Sciotel/Parte Terza/Capitolo Quarto
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Capitolo Quarto
1. Il chiarissimo Conte Pennazzi, ardimentoso e dotto esploratore, in una sua pregiata lettera mi scrivea così:
«L’idea di portare in Africa contadini italiani e d’impiantarli colà, mi sembra sbagliata, e secondo me pecca per la base. Oltre a molte considerazioni di un altro ordine più elevato, mi si presenta subito allo spirito la seguente obbiezione. Il contadino che emigra lo fa per migliorare la propria condizione e per fare fortuna; vuole dunque grossi salarii e vantaggi senza numero; perchè dovrebbe una società, che si costituirebbe a tale scopo, pagare altissimi salarii per europei, allorchè la mano d’opera ed il nutrimento di operai indigeni costa poco o nulla?
Ecco secondo me l’unica colonizzazione possibile; cioè lo impianto di agenzie commerciali, servendoci degli indigeni per la coltivazione dei prodotti che meglio riescono nei rispettivi loro terreni.»
L’egregio scrittore avea frainteso le mie idee, o, per dir meglio, io non avea potuto, in una semplice lettera, spiegare minutamente il mio concetto; e chiarii l’equivoco con un’altra lettera.
Io non ho mai inteso di promuovere, o incoraggiare in un modo qualsiasi l’emigrazione dei contadini italiani; emigrazione che io credo costituisca il maggior male per la nostra Nazione, che è eminentemente agricola. Non cesso però dal lodare coloro i quali si sforzano di dirigere i contadini in punti determinati, e, invece di lasciarli andare qui e colà alla rinfusa, li aggruppano insieme cercando di far sorgere, nelle lontane regioni delle Americhe, dei villaggi, delle cittaduzze, delle province, che almeno per la lingua e per i costumi, siano italiani.
Certo, che così facendo, si diminuisce il danno che ne risente la madrepatria; ma siffatto mezzo, se lenisce il male, non può riuscire a curarlo, a troncarlo dalla radice, poichè altro non è che un cataplasma, un rimedio palliativo.
È indubitato che il contadino italiano abbandona le terre italiane perchè manca il capitale per coltivarle; nè mi curo punto d’indagare se, siffatta mancanza di capitali, sia reale o fittizia, se cioè è veramente il danaro che fa difetto al proprietario, oppure sono i tributi, i balzelli di ogni sorte, i centesimi, dico meglio, i miliardi addizionali che, peggio delle peggiori specie di ortiche e di gramigne, abbiano intristite e rese deserte le più fertili terre nostre, allontanando da esse i capitali. Questo è certo che il contadino non trova lavoro in Italia, o trova un lavoro scarsissimamente retribuito, sia perchè il proprietario non ha danaro, sia perchè invece di affidarlo alla terra, aggravata d’insopportabili pesi, preferisce depositarlo nelle più solide Banche, per avere, se non altro, una rendita anche meschina ma certa.
Per dar lavoro adunque al contadino, per troncare dalle radici il male dell’emigrazione, occorre grande affluenza di capitali in Italia; acciocchè, l’esuberanza di moneta, metta il proprietario in grado di poter combattere vittoriosamente, e riparare i danni che di continuo gli arrecano le tre insaziabili ed accanite sanguisughe sono l’Erario, la Provincia, il Comune!
E se è così, e secondo me non c’è da discutere, io sono convintissimo che il rimedio efficace, lo specifico contro la funesta epidemia dell’emigrazione dei contadini, sia la Società di colonizzazione agricola e commerciale.
Per coltivare le terre africane non solo non abbiamo bisogno di contadini italiani, ma faremmo male i nostri interessi se ci volessimo servire di loro; poichè, oltre che gli indigeni sono numerosi e già assuefatti ai lavori campestri, l’opera loro è, senza alcun paragone, più a buon mercato. Ad un servo non si dà più di un tallero al mese di stipendio, e la giornata di un agricoltore non si paga più di mezzo franco. Quello che occorre agli indigeni è la direzione e l’istruzione, essendo essi del tutto privi di qualsiasi nozione di agronomia, anche la più elementare.
Essi difatto hanno degli aratri imperfettissimi, e, nello arare, non fanno seguire solco a solco, l’uno accosto all’altro, ma solcano la terra a ghirigori, vanno di quà e di là smovendo il terreno a casaccio, a capriccio. Poi vi gettan su i semi nè più vi badano, ma lasciano all’acquazzone la cura d’interrarli; e l’unica cosa che fanno con molta attenzione si è di estirpare le male erbe 1.
2. In Italia non vi è affatto penuria di persone atte ad istruire alla meglio e dirigere gli indigeni nei lavori campestri, e questi sono gli emigranti che la Società dovrà inviare in Africa.
Vi sono da noi innumerevoli giovani i quali si alzano il mattino e non sanno dove andranno a dormire la sera, come faranno per sbarcare la giornata; e, per procurarsi i pochi franchi, che per vivere, occorrono ad ogni persona di civile condizione, alle volte sono costretti aggirarsi nei confini del Codice penale, e certuni li varcano addirittura. Eppure costoro sono pieni di vigore, hanno una certa coltura e spesso un mestiere, un’arte, una professione; sono cioè ingegneri, architetti, agrimensori, agronomi, dottori in medicina e chirurgia, chimici, farmacisti, operai, maestri di scuola elementare, scritturali, piccoli proprietarii pratici in agronomia ecc. ecc.; insomma tutta la parte direttiva, che abbonda anzi rigurgita in ogni angolo della nostra penisola. E se questi poveri male avventurati non fanno nulla di bene, non è certo per colpa loro, perchè appartengono a quella classe di gente che non lavora, non già perchè non abbia volontà di lavorare, ma perchè non trova dove applicarsi; e che si è convenuto chiamare la classe degli spostati.
Questi sono gli uomini che ci occorrono, queste sono le persone che la Società deve inviare in Africa, ottenendo con ciò un doppio beneficio; poichè se da una parte ogni spostato non può costare alla ricchezza nazionale meno di tre franchi al giorno (giacchè consuma senza nulla produrre), dall’altra parte il suo lavoro in Africa non produrrà meno di cinque franchi al giorno netti. Così, tra il danno che cessa e l’utile che emerge, si avrà un profitto di franchi otto per ogni spostato; e, calcolando che andranno in Africa cento spostati, si avrà quotidianamente un utile di ottocento franchi; e, se saranno mille, un utile di ottomila franchi, e così di seguito, sino a raggiungere annualmente la cifra dei miliardi, che saranno risparmiati ed aumentati all’economia nazionale: poichè io son sicuro che, fra dieci anni, non saranno meno di un milione gli spostati che, o spontaneamente, o per opera della nostra e di altre Società, abbandoneranno l’Italia.
