Scritti politici e autobiografici/Perché siamo contro la guerra d'Africa
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PERCHÉ SIAMO CONTRO LA GUERRA D’AFRICA1
Fin dalla prima notizia della mobilitazione, G. L. ha dichiarato la sua «opposizione intransigente, assoluta, alla guerra d’Africa, da chiunque fatta, comunque motivata, oggi, domani, sempre».
Quella dichiarazione significa che la nostra opposizione non deriva solo da motivi di antifascismo.
Siamo contro la guerra d’Africa:
- a) perché è una guerra fascista;
- b) perché è una guerra capitalista-statale;
- c) perché è una guerra coloniale;
- d) perché è una guerra.
Il motivo pacifista puro, il motivo umanitario viene, come si vede, solo in quarta linea. Non è possibile metterlo in prima linea nel mondo attuale, in cui la politica delle dittature si risolve già in una guerra contro i popoli. Difficile sopratutto per un movimento rivoluzionario che non si fa illusioni su placidi tramonti, che riconosce la legittimità delle guerre di indipendenza e la necessità attuale della guerra civile nei paesi fascisti.
Analizziamo i quattro motivi.
Guerra fascista. Tra la dittatura fascista e il popolo italiano c’è stato permanente di guerra, o rapporto di soggezione. Il fascismo tratta gli italiani peggio di quel che gli austriaci trattassero i veneti o i lombardi. Gli italiani, anche se tesserati fascisti, non hanno nessun diritto, nessuna libertà, nessun autogoverno, eccezione fatta per un gruppo di capi politici e di grossi papaveri borghesi.
La vita del fascismo è di parassita: si svolge a prezzo di inaudite sofferenze e di umiliazioni del popolo, e sopratutto della classe lavoratrice.
Non esiste la benché minima speranza di trasformare gradualmente il fascismo da regime di eccezione a regime di collaborazione. Tredici anni di esperienza lo confermano. L’oppressione, anziché diminuire, aumenta.
Perciò la rottura è fatale. Qualunque avvenimento voluto o fortuito che indebolisca il fascismo, avvantaggia il popolo italiano. La guerra, per le sue probabili ripercussioni economiche e politiche e per la parte di imprevisto che comporta, può offrire possibilità eccezionali di colpirlo. Senza un attimo di esitazione bisogna profittarne; si deve avere la coerenza di desiderare la sconfitta del fascismo; si deve essere disfattisti integrali e pratici.
La guerra fascista non è la guerra degli italiani. È impresa privata della dittatura. Il popolo italiano funziona solo da vittima. E la vittima non ha obblighi di solidarietà. Ha solo l’obbligo di liberarsi.
Guerra capitalista. Non sappiamo fino a che punto il capitalismo attuale cerchi coscientemente la guerra, dimostratasi, dopo l’esperienza russa, foriera di rivoluzioni. Non siamo neppure certi che la fine del capitalismo significherà automaticamente la fine delle guerre. Quello che però sappiamo è che le guerre attuali, in regime capitalistico, e di dittatura dei magnati, sono il fenomeno più sordido e repulsivo che si possa immaginare. Dietro i contrasti politici si nascondono rivalità e speculazioni economiche che fanno mercato della vita degli uomini. E mentre gli uni, i cenci, muoiono, gli altri profittano.
Capitalismo è però una parola troppo sintetica che copre molte cose e risparmia di pensare. Copre, per esempio, lo statalismo, forse più del capitalismo, in stretto senso, responsabile delle guerre. Gli stati moderni, burocratici, accentrati, imperialisti, sono delle macchine terribili che tendono ad espandersi per logica interna, trasformando l’uomo, intere generazioni di uomini, in strumenti di potenza bruta.
I popoli, cioè gli uomini nelle loro formazioni civili sociali, messi gli uni di fronte agli altri, difficilmente si batterebbero. Sono questi intermediari inafferrabili, mostruosi, queste macchine anonime, gli stati, che hanno un preteso onore da salvare e un interesse da difendere che non è quello degli uomini in carne ed ossa e dei quali gli stati maggiori e gli eserciti permanenti sono uno degli ingranaggi essenziali; sono gli stati i quali drizzano i popoli gli uni contro gli altri. La guerra moderna, terribile devastatrice, che coinvolge l’universale, nasce difatti con Napoleone, cioè con lo stato moderno. La Svizzera, ogni stato federativo dove l’uomo, i gruppi conservano ampie sfere di autonomia, fanno assai più difficilmente la guerra. Lo stesso impero britannico, come tale, sembra incapace di grandi guerre. Capitalismo, statalismo, accentramento, oppressione sono aspetti di uno stesso fenomeno di cui la guerra è la manifestazione più appariscente.
Il capitalismo fascista questi fenomeni li ha sviluppati tutti, metodicamente, sino ad esasperarli. Tutta l’attività economica italiana è stata organizzata in Italia in vista della guerra. Chi avesse conservato qualche dubbio in proposito è stato illuminato dal comunicato della Commissione Suprema di Difesa, da cui dipende ormai l’economia nazionale. Il capitalismo fascista si avvia alla guerra per una necessità inesorabile. È già in guerra larvata da anni.
