri 'nteressi nun posson ire che a bene. Figuratevi! Questo cotone lei nun l'ha volsuto, perché gli parse di scarto, e che le gioie ci stessino male ravvolte. Dunque lei m'ha comandato che domani gliene porti del più meglio e sopraffino. Che donna di garbo, eh! E com'era tutt'acciaccinata a pulire le stanze e a prepararvi un desinare squisito, quand'i' l'ho lassa! Al Capo-ladro però questi be' discorsi del vecchio nun gli garbavano troppo, e s'era 'ncaponito di vedere se tra 'l cotone ci fusse qualche contrabbando; ma il più piccino de' ladri gli disse: - Lassal andare, ché lui è tanto che ci serve e nun è capace di birbonate. Accosì con imprumettersi di rivedersi la mattina al vecchio nun gli parse vero di frustar la bestia e nuscire dal bosco, abbeneché il Capo-ladro per sincerarsi prima della su' mossa bucassi 'n più loghi le balle del cotone con un ferro auzzo. Per fortuna il cotone si trapana male quand'è secco, e que' disgraziati lì niscosti se la cavorno soltanto co' una bella paura di morire infilziati come rospi in nel fondo della cesta. Insomma, come Dio volse, doppo camminato tutto quel giorno, a sera il vecchio arrivò alla città reale, e a male brighe dientro fecian subbito le guardie sbarrar la porta per sospetto di qualche assalto; e poi una grand'allegria, e la Regina poco stiede che nun cascassi morta dal contento in nel rivedere il su' figliolo che credeva gliel'avessino ammazzato i ladri. Lui gli raccontò quel che gli era successo, e che la Caterina doveva esser la su' sposa per il gran coraggio di rinsanichirlo dalle piaghe e liberarlo dalle mane de' ladri; sicché quando la Caterina e il figliolo del Re furno stati per una settimana in cambera a riposarsi dagli strapazzi e dagli spaventi, si bandirno le nozze e con dimolte feste conclusane lo sposalizio. [393] Ma torniamo a' ladri, quando loro si partirno dal vecchio per in verso la su' casa. Picchia, chiama, fistia e nimo gli rispondeva. Guà! la Caterina 'gli era scappata via, lo credo! Gli conviense buttar giù l'uscio a forza di calci, e s'accorgevano che dientro era vôto di persone vive. Il Capo-ladro s'arrabbiò a bono, tanto più che s'avvedde anco della fuggita del figliolo del Re, e ci corse poco che nun si dettan tra di loro que' birboni per via del più piccino, perché gli apponevano tutta la colpa a lui di quel malestro; da ultimo però fecian le paci e il Capo-ladro in nel girare viense a cognoscere per i bandi lo sposalizio della Caterina, e si mettiede in nella testa una barbara vendetta. Per sincerarsi di più lui si travestì da gran signore, e un bel giorno che spasseggiava per la città reale vedde assieme con il su' sposo la Caterina a pigliare il fresco in sulla terrazza del palazzo, e subbito con un dito ritto e' fece accenno scossandolo che lui 'ntendeva di rifarsi. La Caterina a quel verso s'insospettì, e strignendo gli occhi cognobbe bene che quel signore era Tonino, e dato una voce al Re glielo disse: - Guarda quel signore: 'gli è il capo-ladro che ci cerca. Ma quando le guardie andorno per arrestarlo, Tonino 'gli era di già sparito e nun ricomparse più per le strade; bensì almanaccò un tradimento per avere nel su' possesso la Caterina e ammazzarla a modo suo. Lui fece fabbricare una colonna di legno prezioso al più bravo artieri, e la ricoperse da capo a piè di monete d'oro e d'argento, di catene e di pietre di gran prezzo, e dientro alla colonna ci serrò un ragazzo da lui 'ndettato siccome 'gli aveva da diportarsi; poi chiamò un garzone e gli disse: - Tieni: va' a venderla questa colonna e urla forte: ma se capita qualche persona anco ricca sfondolata, te gli ha' a chiedere un prezzo disorbitante, perché nun possa comperarla la colonna; se scambio viene il Re, a lui dagliela per regalo. La cosa dunque successe propio accosì, e la colonna l'ebbe il Re, che comandò la mettessino in sul cassettone della su' cambera. La Caterina però nun era contenta e steva 'n sospetto che quel mobile contenessi dell'inganno, e lo disse anco al Re che ci badassi; ma il Re nun ci volse credere e gli parseno giuccate le idee della su' moglie. Infrattanto il Capo-ladro 'gli era ito da una vecchia, che di solito bazzicava in nella Corte per de' servizi, o a [394] portare delle granate belle, e l'acqua per lavarsi; e dice: - Senti, nonnina! Gli vo' tu guadagnare dieci paoli insenza fatica? - Oh! - gli arrispose la vecchia: - se vo' nun fate per canzonarmi, i' son pronta a ubbidirvi. Ch'i' ho io a fare? Dice il Capo-ladro: - Te pratichi in nella Corte, e la cambera della Regina giovane te l'ha' da cognoscere: dunque, i' bramo soltanto che te metta questa lettera sotto 'l capezzale del letto dal lato addove dorme 'l Re. 