E c’è un’altra classe di gente che potrebbe impiegarsi utilmente in Africa, arrecando anche un diretto disgravio al bilancio dello Stato.
Tra coloro che intristiscono nelle nostre prigioni vi sono alcuni i quali, nel fare il male, non furono spinti da mera malvagità, da una bestiale passione, ma operarono nell’impeto dell’ira, o per un principio di amor proprio esagerato, o perchè accecati dalla gelosia o d’altra qualsiasi passione, che la coscienza popolare, pur condannandola, compatisce. Ora se costoro, conducendosi bene nelle prigioni, hanno dimostrato che si sono pentiti del male fatto, che la Società nulla ha da temere da loro, non potrebbero, trascorso un dato termine della pena, essere ammessi a godere una certa libertà? Non potrebbero essere spediti in Africa? Non si potrebbe introdurre anche in Italia la deportazione come presso altre Nazioni? Certo che sì; e con gran vantaggio sia del nostro bilancio, sia dell’economia nazionale; e, diciamolo pure, la speranza di poter un giorno godere di una certa libertà, di poter godere le gioie della famiglia, gioie che, cogli attuali sistemi penitenziari, per alcuni condannati non sono altro che un’idea, una reminiscenza, farebbe migliori i reclusi, li consiglierebbe ad essere docili, operosi per rendersi degni del premio promesso.
Ecco adunque quali classi ci occorrono in Africa: gli spostati e i carcerati. Con essi e con gli indigeni, non appena ci saremo stabiliti a Sciotel, daremo subito mano alla coltura di quei prodotti coloniali che più a noi necessitano, cioè del caffè, del cotone ecc.
Ma prima di parlare partitamente delle colture debbo aggiungere che, se la Società prenderà subito quello sviluppo che io desidero e prevedo, noi dovremo far capitale grandissimo dei Missionari e dei viaggiatori africani.
Avremo difatto bisogno di estendere i nostri domini e studiare ed esplorare nuove regioni; e perciò i Missionari ci saranno di grande aiuto nell’ottenere delle concessioni di nuove terre, in quelle regioni dove essi vanno ad evangelizzare, e sia gratuitamente, sia per danari. E, dovendo poi studiare ed esplorare queste novelle terre, non ci verrà certo meno il concorso dei tanti valorosi ed arditi viaggiatori nostri, che hanno percorso l’Africa in tutti i sensi, e pubblicato opere pregevolissime.
All’uopo, sempre se la Società sarà in grado, si organizzeranno di quando in quando delle spedizioni nelle più interne regioni dell’Africa, col fine di fare delle esplorazioni agricole, e commerciali; affidandone il comando a qualcuno dei tanti nostri illustri e dotti viaggiatori.
3. Le principali colture adunque cui noi daremo mano sono: quelle del caffè, del cotone, del tabacco, dell’indaco, e dei varii cereali.
Per far vedere l’importanza di queste colture e lo sviluppo che ad esse si potrà dare, dirò che, secondo la Statistica del Commercio speciale d’importazione e di esportazione, pubblicata dal Ministero delle Finanze, dal primo Gennaio del corrente anno sino al 31 Agosto si sono introdotte in Italia le seguenti quantità dei sopradetti prodotti.
Sono adunque novantasette e più milioni di franchi che in otto mesi l’Italia ha pagato all’Estero; milioni che, con l’andare del tempo, entreranno nelle casse della Società da me propugnata, vale a dire che resteranno quasi tutti in Italia. E ciò, senza tener conto di circa sessanta milioni che, oltre il cotone greggio in bioccoli o in massa, importarono i varii filati di cotone, semplici, gregi, imbiancati, tinti ecc. ecc.; la quale importazione certo diminuirà col progredire delle industrie nazionali aumentandosi invece, ed in proporzione, la importazione del cotone in bioccoli o in massa. E senza tener conto che non solo all’Italia, ma anche alle altre nazioni, noi potremo fornire i suddetti prodotti, dando alla nostra Società uno sviluppo veramente grandioso, mondiale.
Nel calcolare approssimativamente la spesa e l’utile delle suddette coltivazioni, ho supposto che la fattoria, da impiantarsi, fosse di soli cento ettari; ed ho perciò stabilito venti ettari di terreno per la coltivazione del tabacco, venti per quella del cotone, venti per quella del caffè, venti per quella dell’indaco, e venti per quella dei cereali. Ma questo calcolo servirà soltanto per dare un’idea di ciò che si spende e di ciò che s’introita; poichè, essendo la spesa per cento ettari di soli franchi novemila e trecento, e quindi accessibile al più modesto capitalista, non si costituirà certo una Società con lo scopo di coltivare solamente cento ettari di terreno.
La paga giornaliera da darsi allo agricoltore indigeno è stabilita in centesimi cinquanta, perchè tanto si dà in quelle regioni; e la giornata di un paio di bovi è calcolata un franco perchè a carico della Società andrà soltanto la mercede del bifolco, poichè i bovi saranno di proprietà sociale.
Non ho tenuto conto della spesa che, nello impiantare la fattoria, occorrerà per la costruzione di case, strade, condotti di acqua, pozzi, ecc. ecc; perchè il mio è un progetto di massima, e per fare siffatto calcolo son necessarii tanti dati che solo la minuta conoscenza dei luoghi ci potrà fornire. Perciò siffatto lavoro sarà espletato nel progetto definitivo, o dopo che si sarà fatta la prima spedizione.
Ciò posto ecco il risultato del calcolo approssimativo da me fatto: avverto che nel calcolo le lettere b. g. significano giornate di bovi, ed u. g. giornate di uomini.
