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NOVELLA XLVII


I cinque Ladri (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


C'era un paese tutto pieno d'artieri, e in una casa ci abitavano sole tre ragazze sarte, ma belle, e nun avevan nissuno, né babbo, né mamma, né fratelli; il campamento loro lo cavavano dal su' lavoro, ugni sempre lì accannite con le forbici e con l'ago. Nun erano ricche queste tre ragazze, ma nemmanco povere, e si chiamavano accosì: la prima Tieresa, la mezzana Assunta e la più piccola Caterina. Un giorno che loro stavano 'n sulla terrazza a cucire viense a passar di sotto per la strada un bel giovanotto, ben vestito com'un gran signore, e si mettiede a discorrire, a dimandargli quel che facevano, e 'nsomma finì a forza di chiacchiere col nentrare 'n casa; e tutti e' giorni questo giovanotto ritornava alla medesim'ora a conversazione 'n sulla terrazza. Dice: - I' son ricco, sapete; a me nun mi manca nulla; de' quattrini e' n'ho a palate; mi manca soltanto di prender moglie per nun arritrovarmi sempre solo. Decco, se una di voialtre fusse contenta di diventare mi' legittima sposa, i la menerei con meco e nun avrebbe più bisogno di lavorare. Arrisposan le ragazze: - Ma che gli pare a lei! No' siemo avvezze a campare 'n sulle braccia; s'ha il mestieri e nun ci si merita questa degnazione. Nun ci si rinuscirebbe a far da signora. Dice il giovanotto: - Ma se a me mi garbate, voi a questo nun ci avete a pensare. 'Gnamo! Chi vol esser la mi' sposa? Decidetevi 'n tra di voi, e domani i' viengo per la risposta. Il mi' nome è Tonino. Dunque, il giorno doppo, compari