'Gli è una burla, nun dubitare, e' nun c'è nulla di male; e se te me lo fai 'l piacere, subbito ti do la mancia. La vecchia nun ci pensò più che tanto; prendette la lettera e all'ora che di consueto lei andeva alla Corte, quando nun la vedeva nissuno, la ficcò sotto 'l capezzale del letto dal lato del Re, e poi finite le su' faccende, corse a pigliare i dieci paoli da Tonino. Tonino dalla contentezza si stropicciava le mane, e già faceva i su' conti in sul ricatto vicino, perché quella lettera 'gli era 'ncantata coll'alloppio, e fatta 'n modo che tienendola 'l Re sotto 'l su' capo, tutti avevan da dormire la grossa in nella Corte, all'infora della Caterina. Sonava la mezzanotte, e a un tratto la Caterina da letto sentiede un minorino - cicì, cicì, - come d'un chiavaccino tirato via dalla bocchetta; ma poi concredette che fusse uno sbaglio tra 'l sonno e si riappisolò. Eh! pur troppo 'gli era stato quel ragazzetto serro dientro la colonna, che pian pianino e in peduli scendé giù e andiede a aprire il portone del palazzo, addove stavano ad aspettarlo Tonino co' su' quattro fratelli. Nentrano tutti, ché nimo se n'accorgete, perché le sentinelle, i servitori e ugni persona dormivano alloppiati dalla lettera 'ncantata. Tonino salì a gambe lo scalone e bucò risoluto in nella cambera reale, e agguantata per un braccio la Caterina, che si riscotette 'mpaurita, gli disse: - Su, levati e nun far chiasso, ché tanto sarebbe 'nutile. Te ha' da vienire con meco; c'è de' conti da saldare. Bisognò bene che la Caterina nusciss'in quel mo' in camicia dal letto e andassi con Tonino, che sempre la tieneva stretta e la tracinava per forza, e insenza parole lui la ubbligò a scendere a pian terreno e la menò in nella cucina. Dice: - Ora 'gli è 'l tempo di pagarmela, sfacciata. Ammannite la caldaia piena d'olio e d'aceto, e lei ce la vo' bollire viva dientro. Il più piccino de' ladri, 'n quel mentre che gli [395] altri preparavano la caldaia e accendevano il foco, si volse provare a abbonirlo Tonino, e che gli perdonassi alla Caterina e fossi contento soltanto di rimenarla con seco nel bosco. Ma Tonino duro, nun gli diede punta retta, e siccome la caldaia di già rimbollorava, lui alzò di peso la Caterina per buttarcela a cocere. Allora la Caterina, che del coraggio nun gliene mancava mai, scramò: - Aspettate un mumento, che prima di morire ho da chiedervi una grazia. Dice Tonino: - Nun c'è grazie per tene. Ma il più piccino s'inframettiede al solito e gli rinuscì ottenere che Tonino la riposassi 'n terra la Caterina e la lassassi parlare: - I' bramo ritornare 'n cambera mia, tanto per dar l'ultimo bacio al mi' sposo. - Che, che! - bociò Tonino. - Questo poi nun lo posso permettere. E voleva riagguantarla quella disgraziata e tuffarla giù nella caldaia bollente. Il più piccino però disse: - 'Gnamo, le grazie si concedono a tutti e' condannati a morte. Che c'è di male se la Caterina va su 'n cambera? Tutti dormono come chioppi in nel palazzo e nemmanco le cannonate gli poterebbano scionnare, e no' siem qui padroni del baccellaio. Fagliela, Tonino, questa grazia. Tonino nun voleva in nissun modo; ma si vede propio che l'ora del minchione viene a ognuno, sicché alle suppliche del su' fratello piccino finì che nun seppe dire più di no, e la Caterina lesta come un uccello salì in cambera soa. Lei s'era 'nsospettita che 'n quegli addormiti in nella Corte ci fusse sotto qualche 'ncanto, e a male brighe arriva, si mettiede con furia a buttare all'eria ugni cosa, sicché in nel frucandolare anco sotto al capezzale cascò la lettera 'ncantata e di ripente tutti si svegliorno. La Caterina subbito urla: - A' ladri, a' ladri! Gli ènno 'n cucina, corrite a chiappargli, - e si sviene. I ladri nun furno a tempo a svignarsela, ma gli arrestorno e i quattro primi gli ebban la testa tagliata dal boia; al più piccino soltanto gli fu perdonato per la su' bontà: poi il Re mandò a pigliare le ricchezze de' ladri, e le fece regalare per lemosina a' poveri del su' Regno. E accosì finirno que' birboni.