A) Tabacco. Per coltivare a tabacco un ettaro di terreno occorrono le seguenti spese:
per preparare il terreno: | b. | g. | 3½ | f. | 3,50 |
per appianare il terreno: | u. | » | 4 | » | 2,00 |
piantagione e cavo di fossette: | » | » | 25 | » | 12,50 |
sarchiature: | » | » | 7 | » | 3,50 |
cimatura: | » | » | 3 | » | 1,50 |
raccolta e trasporto: | » | » | 6 | » | 3,00 |
semi | » | 5,00 | |||
straordinarie | » | 4,00 | |||
Totale | f. | 35,00 |
Ogni ettaro di terreno, coltivato a tabacco, produce, proprio al minimum, duemila chilogrammi di foglie; che, calcolati anche a f. 0,50, il chilogramma, danno f. 1000 di utile. Se poi la Società farà conciare le foglie per conto suo, si può contare (secondo i prezzi di Massaua) sopra 5 f. per chilogramma, che farebbe aumentare il prodotto a f. 10,000; e con certezza di vendere il tabacco in quelle contrade, in Egitto, in Turchia ecc. poichè il tabacco di Sciotel è il migliore fra i tabacchi leggieri: tanto che il Bonichi presumeva che si sarebbe venduto da 10 a 20 f. il chilogramma.
Riepilogando abbiamo:
prodotto di un ettaro | f. 1000 × 20 = | 20,000,00Fonte/commento: Pagina:De Lorenzo - Sciotel - Vicende della colonia del Padre Stella e progetto per restaurarla, Napoli 1887.pdf/312 |
spese per un ettaro | f. 35 x 20 = | 700,00 |
utile netto | 19,300,00 |
B. Cotone. Per coltivare a cotone un ettaro di terreno occorrono le seguenti spese.
per preparare il terreno: | b. | g. | 3½ | f. | 3,50 |
per solcare: | u. | » | 10 | » | 5,00 |
seminagione | » | » | 6 | » | 3,00 |
prima zappa: | » | » | 6 | » | 3,00 |
seconda zappa: | » | » | 6 | » | 3,00 |
irrigazione: | » | » | 20 | » | 10,00 |
raccolta e trasporto: | » | » | 30 | » | 15,00 |
semi | » | 5,00 | |||
straordinarie | » | 7,50 | |||
Totale | 55,00 |
Questa spesa però è calcolata per il primo anno della piantagione, poichè, vivendo il cotone quattro anni, negli anni seguenti non richiede tutta la spesa fatta nel primo: p. es. manca la seminagione e l’aratura, si può fare a meno di una zappa e di qualche giornata d’irrigazione ecc. ecc.
Ogni ettaro di terreno dà un prodotto minimo di mille chilogrammi di cotone, che calcolato al prezzo infimo di cinquanta centesimi, dà la cifra di f. 500: dico infimo perchè il cotone di quelle regioni è il migliore che si conosca, avendo i fiocchi più lunghi e più bianchi di quelli di altre qualità.
Riepilogando abbiamo:
prodotto di un ettaro | f. 500 × 20 = | 10, 000 |
spese di un ettaro | f. 55 x 20 = | 1, 100 |
utile netto | 8,900 |
C. Caffè. Il caffè si semina in vivai e si trapianta nel terreno adatto dopo due anni, e durante altri due anni ha bisogno di cure particolari, che non occorreranno più quando incomincerà a dare frutto ed arriverà al suo massimo sviluppo. Ecco intanto le spese per un ettaro di terreno coltivato a caffè, calcolate per tutti i primi quattro anni.
spese per il vivaio | f. | 10.00 | |||
prima preparazione del terreno | u. | g. | 12 | » | 6.00 |
seconda preparazione | » | » | » | 6.00 | |
f. | 22.00 |
Riporto | f. | 22.00 | |
piantagione | u. g. 20 | » | 10.00 |
lavori varii durante due anni, come irrigazione, sarchiature ecc. ecc. | u. g. 80 | » | 40.00 |
spese straordinarie | » | 28.00 | |
totale | » | 100,00 |
Il caffè, come si disse, comincia a dare frutto al quarto anno dalla seminagione; al sesto anno arriva al suo massimo sviluppo, e, d’allora in poi, non occorre fare altro che raccogliere il frutto, perchè, tranne qualche giornata d’irrigazione, non occorre altra spesa.
Ogni pianta di caffè, durante il quarto ed il quinto anno, dà in media un chilogramma di caffè, sicchè, pei primi due anni, si può contare su 2500 k. che, al prezzo infimo di 50 centesimi, dànno f. 1250; dai quali, tolti i cento franchi delle spese d’impianto, ed altrettanti per spese di raccolta, restano netti f. 1050.
Dal sesto anno in poi ogni pianta dà al minimum due chilogrammi di caffè, e, poichè in un ettaro vi capono 2500 piante, si ha un totale di 5000 chilogrammi, che, calcolati sempre al prezzo infimo di centesimi cinquanta, arrecano un utile di f. 2500.
Fo osservare che, il caffè africano, è quello stesso che noi paghiamo tre, quattro ed anche sei franchi, comprandolo come Moka, quindi il prezzo di cent. 50, da me assegnato, si dovrebbe dire non infimo ma fantastico.
Del caffè si fanno annualmente due raccolte principali ogni sei mesi, e poi durante l’anno occorre, di quando in quando, andare a spigolare nella piantagione per raccogliere i chicchi che quotidianamente cadono dall’albero; stabilisco perciò le spese di raccolta a f. 200 annui, ai quali aggiunti altri f. 50 per spese straordinarie, si ha una spesa annuale di f. 250.
Calcolando adunque l’utile netto sulla rendita che si ricaverà dal sesto anno in poi, abbiamo
prodotto di un ettaro | f. | 2500 × 20 = | 50,000 |
spese per un ettaro | f. | 250 x 20 = | 5,000 |
utile netto | f. 45,000 |
Debbo però fare osservare che questo calcolo è fatto nella supposizione che il caffè si venda a Sciotel; poichè, volendo trasportarlo a Napoli, ci costerà al massimo dieci centesimi a chilogramma pel nolo da Sciotel fin qui, ed in Italia non si venderà meno di lire 1,60 il chilogramma, si ha cioè un franco netto in più: vale a dire che i 2500 franchi, diverranno 7500, e i 50,000 diverranno 150,000.
