Scritti politici e autobiografici/Realismo ancora

Realismo ancora

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Perché siamo contro la guerra d'Africa Risposta a Mussolini
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REALISMO ANCORA1


Nella lotta contro il fascismo l’apporto caratteristico di G. L., oltre quello di un attivismo costante, è stato lo sforzo per elevarsi ad una visione realistica e di insieme del fenomeno fascista. Il fascismo noi non l’abbiamo mai considerato con gli occhi nostalgici del prefascismo, vivendo alla giornata in una perpetua attesa del miracolo liquidatorio.

G. L. non esisteva nel 1922. G. L. è nata in pieno fascismo. Ha sempre considerato il fascismo come il punto di partenza della sua azione e come un’esperienza storica decisiva. E ha insistito sulla necessità di fare, più che dell’antifascismo, del postfascismo.

Anche tra settembre e febbraio, nel periodo in cui la speranza di una crisi prossima era più diffusa in Italia e all’estero, G. L. si è rifiutata di abbandonare il terreno dell’opposizione storica per ripiegare su quello del piccolo opportunismo politico. Perché? Ap[p. 92 modifica]punto perché era consapevole dell’importanza fondamentale dell’esperienza che si compieva; dell’impossibilità che un fenomeno come il fascista potesse finire in coda di pesce; dei valori essenziali che erano in giuoco e che essa era ben decisa, contro ogni calcolo meschino e machiavellico, a mantenere nel giuoco.

Quando altri diceva: — Via dall’Africa, libertà borghesi, compromesso — , essa rispondeva: — trasformazione totale, lotta rivoluzionaria — . E questo non già per intellettualismo o utopismo, ma perché sentiva che la dialettica del totalitarismo fascista avrebbe reso impossibili i mezzi termini.

Il 16 gennaio, analizzando la tecnica della guerra fascista, noi scrivevamo che la guerra totalitaria avrebbe avuto una soluzione totalitaria, netta; che come il fascismo aveva distrutto i mezzi termini nella vita interna ed esasperato progressivamente la situazione, così avrebbe distrutto i mezzi termini nella vita internazionale.

E ciò è avvenuto, in un senso naturalmente diverso da quello da noi voluto. Il fascismo ha avuto la vittoria totale militare. E il fascismo finirà quasi certamente per avere la vittoria anche sul terreno diplomatico.

Noi ci rifiutiamo a lasciarci ingannare dall’ultimo atto della commedia ginevrina. Certo, l’annessione dell’Abissinia è un osso duro da ingoiare per i giuristi tartufi della Lega; e può darsi che per evitare la soffocazione immediata preferiscano coprire il ritiro [p. 93 modifica]delle sanzioni con una provvisoria esclusione dell’Italia fascista. (E anche in questo campo Mussolini ha preso l’iniziativa ritirando Aloisi da Ginevra).

Ma resti ben chiaro che siamo all’ultimo atto e che non sarà a guerra finita che le potenze troveranno la decisione e la forza per ricacciare l’aggressore.

Questa vittoria totale non significa, naturalmente, che la storia si arresti. La storia continua. Gli eventi di questi mesi ne accelereranno anzi il ritmo formidabilmente.

Ma ciò significa che in Italia siamo arrivati ad una svolta importante. Un periodo finisce. Uno nuovo se ne apre. Nulla sarebbe più stolto, nulla darebbe più la misura della nostra impotenza a capire e a reagire, che il continuare come se nulla fosse sui vecchi solchi, in una agonia indegna, sofisticando sul successo avversario o mantenendo accese delle speranze di rovesciamento all’ora ultima.

Meglio riconoscere con franchezza virile che il fascismo, almeno sul piano interno che è poi quello che più di ogni altro ci concerne, esce rafforzato, consolidato da questa crisi. Molta gente che ancora riteneva possibile una rapida soluzione e conservava vivi dei rancori, si convertirà al fascismo. Altri si rassegneranno. L’urto sociale sarà ancora deviato e contenuto. Si entra in una fase di liquidazione relativa per gli uni e di stabilizzazione relativa per gli altri. Una serie di fenomeni del dopoguerra che avrebbero potuto essere decisivi per l’opposizione avranno [p. 94 modifica]un’importanza assai più limitata e saranno facilmente dominati dal fascismo. Anche le difficoltà economiche e finanziarie, innegabili e crescenti, non saranno tali da minacciare il regime dopo il recente successo. Le dittature non sono mai cadute per ragioni economiche e finanziarie. Le difficoltà economiche possono spingerle, se mai, a cercare nella guerra un diversivo. Ma quando la guerra è vinta, il diversivo funziona e la crisi è contenuta.

Dobbiamo dunque prospettarci un periodo, la cui durata dipenderà da fattori non calcolabili, duro e difficile. Un periodo nel quale l’opposizione, se vorrà avere dei risultati, dovrà riesaminare con la massima spregiudicatezza la sua formazione e i suoi metodi. Questo riesame non va fatto con precipitazione. Va fatto con calma, con ponderatezza, dopo un’inchiesta approfondita, chiamando a collaborare tutti, e principalmente coloro che sono in Italia.

Noi non vogliamo anticipare. Diremo solo che se mai ci fu un periodo in cui le posizioni di principio autonome, positive, non polemiche, ebbero valore, questo è il periodo.

Il vecchio antifascismo è morto. Morte sono tutte le posizioni formali e organizzative che si trascinino dietro il peso o anche solo il fato della sconfitta o l’obbligo di una coerenza antistorica o il legame con impostazioni superate ed equivoche.

Anche noi di G. L. esamineremo il nostro problema, [p. 95 modifica]con spregiudicatezza, perché quello che a noi preme sono gli ideali, non i nomi e le forme.

E magari questo riesame coraggioso alla luce del sole potesse farsi contemporaneamente e in comune, con disinteresse totale, oltre i compartimenti stagni delle varie organizzazioni che sono spesso degli strumenti di artificiale sopravvivenza!

Sarebbe probabilmente questa la via anche per superare l’inevitabile depressione dei prossimi mesi, rispondendo alla vittoria fascista con un atto di vita.

Note

  1. Da «Giustizia e Libertà»: 15 maggio 1936.