Guerra coloniale. La guerra coloniale è la guerra capitalista per eccellenza dominata da puri motivi di interesse e di dominio.
Si conquistano le colonie per allargare il mercato dei prodotti, dei capitali, degli uomini, e per affermare il prestigio statale. Nel mondo delle concorrenze forsennate dei varii imperialismi, la colonia è la base d’appoggio, il mezzo di rifornimento. Le popolazioni coloniali sono ad un tempo macchine di lavoro che assicurano un enorme plus-valore e assorbitrici di prodotti. La penetrazione della cosidetta civiltà cammina di pari passo con i profitti.
Tutte le guerre coloniali si equivalgono in principio. Sono delle speculazioni in cui i capitali sono forniti in sangue e in denaro dalle moltitudini, e i profitti sono riscossi da pochi. Solo che mentre quelle dei secoli scorsi rendevano, quelle attuali non rendono più.
La guerra coloniale che il fascismo si appresta a fare è particolarmente odiosa e stupida, sia perchè diretta contro un popolo indipendente da quattordici secoli, sia perché costosissima e durissima, sia infine perché, nella migliore delle ipotesi, dopo anni e anni di guerriglia, aprirebbe la via alla colonizzazione non del capitalismo italiano, troppo povero e impoverito, ma del capitalismo anglo-franco-belga-americano. Gli eventuali coloni italiani funzionerebbero da negri di prima qualità, non certo da colonizzatori. Il decreto De Bono di fissazione dei salari massimi degli operai italiani nella colonia eritrea dichiara espressamente che bisogna non «guastare» il mercato indigeno, uso a tariffe infinitamente più basse. Se mai avesse ad arrivare il giorno in cui gli operai e i contadini italiani dovessero in gran numero stanziarsi in Abissinia, si può essere certi che sarebbe loro riservato un trattamento quasi analogo a quello degli abissini.
Né d’altronde il fascismo sembra farsi troppe illusioni sul valore economico della prossima guerra. Più che economica, la guerra sarà di prestigio e di necessità come mezzo di consolidamento di un dominio vacillante e come sortita da una situazione insostenibile.
Guerra. Non siamo pacifisti vecchio stile. Non amiamo il sangue, ma non siamo gandhisti. La morale gandhista e l’obbiezione di coscienza sono altamente rispettabili nel singolo, ma non costituiscono una politica, non consentono una lotta efficace contro la guerra e contro la dittatura capitalista fascista. E noi siamo per la lotta.
Oggi, di fronte al mondo fascista, accettiamo di combattere la guerra civile. L’accettiamo appunto perché civile nei suoi scopi, perché diretta ad arrestare una guerra in cui si opprime e si ammazza da una sola parte, perché diretta a conquistare un’umanità superiore.
Pur non trovando particolarmente ideale la morte su una barricata o in una prigione, ci pare che per abbattere il fascismo il sacrificio sia utile, che la vita dei combattenti rivoluzionari sia spesa bene.
La guerra civile, quando si presenta come l’unico mezzo di lotta contro una dittatura che abolisce ogni opposizione legale, a parte i suoi scopi, contiene un aspetto che la rende accettabile: è una lotta in cui l’uomo partecipa consapevole e volontario, in cui conserva l’iniziativa e in cui può trovare anche occasioni di grandezza vera.
I quattrocento morti di Vienna e di Linz sapevano, in vita, a che cosa andavano probabilmente incontro. I duemila delle Asturie pure. Certo anche tra loro si contano le vittime ignare. Ma sono la minoranza. Gli altri avevano scelto il loro destino.
Ma la guerra militare, la guerra imperialista, la guerra statale, la guerra degli eserciti obbligatori, quale barbarie, e sopratutto quale inutilità! L’uomo è ridotto in polvere dal momento in cui viene mobilitato. Venti e più anni dopo il 1914, ci troviamo in un mondo più povero, più disperato, e non meno minacciato dalla catastrofe. I dieci milioni di morti sono caduti proprio invano e, quel che è più orribile, sono caduti quasi tutti coatti.
Ora la guerra che il fascismo si prepara a fare in Africa cumula in sé tutte le ignominie che abbiamo elencato. È guerra di conquista e di conservazione della dittatura, guerra di capitalismo e di stato, guerra mercantile e coloniale, è macello obbligatorio di gioventù che avrà la scelta tra la morte e magari lo sventramento in battaglia e la malaria, la dissenteria, l’anemia tropicale.
Per accettare una simile guerra, e ancor più per esaltarla, bisogna essere dei pazzi o dei rincretiniti da dieci anni di regime.
Per combatterla basta invece voler bene al paese, volere il bene degli italiani. Restare umani.
Noi abbiamo scelto la nostra via.
Note
- ↑ Da «Giustizia e Libertà»: 8 marzo 1935.