D. Indaco. È una pianticella annuale, poco più grande della ruta, alla quale in certo modo somiglia; e si semina fitta come se dovesse servire per pascolo, e, giunta a maturità, si falcia o meglio si sradica per estrarne il succo; quindi le spese occorrenti alla sua coltura sono infinitesimali. La rendita invece è ricchissima, poichè in Italia, secondo il prezzo medio dell’anzidetta Statistica d’importazione e di esportazione del Ministero delle Finanze, non si vende meno di f. 1650 per quintale, cioè f. 16,50 per chilogramma. Ciò posto ecco la spesa occorrente per un ettaro di terreno coltivato ad indaco, compresi anche i lavori per fare l’estratto di esso.
preparazione del terreno: | b. | g. | 3½ | f. | 3,50 |
seminagione e sarchiatura: | u. | g. | 3½ | » | 1, 75 |
per falciare, o estirpare: | » | » | 4 | » | 2,00 |
trasporto: | b. | g. | 1 | » | 1,00 |
lavori di estrazione: | u. | g. | 20 | » | 10,00 |
seme | » | 10,00 | |||
straordinarii | » | 6,75 | |||
Totale | 35, 00 |
Supposto che da un ettaro di terreno non si ottenga più di un quintale d’indaco, e calcolato che il trasporto di esso in Italia costa circa 10 franchi, avremmo, in Napoli, il prezzo netto di f. 1640. Ma, ammesso pure che non si possa contare se non sopra 1200 franchi, abbiamo le seguenti cifre:
prodotto di un ettaro | f. 1200 x 20 = | 24,000 |
spese per un ettaro | f. 35 x 20 = | 700 |
utile netto | f. 23,300 |
E. Cereali. Sugli altipiani di Massaua, come dissi nel precedente capitolo, crescono maravigliosamente tutte le specie di cereali; ma i più necessarii (non tenendo conto del grano ) sono la dura, il granone, i faggiuoli ecc. La coltura loro è sù per giù la medesima per tutti quanti, e la spesa, sempre per un ettaro, è la seguente:
preparazione del terreno; | b. | g. | 3½ | f. | 3,50 |
due erpicature | » | » | 2½ | » | 2,50 |
due sarchiature | » | » | 2½ | » | 1,50 |
irrigazione | u. | g. | 4 | » | 2,00 |
rincalzatura | b. | g. | 3 | » | 1,50 |
cimatura | u. | g. | 3 | » | 1,50 |
lavori definitivi per la raccolta | » | 2 | » | 1,00 | |
seme litri 60 | » | 11,00 | |||
straordinarie | » | 5,50 | |||
Totale | 30,00 |
Secondo quanto riferiscono Bonichi, Sapeto ed Emmetù2 ogni litro di dura o di granone produce 80, 100, 120, sino a 140 litri; ma io, per non parere esagerato, calcolo che ogni litro produca solamente 80 litri, e stabilisco il prezzo infimo di dieci franchi per ogni ettolitro.
Perciò abbiamo le seguenti cifre per l’utile e per la spesa:
prodotto di un ettaro | f. 480 x 20 = | 9,600 |
spesa per un ettaro | f. 30 × 20 = | 600 |
utile netto f. | 9,000 |
F. Altre colture ed industrie. Oltre alle coltivazioni innanzi dette; si potranno introdurre, con sicuro profitto, anche gli agrumi, la vigna, la canna da zucchero e gli olivi.
Gli agrumi, poichè non dànno frutto prima di quattro o cinque anni, si possono piantare, con pochissimo aumento di spesa, nel medesimo terreno preparato per i cereali.
In un ettaro vanno 400 piante, che, supposto che non producano più di 200 frutti, daranno la rendita minima di 2 franchi all’anno: rendita che si potrà ritenere netta da qualunque spesa, sia perchè ogni albero adulto non produce meno di 500 frutti, sia perchè la spesa verrà rinfrancata ad usura dal prodotto dei cereali. Si può adunque confare su di 800 franchi di rendita netta per ogni ettaro di agrumeto.
La vigna come spesa d’impianto, compresa anche quella per la cantina, richiederà circa 600 franchi per ogni ettaro; e, venuta in frutto, richiederà la spesa annua di circa trenta lire, tutto compreso, anche la vendemmia. Ogni ettaro di vigneto produce in media 60 ettolitri di vino, che, calcolato a centesimi 30 il litro, dà un utile di f. 1800,00 ed anche vendendolo a 20 centesimi produrrà f. 1200. Sicchè la vigna, sin dal suo primo prodotto, restituirà il capitale impiegato, e darà un utile netto al minimum di f. 600; senza calcolare che, durante gli anni ch’essa sarà sterile o darà poco frutto, il suo terreno si potrà adibire alla coltivazione dei cereali.
Per coltivare la canna di zucchero occorre spendere circa 30 franchi all’anno per ogni ettaro; non compreso però lo acquisto e il trasporto delle canne per la seminagione. Ma è da sperare che siffatta spesa non sarà rilevante, perchè forse le canne si troveranno sul luogo; essendo, la canna da zucchero stata già introdotta e coltivata dal Padre Stella, come dissi in altro luogo delia presente opera: del resto la spesa maggiore sarebbe per il primo anno soltanto. Della rendita non parlo, poichè dipende dal modo di estrazione; se cioè si vorrà estrarre il solo succo, il melazzo, ovvero si vorrà ottenere lo zucchero greggio; perchè in questo ultimo caso occorre molta spesa per la costruzione della macchina. Dirò soltanto, per far notare la importanza della rendita, che essa è quasi uguale a quella del caffè.
Gli olivi, come mi hanno riferito i primi coloni italiani di Sciotel, si trovano numerosissimi in tutte quelle colline; sicchè pare che non si dovrebbe fare altro che ripulirli, sfollarli, e tenere netto il terreno. Ma, per potere indicare approssimativamente le spese di raccolta e dello impianto dell’oleificio, occorre andare sul luogo; ed io, l’ho detto più volte, non ci sono stato mai.
Tra le industrie più proficue debbo annoverare in primo luogo quella dello spirito di vino, e quella del bestiame. Della distillazione dello spirito non me ne occupo, giacchè essa si potrà impiantare utilmente quando saranno già sviluppate le vigne; debbono cioè trascorrere parecchi anni, almeno quattro o cinque. Dirò invece della industria delle vacche, non solo perchè otterremo subito un profitto, ma anche perchè ci daranno i bovi necessari per la coltivazione delle terre.
