Scritti politici e autobiografici/La lezione della Sarre

La lezione della Sarre

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LA LEZIONE DELLA SARRE1


Facciamo pure la dovuta parte al terrore, alla propaganda hitleriana, ai milioni del Fronte Tedesco, alla crisi economica, al rancore per la Francia, al doppio gioco vaticanesco, alla debolezza dei protettori, alla incongruenza di una battaglia per lo «statu quo» quando lo «statu quo» è sinonimo di miseria universale; ma non si arriva a spiegare quel terribile 90 per cento, che ha già assunto il significato di una adesione cosciente, a due anni data, alla rivoluzione hitleriana.

Per consolarsi, il Fronte Unico ricorda che la Sarre è tedesca e che era naturale e previsto che la grande maggioranza si pronunciasse comunque per il ritorno alla madre patria.

Se era naturale e previsto, allora perché il Fronte Unico ha dato battaglia nella Sarre su quel certo terreno e si è illuso di poter raccogliere il 30-40 per cento dei voti? [p. 80 modifica]

Dopo la collezione di disfatte degli ultimi anni, sarebbe stato opportuno risparmiare ai combattenti per la libertà in Europa una nuova grossa sconfitta proprio sul terreno più dolente, quello del suffragio. Ma pare che le sinistre abbiano in Europa il sadismo della sconfitta. Il fascismo ha scelto come motto «Me ne frego». L’antifascismo: «Se non sono legnate non le vogliamo». I due motti riescono, ahimé, complementari.

Anziché dare una battaglia impossibile in nome dello «statu quo» - parola d’ordine assurda per forze rivoluzionarie, giacché suona attesa, difesa, rinunzia, conservazione — sarebbe stato forse meglio creare, a fianco del plebiscito, ufficiale, un plebiscito libero in cui la dichiarazione di voto per il ritorno alla Germania si accompagnasse con una dichiarazione di fede nella libertà e con un impegno di lotta per una Germania e un’Europa libere. Si sarebbe avuto allora non Fronte Tedesco contro Fronte della Libertà - «statu quo», ma Fronte Hitleriano contro Fronte della nuova Germania. I voti, per pochi che fossero stati, avrebbero avuto un enorme valore ideale, avrebbero segnato l’inizio di un’offensiva e non fornito una contro-prova della sconfitta del 1932.

Senno del poi, si dirà. Ma come s’ha da fare? Se si avanzano critiche in precedenza, si è accusati di sabotare la battaglia in corso. Se si avanzano dopo, si è accusati di giudicare a cose fatte.

La verità è ormai chiara, e chi non l’ha ancora [p. 81 modifica]capita può cacciarsi a letto e spengere il lume in attesa di tempi migliori. La verità è che socialismo tradizionale, comunismo, le vecchie ideologie, i partiti battuti del prefascismo, sono universalmente liquidati. Con essi si passa di sconfitta in sconfitta. Il loro potenziale è infimo in confronto al potenziale fascista. Non sono più capaci di rimontare la corrente, di sollevare entusiasmi offensivi. Anche nei paesi relativamente liberi, come la Francia e l’Inghilterra — i paesi dello «statu quo» — sono destinati a decadere, a meno di un profondissimo rinnovamento.

Il riformismo fascista si è ormai impadronito di gran parte della meccanica del socialismo riformista. E la dittatura fascista neutralizza o devia la spinta dittatoriale comunista. La bandiera della libertà, inalberata all’ultima ora come pis aller, è gettata nella polvere da quella nazionale e imperiale.

Ci vuol altro per rovesciare il fascismo. Le trasfusioni di sangue riescono quando sono fatte in tempo e tra specie animali non troppo dissimili.

Da questo modesto foglio di esilio ci rivolgiamo non solo ai compagni italiani, ma anche ai compagni tedeschi, alle migliaia di giovani che combattono con noi il fascismo, perché vogliamo riflettere seriamente alla lezione della Sarre.

Quel che è avvenuto il 13 gennaio in Sarre è la prova ultima, in vitro, della cadaverica impotenza di tutte le forze, partiti, uomini del passato prefascista. Chi si ostina a combattere il fascismo da quelle trin[p. 82 modifica]cee, dà un bell’esempio di coerenza, ma fissa la sua dimora nei cimiteri.

Rispettiamo pure la coerenza dei vecchi. Ma i giovani debbono fare punto e da capo; rompere bruscamente; spogliarsi dei vecchi idoli cerebrali per dire pane al pane e vino al vino; per vedere insomma che cosa accade, che cosa è realmente accaduto in questi anni, e ripensare tutti i problemi dalla radice.

Per conto nostro l’esperienza della Sarre ci conferma la verità di due tesi che abbiamo già sostenuto con grande scandalo dei marxisti ortodossi: potenza ancora grande dell’idea nazionale, specie nei paesi di più recente unità, come la Germania e l’Italia dove, assunta a mito, si fa strumento della demagogia reazionaria; assurdità di concepire e condurre la lotta contro il fascismo su piano estensivo e di massa.

L’internazionalismo astratto, coreografico, da Congressi, più o meno mondiali, ha fatto il suo tempo: è un mito burocratico (II), o è un asservimento alla politica russa (III). Come già altra volta scrivemmo, l’internazionalismo, per esistere, deve salire dal basso verso l’alto, farsi positivo, vivere prima nella personalità singola, nella classe, nella patria. La rivoluzione italiana avrà vigore e valore internazionale non in ragione del bollo delle Internazionali, ma in ragione della validità universale dei suoi motivi e della concretezza europea della sua politica. (Internazionalisti al cento per cento, e voi, comunisti ortodossi, perché non riconoscete ad alta voce le esperienze dell’esilio? [p. 83 modifica]Perché non scrivete quel che dite nei conversari a proposito del.... nazionalismo di troppi comunisti francesi?)

Quanto alle masse, è ora di dire che la massa, in quanto massa, è brutale, ignorante, impotente, femminile, preda di chi fa più chiasso, di chi ha più quattrini, di chi ha la forza e il successo. I fascismi sono i più perfetti regimi di massa della storia, quelli in cui l’uomo scompare per diventare la frazione di un corteo, di un osanna, di un plebiscito, di un esercito.

Combattere i regimi di massa fascisti a forza di massa, è tempo perso.

I regimi di massa, i fascismi, si combattono ridando all’uomo, alla ragione, alla libertà il loro valore; creando in ciascun uomo, nel massimo numero di uomini, e per ora in una minoranza di intellettuali e di operai, una coscienza forte della propria personalità ed autonomia. Rompere la massa e la vita di massa, spezzare il totalitarismo fascista con nuclei pensanti ed agenti, ecco il compito dell’opposizione, che non è più a vero dire opposizione, o lo è solo allo stesso modo che la vita si contrappone alla morte.

Note

  1. Da «Giustizia e Libertà»: 18 gennaio 1935