Le vacche degli altipiani di Massaua dànno poco latte, cioè tre litri al giorno; però da esse si ottiene più formaggio di quello che si ricava dal latte delle vacche svizzere ed olandesi; poichè è risaputo che, secondo che aumenta la secrezione lattea, diminuisce la quantità della caseina. Supposto quindi che si comincerà l’industria con cento vacche e che esse, com’è di regola, daranno latte per sei mesi, avremo le seguenti cifre: 100 × 3 = 300 × 30 = 9000 × 6 = 54,000; avremo cioè 54,000 litri di latte che ci daranno 54 quintali di formaggio, calcolando che ogni 10 chilogrammi di latte danno un chilogramma di formaggio. Le spese occorrenti sono le seguenti:
per acquisto di 100 vacche, a 17 f. l’una | f. | 170,00 |
stipendio annuale di 3 guardiani, a 30 f. l’uno al mese | » | 1080,00 |
stipendio per un europeo, pratico della industria, a f. 150 al mese | » | 1800,00 |
Totale | f. | 3050,00 |
Supposto che il formaggio non si venda a più di un franco per chilogramma, e si venderà certo di più, e supposto ancora che la spesa sarà di 3170 franchi, avremo:
prodotto | f. | 5400,00 |
spesa | » | 3170,00 |
utile netto | f. | 2230,00 |
Non calcolando però il valore di 80 allievi che, in media, daranno per ogni anno le 100 vacche, nè che aumentandosi il numero delle vacche, poniamo sino a 1000, il prodotto aumenterà in proporzione ma non già la spesa, che invece diminuirà; per esempio, avendo 1000 vacche, non occorreranno dieci europei, per manipolare il formaggio, ma soltanto cinque, ecc.
L’allevamento delle pecore non sarà meno importante e proficuo dello allevamento delle vacche; poichè, senza tener conto nè della carne nè del formaggio, l’esportazione della sola lana arrecherà alla Società guadagni grossissimi. Non ho creduto essere utile fare un conto approssimativo di ciò che costerà e produrrà l’allevamento delle pecore, poichè, come dissi, esse non sono di buona razza, ed è necessario che persone pratiche vedano se è conveniente trasportarle dall’Italia. Soltanto, per far vedere lo sviluppo che potrà avere siffatta industria, fo notare che, insino al 30 settembre del corrente anno, furono importati in Italia ben 80,313,600 franchi di varii generi di lana, fra i quali figurano 64,081 quintali di lane naturali o sudice e lavate, per il valore complessivo di 18,920,630 franchi.
Sino al 30 settembre si sono importati 4,239 quintali di cera gialla non lavorata per il valore di 1,186,970 franchi, quindi anche l’industria delle api riuscirebbe oltre modo lucrosa, e non costerebbe altro che la fatica di raccogliere e riunire in alveari le pecchie, che vivono numerosissime in quei boschetti.
L’allevamento dello struzzo, che in alcune regioni costa un occhio, non richiede quivi considerevole spesa. Lo struzzo vuole grandi spazii liberi per scorazzare a suo bell’agio, e va soggetto ad una malattia spesso mortale. Quindi, in quei luoghi dove non può spaziare liberamente, dove non prolifica e si è perciò costretti ricorrere alle macchine incubatrici, oltre che lo allevamento richiede molta spesa, la morte degli struzzi arreca all’allevatore un danno notevolissimo, per il prezzo altissimo di essi: presi cioè uno per l’altro, giovani e vecchi, hanno un valore di circa f. 750, e gli adulti di più di tre anni valgono circa f. 1500.
Nelle terre che saranno da noi occupate, non è così; ivi lo struzzo costa poco o nulla, ed il Sapeto, che era un povero missionario, ne ebbe dodici ed anche quindici in una volta; e la ragione del valore infimo dello struzzo in quelle regioni, si è perchè quivi esso indigeno e cova le uova, benchè non sempre; ed allo stato selvatico è così numeroso che gli si dà la caccia.
«Lo struzzo; dice il Sapeto; produce una sola volta all’anno; e cova (non però sempre, una ventina d’uova del peso di 432 dramme; ch’egli vien facendo in luoghi appartati; in mezzo alla sabbia bollente, e al ridosso dei venti infesti..... Niente meglio si alleva dello struzzo; ed io n’ebbi da 12 a 15 ad un tempo; comprati piccoli e cresciuti in casa. Mangian di tutto; foglie carnose, tralci, viticci ecc. e con tanta rapacità che non si potrebbe dire. La carne è eccellente e nel sapore somiglia a quella del tacchino 3. Tutti gli struzzi maschi, dopo la muda, hanno 40 dramme di pennacchi bianchi, ma soltanto tredici penne sono maravigliose; ognuna delle quali pesa una dramma e mezzo, e costa sul luogo cinquanta o sessanta centesimi. Però le note delle modiste insegnano agevolmente, ai ricchi mariti delle nostre eleganti e belle Signore, quanto si paga in Italia una bella penna di struzzo; che cioè non vale meno di 10 franchi e sale su sino ai 50 ed ai 60.
4. Avendo parlato distesamente delle principali colture ed industrie, che formeranno obbietto della futura Società, occorre dire ora del numero e della qualità delle persone, che io presumo necessarie all’azienda delle fattorie agricole e commerciali.
Prima però di occuparmi dei varii officii ed officiali, che la Società dovrà tenere in Africa, credo utile riassumere i conti innanzi esposti per far vedere, di un sol sguardo, il prodotto, la spesa, ed il prodotto netto che si otterrà dalle coltivazioni.
Coltivazioni | Ettari | Prodotto | Spesa | Prodotto netto |
Tabacco | 20 | f. 20,000 | f. 700 | f. 19,300 |
Cotone | 20 | » 10,000 | » 1,100 | » 8,900 |
Caffè | 20 | » 50,000 | » 5,000 | » 45,000 |
Indaco | 20 | » 24,000 | » 700 | » 32,300 |
Cereali | 20 | » 9,600 | » 600 | » 9,000 |
Totale | 100 | 113,600 | 8,100 | 105,500 |
Dai 105,500 franchi si dovrebbe togliere il capitale occorrente allo acquisto di dieci paia di bovi da lavoro, cioè duecento franchi poichè nei Bogos ogni paio di bovi costa venti franchi; ma di siffatta spesaFonte/commento: Pagina:De Lorenzo - Sciotel - Vicende della colonia del Padre Stella e progetto per restaurarla, Napoli 1887.pdf/312 non ne tengo conto, perchè, come dissi, verrà compensata largamente col prodotto degli ottanta allievi, che ci daranno annualmente le vacche, le quali formeranno la prima industria che la Società dovrà necessariamente impiantare.
Si deve però togliere lo stipendio di un agricoltore europeo, che io assegno per ogni cento ettari, come sorvegliante e direttore di venti agricoltori indigeni; e, poichè lo stipendio sarà di f. 1200 all’anno, abbiamo le seguenti cifre
prodotto di cento ettari | f. | 105,500 |
stipendio ad un europeo | « | 1,200 |
prodotto netto | « | 104,300 |
Debbo però fare osservare come, secondo che aumenta l’estensione e l’importanza delle colture, non solo aumenta pure il numero degli agricoltori europei, ma ad essi si debbono aggiungere necessariamente degli impiegati europei con ufficii e stipendii varii; cosicchè, apparentemente la rendita delle terre subisce progressivamente una diminuzione, la diminuzione cioè corrispondente allo importo maggiore degli stipendii che si pagano agli europei. Mi spiego meglio: in cento ettari di terreno abbiamo un agricoltore europeo; in mille ettari, oltre i dieci agricoltori europei, abbiamo ancora un fattore ed uno scrivano; in cinquemila ettari abbiamo cinquanta agricoltori, cinque fattori, cinque scrivani, un vicedirettore, un magazziniere, un contabile; e così di seguito gli impiegati aumentano in numero ed in importanza, come si rileverà meglio dal relativo specchietto, posto in fine di questo capitolo.
Su questi dati calcolando sino a centomila ettari la spesa per le anzidette coltivazioni, il prodotto franco di spesa, e l’utile netto, detratti gli stipendii agli europei compreso anche il valore degli animali da soma e da sella, abbiamo le seguenti cifre.
Ettari mille: spesa f. 81,000 prodotto (franco di spesa) | f. | 1,055,000 |
stipendii per 12 europei | » | 18,140 |
utile netto | f. | 1,036,860 |
Ettari cinquemila: spesa f. 405,000
prodotto | 5,275,000 |
stipendii per 64 europei | 121,460 |
utile netto | 5,153,540 |
Ettari ventimila: spesa f. 1,620,000,
prodotto | 21,100,000 |
stipendii per 265 europei | 558,940 |
utile netto | 20,541,060 |
Ettari centomila: spesa 8,100,000
prodotto | 105,500,000 |
stipendii per 1330 europei | 2,849,540 |
utile netto | 102,650,460 |
Come io adunque diceva, se per la coltura di 100 ettari si pagano 1,200 f. di stipendio ad un europeo, e per 1,000 ettari non si pagano 12, 000 ma 18,140, è chiaro che l’utile netto dei 1,000 ettari non corrisponde proporzionatamente a quello di cento ettari, ma subisce una diminuzione che va man mano aumentando, secondo che aumenta il numero e il valore degli stipendii che si corrispondono agli europei. Ma ripeto siffatta diminuzione è soltanto apparente, poichè se è vero che aumentando le coltivazioni, cresce la spesa per gli stipendii, è anche vero che lo sviluppo dell’agricoltura porta seco il maggiore incremento delle industrie annesse e della rendita loro; sulla quale fo assegnamento per sostenere le maggiori spese che richiedono gli impiegati europei.
Supponiamo, a mò d’esempio, che si coltiveranno venti ettari a vigneto, in questo caso la Società dovrà contentarsi di estrarre e vendere l’alcool greggio; ma quando si avranno parecchie centinaia di ettari converrà impiantare una distilleria, e così, relativamente con poco aumento di spesa, si aumenterà immensamente il provento delle vinacce, e quindi della terra. E così ancora, se coltiveremo pochi ettari di canna da zucchero, dovremo contentarci di vendere la canna, o tutto al più il melazzo; ma, quando avremo migliaia di ettari, vale il pregio di spendere uno o due milioni e costruire una fabbrica per estrarre lo zucchero, e così triplicheremo la rendita; la qual cosa sarà evidentemente dovuta allo sviluppo delle coltivazioni.
Ritenendo adunque che la rendita netta delle terre, pur aumentando lo importo degli stipendii, restarà inalterata, potremmo elevarla alle seguenti somme: cioè
per | mille | ettari | a | franchi | 1,055,000 |
» | cinquemila | » | » | » | 5,275,000 |
» | ventimila | » | » | » | 21,100,000 |
» | centomila | » | » | » | 105,500,000 |
Forse la sopradetta rendita sembrerà straordinaria, esagerata, fantastica; e certamente tale è se essa si mette in confronto con ciò che rendono le terre in Italia.
Ma è da osservare innanzi tutto che le terre, che noi andremo a coltivare, sono vergini, quindi non si possono paragonare coi terreni già sfruttati d’Italia; e poi che la ricchezza della rendita dipende anche dal valore intrinseco di alcuni prodotti, come del caffè, dello indaco ecc. Non si deve infine dimenticare che le tasse, che, in Italia, pesano più o meno direttamente sulla terra sono enormi tanto che si può calcolare che per ogni cento franchi di rendita non si paghino di tasse meno di cinquanta franchi; e supposto che altri venticinque franchi si spendono per cultura e manutenzione del fondo, non restano al proprietario altro che venticinque franchi.
In Italia un proprietario, che ha 1,200 franchi di rendita all’anno, non intasca di netto, pei suoi bisogni, altro che venticinque franchi al mese, cioè appena trecento franchi all’anno! E, se la rendita della terra è menomata, o peggio fallisce, per uno, o più anni, il disgraziato proprietario italiano, se ha un mestiere, un’arte, una professione, è costretto lavorare per sopperire ai bisogni della sua proprietà, per pagarne i tributi! In altri termini non è la proprietà che serve al proprietario, ma il piccolo proprietario è servo della gleba; è lui che serve alla proprietà, egli non sfrutta ma viene senza carità sfruttato dalla terra.
Se noi dovessimo calcolare la rendita delle terre africane nella maniera come si calcola la rendita delle terre in Italia, detraendone cioè le imposte più o meno dirette, avremmo che cento ettariFonte/commento: Pagina:De Lorenzo - Sciotel - Vicende della colonia del Padre Stella e progetto per restaurarla, Napoli 1887.pdf/312 invece di rendere 105, 500 franchi non renderebberoFonte/commento: Pagina:De Lorenzo - Sciotel - Vicende della colonia del Padre Stella e progetto per restaurarla, Napoli 1887.pdf/312 neppure ventisei o ventisette mila franchi.
Ma i futuri coloni di Sciotel non si spaventino; poichè ivi non vedranno, almeno per moltissimi anni, il simpatico viso degli agenti delle imposte e degli esattori comunali; non avranno le fondiarie, i dazii di consunzione, dico meglio di consumo, le ricchezze mobili, che, una volta appiccicate diventano stabili, ecc.
5. Nel fare il calcolo della rendita che si ricaverà coltivando cento ettari, mille ettari ecc. ho accennato al numero degli europei necessari per l’azienda, vengo ora a trattare minutamente questa parte.
In cento ettari di terreno c’è un solo europeo, retribuito con 100 franchi al mese cioè con 1,200 franchi all’anno ed ha il titolo di caposquadra. Egli deve essere un buono agricoltore, capace di addestrare gli indigeni a coltivare la terra all’uso europeo, e di dirigerli nel lavoro. Gli indigeni, a lui sottoposti, sono venti; poichè credo non occorrano meno per i lavori quotidiani di cento ettari di terreno; se l’esperienza poi dimostrerà che saranno soverchi si diminuirà il loro numero. I venti indigeni formano l’effettivo della squadra, sarei per dire, in tempo di pace, e saranno assoldati ad anno ed a f. 130 per ciascuno. Al tempo poi dei grandi lavori l’effettivo della squadra verrà aumentato secondo il bisogno; ma il caposquadra sarà sempre uno; vale a dire che l’organizzazione della fattoria agricola è affatto simile a quella dell’esercito, in cui la compagnia, che in tempo di pace ha cento uomini, in tempo di guerra ne novera duecento e più.
In mille ettari ci sono dieci capisquadra, che dirigono duecento indigeni, ed un fattore che comanda i dieci capi squadra ed ha uno scrivano per tenere la corrispondenza, i conti, e il disbrigo degli affari del piccolo ufficio. Il fattore non solo deve essere praticissimo degli affari di campagna, ma deve avere anche delle nozioni elementari di agronomia: è retribuito con 300 f. al mese (3,600 f. all’anno) ed ha due bestie da soma; lo stipendio dello scrivano è di 200 f. al mese (2,400 f. all’anno).
In mille ettari adunque abbiamo 212 persone, cioè 200 indigeni e 12 europei.
In cinquemila ettari ci sono mille indigeni, cinquanta capisquadra, cinque fattori e cinque scrivani: il caposquadra dirige sempre venti indigeni, ogni fattore comanda dieci capisquadra, e tutti i cinque fattori sono sotto gli ordini di un Vicedirettore.
Il Vicedirettore deve essere persona molto esperta nell’amministrare grandi poderi; e perciò, se non ha un diploma, deve almeno dimostrare di aver frequentato una scuola agraria, e di avere delle cognizioni in fatto di commercio. Sotto la sua immediata direzione e sorveglianza sono le varie industrie, come l’allevamento dei bestiami e dello struzzo, l’apicoltura ecc. Egli è retribuito con lo stipendio di 750 f. al mese (9,000 f. all’anno) ha una bestia da soma, un cavallo da sella, ed il suo ufficio è composto così: un magazziniere con 400 f. al mese (4,800 f. all’anno) ed un contabile con 300 f. al mese (3,600 f. all’anno).
Benchè in quelle regioni, come dice Sapeto, sono quasi sconosciute le malattie gravi, pure è necessario avere un medico per ogni 5000 ettari; e gli si corrispondono 1,100 f. al mese (13,200 all’anno) sia perchè egli deve disimpegnare anche le veci di farmacista, sia perchè, avendo bisogno di bestie da soma e da sella, se ne deve provvedere a sue spese.
In tutto, in ogni 5,000 ettari, ci sono 1,064 persone, cioè 1,000 indigeni e 64 europei.
In ventimila ettari ci sono 4,000 indigeni, 200 capisquadra, 20 fattori, 20 scrivani, 4 Vicedirettori, 4 magazzinieri, 4 contabili, e 4 medici: la gerarchia è immutata, però i quattro Vicedirettori dipendono tutti da un Direttore.
Il Direttore, oltre ai requisiti richiesti pel Vicedirettore, deve essere espertissimo degli affari di commercio, ed atto a disbrigare tutti gli affari inerenti ad una grande amministrazione. A lui sono affidate la contabilità generale e la cassa, le contrattazioni e permute commerciali, l’esplorazione agricola e commerciale, l’ispezione generale sopra tutti i 20,000 ettari ecc.; sotto la sua immediata direzione sono le grandi industrie, come quella della distillazione e raffineria dell’alcool, quella dell’estrazione dello Zucchero ecc. ecc.
Egli vien retribuito con 1,500 f. al mese (18,000 f. all’anno), ha due cavalli da sella e due da soma, ed il suo ufficio è così composto un segretario con 750 f. al mese (9,000 all’anno), un cassiere con 700 f. al mese (8,400 f. all’anno), un computista con 500 f. al mese (6,000 f. all’anno), due aiutanti del computista con 250 f. al mese per ciascuno (3,000 f. all’anno) e due ispettori con 750 f. al mese per ciascuno (9,000 f. all’anno); l’ispettore è anche fornito di un cavallo da sella. In ogni ventimila ettari è necessario tenere anche una farmacia, retribuendo il farmacista con 600 f. al mese (7,200 f. all’anno).
Sicchè, in ventimila ettari, ci sono 4,265 persone, cioè 4,000 indigeni e 265 europei.
Per ogni centomila ettari poi ci sarà una Direzione Generale, composta di un Direttore Generale con lo stipendio di 30,000 f. all’anno, la fornitura di 4 bestie da soma e 4 cavalli da sella; un Segretario Generale, con 12,000 f. all’anno; un Vicesegretario generale con 9,600 f. all’anno, e due scrivani ciascuno con 3,600 f. all’anno.
Quindi, in centomila ettari ci saranno in tutto 21,330 persone, cioè un esercito; e propriamente ci saranno 20,000 indigeni, e 1330 italiani.
Se vi è alcuno che, al sentirmi parlare con tanta facilità di centomila ettari, sarà preso dal tarantolismo, sappia che soltanto i territorii dei Mensa, dei Bogos e dei Beni-Amer hanno la superficie di settantamila chilometri quadrati; hanno cioè la medesima superficie di ben settanta fattorie di centomila ettari ciascuna!
E col mio sistema di colonizzazione, in se stesso semplicissimo, con la istituzione cioè di fattorie da cento a centomila ettari, si potrebbero colonizzare tutte le terre libere conosciute in Africa, in Asia, in America e nell’Oceania, senza che la Società potesse avere defraudati nè un grammo di prodotto nè una giornata di lavoro. Ed invero il fattore sorveglia da vicino i dieci capisquadra, ma, anche paragonando il lavoro dell’uno con quello dell’altro, può vedere facilmente se qualche caposquadra non cammina sul retto sentiero. Similmente il Vicedirettore tien d’occhio i cinque fattori, e, con un solo sguardo che dà ai conti che gli si presentano e confrontandoli tra loro, si accorge se qualche fattore ha bisogno di una sorveglianza particolare. E così di seguito, dal Caposquadra al Direttore Generale, la sorveglianza ed il controllo sono incessanti, permanenti, minuti.
Però, quando la Società avrà acquistato vastissime estensioni di terreni, si vedrà se sarà il caso di concederne parte ai privati o ad altre piccole società.
I coloni dovranno essere organizzati militarmente, tutti dovranno essere militi; tutti cioè debbono essere capaci, alla occorrenza, di mettere da parte la vanga o la penna ed impugnare la carabina per la comune difesa. Perciò in tutte le Domeniche ci saranno tre ore, a scelta dei capi, destinate agli esercizii militari e principalmente al bersaglio.
Non ho creduto necessario stabilire un tanto per acquisto di armi e munizioni, perchè ci verranno fornite, se non gratis certamente a prezzi minimi, dal nostro Governo; e dovrà essere cura della Società di fare le pratiche opportune.
I coloni avranno pure diritto al passaggio gratuito sino alla sede della colonia, anche per le persone della loro famiglia e per le cose loro. E, oltre allo stipendio mensile sarà loro corrisposto un tanto su gli utili netti che percepirà la Società, ed in quella proporzione che verrà stabilita dalla Società medesima. In tal modo i coloni reputandosi quasi proprietarii, e non già semplici operai ed ufficiali della società, lavoreranno certamente con più amore, e con più interesse.
Non ho neppure stabilito la somma necessaria per il viaggio dei coloni ed il nolo dei loro oggetti, perchè, anche per questo fatto, occorre venire a trattative con la Navigazione Generale, a fin di ottenere un sensibile ribasso sulle sue tariffe. E ciò senza calcolare che forse potremo ottenere il passaggio del tutto gratuito sui piroscafi noleggiati dal governo; poichè nostra impresa non sarà soltanto di utilità privata, ma anche nazionale, ed il nostro Governo dovrebbe contribuire in qualche modo. È indubitato che quando la nostra Società avrà organizzato militarmente, sugli altipiani di Massaua, non dico più, ma solo cinquemila uomini tra indigeni ed italiani, il nostro Governo non avrà bisogno di tenere colà grossa guarnigione; e quindi il vantaggio diretto, che ne sentirà la nazione, mi pare evidente.
6. Credo intanto utile di far noto, a coloro i quali desiderano far parte della futura colonia di Sciotel, i vantaggi che ad essi procura lo acquisto del presente volume; vantaggi che io resi già pubblici per mezzo della circolare largamente diffusa.
I nomi di coloro che acquistano il mio libro, e fan conoscere che vogliono fare parte delle spedizioni, sono registrati in apposito libro per ordine di data, e secondo che mi pervengono le richieste. Quando poi si faranno le spedizioni, io m’impegno di far preferire gli acquirenti del mio libro a tutti gli altri richiedenti; e di farli partire secondo il numero d’ordine che i loro nomi hanno sul registro. È necessario però che eglino, oltre il nome e il cognome, facciano conoscere se hanno un mestiere, un’arte, una professione, se emigrano con le famiglie (chè questi son preferiti a tutti), ed in generale a quale ufficio si reputano più adatti.
Siffatto vantaggio godranno anche coloro che desiderano essere soltanto azionisti; poichè, nel caso che si darà luogo a riduzione nel numero delle azioni richieste, gli acquirenti del mio libro saranno preferiti, e non soffriranno diminuzione nel numero delle azioni da loro richieste. Occorre pertanto che, nel richiedere il libro, indichino il numero delle azioni per cui intendono sottoscrivere; tenendo presente che pur restando fermi i titoli di cinquecento franchi, da me proposti nella circolare, il valore di ciascuna azione sarà ribassato a cento franchi.
Così chi vorrà sottoscrivere per cinque o dieci azioni avrà, se lo desidera, uno o due titoli da cinquecento franchi; e chi sottoscriverà solo per un’azione avrà un titolo da cento franchi ecc.; e ciò si fa col fine di offrire un largo campo ai piccoli capitalisti.
Prima di porre termine al presente capitolo credo opportuno chiarire un’apparente contraddizione, che c’è in esso.
Difatto, trattando del personale, ho detto che alla coltivazione di centomila ettari di terreno occorrono soltanto 1330 italiani, quindi, secondo questo calcolo, per dare occupazione al milione di spostati, dei quali ho parlato alla pagina 232, si dovrebbero fondare quasi mille fattorie, ciascuna di centomila ettari; la quale cifra, senz’alcun dubbio, è enorme!
Però, nel dire che fra dieci anni non saranno meno di un milione gli spostati che andranno in Africa, io non intendeva punto che essi dovessero servire per l’agricoltura e per le piccole industrie; poichè il numero d’italiani necessarii all’azienda delle fattorie è piccolissimo, come si è veduto. Intendeva invece dire che gli spostati sarebbero attirati in Africa dalle grandi industrie, dalle grandi costruzioni, e dai nuovi bisogni che la nostra civilizzazione dovrà necessariamente creare in quelle contrade. Eglino cioè saranno proficuamente impiegati nelle grandi raffinerie di alcool e di zucchero, nelle grandi fabbriche per la concia delle pelli, nella costruzione di canali, di ponti, di strade, di città ecc. ecc.; e vi saranno anche attirati ad esercitarvi il loro mestiere, la loro arte, la loro professione quando, in quelle immense e quasi deserte regioni, sorgeranno numerosi ed importanti centri popolati, come in America.
Affermo perciò di nuovo che, fra dieci anni, non saranno meno di un milione gli spostati che, andando in Africa, arricchiranno, con l’opera loro, la madrepatria di otto milioni di franchi al giorno; cioè di due miliardi e seicento milioni di franchi all’anno! E ciò sarà il minimo utile, poichè i vantaggi che arrecherà la nostra Società di colonizzazione per mezzo dell’agricoltura, dell’industria e del commercio saranno di gran lunga maggiori; ed apporteranno, come legittima conseguenza, uno straordinario aumento della nostra marina mercantile.
E, guardando soltanto lo interesse degli azionisti, dico che una Società, la quale si costituisse col solo scopo di fornire i foraggi ed i generi alimentari al nostro esercito di occupazione (che chiede alla Italia financo le legna da ardere) farebbe affari di oro.
Bilancio Annuale presuntivo per le fattorie Agricole e Commerciali
(Coltivazioni da cento a ventimila ettari)